Capitolo 5

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Guardandosi intorno, mentre viaggiava, Elizabeth notò come il paesaggio cambiasse lentamente: le palazzine venivano sostituite da una fitta vegetazione mentre lasciava Londra dietro le sue spalle. Ormai stufa, non curante di sembrare arrogante e sgarbata, si rivolse alla sua compagna di viaggio, intenta a leggere attentamente le nuove email presenti nella sua bacheca postale.

«Si può sapere dove stiamo andando? Chi è lei? Lavora per Sherlock Holmes, non è così?»

La donna non rispose e rise guardando il telefono, come se la ragazza non esistesse.

Elizabeth, presa dalla rabbia, glielo strappò dalle mani e la guardò con serietà.

«Senta, mi dispiace se sono stata maleducata con questo gesto, ma per chi lavora? Cosa c'entra il cognome Holmes con me?», chiese alzando il tono di voce.

«Come le ho già detto, la sto portando a firmare un contratto di lavoro. Ora mi ridia il telefono.», rispose la donna in modo pacato, senza mai distogliere lo sguardo dalla strada davanti a sè.

Elizabeth sbuffò e glielo riconsegnò.

«Posso sapere almeno fra quanto arriveremo?», insistette.

«Se avesse prestato attenzione, forse si sarebbe già accorta che siamo arrivate da un bel po' di tempo.»

La ragazza infatti era talmente influenzata dalle sue stesse emozioni che non si accorse del fatto che l'auto fosse già parcheggiata, in attesa che lei scendesse.
La donna uscì e si diresse verso l'entrata di un enorme magazzino, probabilmente abbandonato. Elizabeth la seguì e, per un attimo, ebbe il timore di stare per incontrare un criminale di alto rango.

Appena entrati, scorse una figura che sorrise freddamente alla donna, dicendole: «Grazie Emily, efficiente come al tuo solito.»

Emily ridacchiò, fece un cenno con il capo e si voltò verso l'uscita, abbandonando Elizabeth. Sebbene quella donna incutesse alla ragazza timore, una figura femminile le dava comunque un certo tipo di conforto, ora totalmente assente. Si maledisse per la scelta fatta, ma cercò anche di rimanere seria e composta.

«Lei deve essere Elizabeth Standword.»
La figura maschile riprese a parlare, avvicinandosi a lei, ma mantenendo sempre una distanza di cortesia.

Finalmente la ragazza, mentre indietreggiava leggermente, riuscì a vedere le fattezze dell'uomo, ormai esposto completamente alla luce. Riconobbe in lui dei tratti familiari: aveva occhi azzurri, capelli corvini, fisicamente un po' in carne ed estremamente alto; ma la sua mente era così offuscata che pensò non fossero dettagli importanti.

«Piacere suo, insomma...», controbatté Elizabeth, con uno sguardo infuocato.

Lo squadrò da capo a piedi. Si rese conto, grazie ai tratti simili dei tre e al cognome nominato poco prima, che non poteva che essere un Holmes: un altro.

«È un Holmes non è così?», chiese, con una voce leggermente tremante e Mycroft le sorrise.

«La sua "elevata" perspicacia mi sorprende. Mycroft Holmes, sono felice di averla qui.», rispose in modo ironico.

«La sua segreteria mi ha menzionato il vostro cognome poco fa... Davvero è venuto a raccontarvi di me? Non le bastava la signorina Catherine?», riprese Elizabeth. La paura si stava lentamente tramutando in ira.

«Mi perdoni, ma non ho un buon rapporto con il signor Sherlock Holmes.», commentò lui, sempre con lo stesso tono sarcastico di pochi momenti prima.

«Non mi era necessario saperlo, ma la ringrazio. Ora, potrei sapere perché sono qui?»

«È rimasta impressa nella mente dei miei fratelli.», ridacchiò
«Le chiederei il favore, ovviamente pagato, di offrirmi informazioni su come Sherlock svolge le sue giornate.»

«Perché mai dovrei dirglielo? A quale scopo? Sherlock è un criminale in borghese?»
Elizabeth era seria nel tono, ma Mycroft sorrise, quasi divertito.

«Per quanto le possa sembrare strano, io sono una delle figure più potenti d'Inghilterra e vorrei tenere d'occhio mio fratello... Sa, non è molto sano di mente, l'avrà sicuramente notato. Ci tengo alla sua salute e Catherine è sempre in viaggio...»

«Mi sembra più un sociopatico che un grave fuori di mente.», commentò osservendaolo
«In ogni caso, cosa dovrei fare di preciso?»

«Spiarlo, avvicinarsi a lui e informarmi dei suoi casi: devo controllarlo.»

«Credo che mi odi. Non penso di aver molte possibilità nell'instaurare un rapporto sano con lui...»

«Ci riuscirà, io confido in lei. Anche se credo non sia necessario creare un vero e proprio rapporto con lui.» Mycroft sorrise nuovamente, sicuro di averla persuasa.

Dopo aver finito di parlare di come avrebbe dovuto svolgere quel lavoro, ripresero il discorso della paga: Elizabeth rimase sorpresa. Per quanto non volesse accettare quella proposta di "lavoro" si ricordò delle spese dell'università, che avrebbe dovuto pagare di lì a poco.
D'altronde Sherlock Holmes non si era dimostrato gentile nei suoi confronti e a lei del denaro in più non avrebbe che giovato. Avrebbe sistemato quei dissidi tra fratelli con velocità e poi tutto sarebbe tornato alla normalità. O almeno così sperava.

Sebbene titubante, la giovane approvò ma, indotta anche dalla sua grande curiosità, disse che avrebbe accettato l'incarico solo dopo essere venuta a conoscenza dei connotati dell'uomo, che la scrutava costantemente.

«Diamoci del tu, ormai siamo in confidenza no?»
Elizabeth annuì.

«Posso solo dirle che sono il Governo Inglese in persona, immagino si debba accontentare di questo. La mia vita non è particolarmente interessante, quindi le risparmio il resto.»  Mycroft sorrise in modo beffardo.

La giovane non era per niente convinta, ma tanti dettagli di lui le fecero comprendere come non stesse mentendo: l'auto che l'aveva portata in quel luogo, infatti, aveva una targa particolare, posseduta solo da membri del Governo. Elizabeth lo sapeva bene, altrimenti sarebbe fuggita senza pensarci due volte.

Mossa da ciò, ma soprattutto da irrazionalità, Elizabeth gli strinse la mano, sancendo il patto.

«Ti ringrazio, ora puoi pure risalire sull'auto, ti riporterà a casa.», disse l'uomo sorridendo, fiero di essere riuscito a convincerla.

«Vorrei anche...»

«Stai tranquilla, la tua auto è già a riparare.»

Elizabeth sorrise soddisfatta e prese rapidamente posto sul veicolo.

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