Non lasciare che la tua rabbia ti bruci.

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La seconda volta che Gale si trovò a riflettere su cosa significasse essere un ribelle fece molto più male.

Aveva  sei anni e mezzo e stava tornando a casa da scuola. Prima di attraversare la strada per raggiungere la sua abitazione si irrigidì di scatto, messo all’erta dal piccolo gruppo di persone che si stava avvicinando.

Riconobbe subito le divise bianche dei due Pacificatori che stavano trascinando un terzo uomo per le braccia. La persona fra di loro indossava la tuta da minatore e continuava a lottare con furia per liberarsi, nonostante avesse già il volto incrostato di sangue. A far sussultare il bambino per l’orrore non fu quell'immagine, ma il rumore secco del manganello del Pacificatore di sinistra che colpì tutto a un tratto il fianco del minatore ribelle; l’uomo barcollò in avanti e cadde faccia a terra. Molti presenti arretrarono, impauriti da quella scena. Qualcuno cercò di portare via Gale, tirandolo per un braccio, ma lui si divincolò per sfuggirgli. Il bambino raggiunse poi sua madre; Hazelle era corsa fuori con occhi carichi di paura, come se avesse intuito che qualsiasi orrore stesse avendo luogo fuori dalla sua abitazione stesse aspettando lei. I due soldati gettarono l’uomo a terra, ai piedi della donna. Ai piedi di suo figlio, che aveva gli occhi sbarrati rivolti verso la maschera di rabbia e sangue che contraeva i lineamenti del minatore inginocchiato a terra: suo padre.

“Questo è quello che succede a chi fa il galletto con chi comanda, invece che lavorare” sbraitò uno dei due Pacificatori, indirizzando un’occhiata astiosa a Joel. Per un attimo sembrò sul punto di colpirlo di nuovo, ma all’ultimo cambiò idea. Scrutò Gale con attenzione, prima di intercettare lo sguardo atterrito di Hazelle. “La prossima volta te lo riportiamo a casa morto” disse alla donna, scavalcando l’uomo e facendo cenno al collega di tornare indietro.

Hazelle si affrettò a inginocchiarsi a terra e sfiorò il volto del marito con mani tremanti. Sembrava paralizzata dallo sgomento, incapace di reagire con la ferma determinazione che la caratterizzava di solito. Joel rizzò la schiena per mettersi a sedere, ma i suoi lineamenti si contrassero in una smorfia di dolore. Qualcuno dei presenti si avvicinò per cercare di dare una mano, ma il minatore non li degnò di uno sguardo. Aveva occhi solo per suo figlio, quel bambino con gli occhi sbarrati che stringeva convulsamente il laccio della sua tracolla.

“Non è niente, ragazzo” cercò di tranquillizzarlo, passandosi il dorso della mano sullo zigomo sanguinante. Provò ad alzarsi in piedi; delle mani robuste lo trattennero a terra con gentilezza, ma lui cercò di divincolarsi per raggiungere il figlio. “Solo qualche graffio. Perché non vai dentro a controllare come sta tuo fratello?”

Gale non lo fece. Lasciò cadere la tracolla a terra, continuando a fissare il padre. L’orrore nel suo sguardo si tramutò lentamente in qualcos’altro, modellando i suoi lineamenti infantili. Una sensazione forte, incontrollabile, incominciò a premere contro il suo corpo dall’interno, lottando per fuoriuscire.

In quel momento un altro minatore raggiunse di corsa il gruppetto di persone. Si inginocchiò di fianco a Joel, prima di stringere una spalla di Hazelle.

“Mia moglie sta arrivando” la rassicurò, indirizzando poi al collega un’occhiata preoccupata. “Questa volta ha fatto proprio il diavolo a quattro. Sei completamente ammattito” aggiunse, rivolgendosi all’uomo.

Joel cercò di ridere, ma il dolore al volto lo costrinse a desistere.

“Non posso farci niente, il quattro è il mio numero[2]” mormorò, sollevando il braccio a sfiorare la guancia della donna. “Vero, Haze?”

La moglie non rispose. Si limitò a raccogliergli la mano fra le sue per portarsela alle labbra.

“Che cosa è successo?” chiese poi, rivolgendosi al collega del marito.

[Hunger Games] Cicatrici - Non si Piange.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora