Capitolo 19

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Nei giorni successivi le indagini sul caso di omicidio proseguirono, ma ancora nessuno immaginava chi potesse essere l'assassino.

Elizabeth pensò molto alle parole di Sherlock e se da un lato aveva il timore di essere in pericolo, dall'altro desiderava con tutta se stessa scoprire l'identità del criminale. Perciò cercò di parlare il più possibile con Greg per estrapolare il maggior numero di informazioni, ma ritornava sempre indietro con un pugno di mosche: anche Scotland Yard era in grande difficoltà.
Era cosciente del fatto che colui che ne sapesse di più fosse Sherlock, ma il suo orgoglio era così grande da non volerlo contattare in alcun modo.

Un lunedì, dopo aver frequentato le sue ultime lezioni universitarie, ritornò a casa in fretta e si preparò della pasta. A differenza di molti altri inglesi, sapeva benissimo come cucinarla grazie ai suoi genitori, che le avevano insegnato come prepararla dopo un lungo viaggio in Italia. Collegandosi a ciò iniziò a ripensare a loro e decise di contattarli.

"Ciao mamma, allora? Tutto confermato per venerdì?", scrisse la giovane in un messaggio, per poi inviarlo. Non si aspettava una risposta rapida, sperava solamente che fosse positiva.

Appoggiò il telefono sul comodino di vetro del salotto e si diresse verso la cucina, facendo attenzione a non far cadere il piatto stracolmo.
Una volta finito il pranzo si sdraiò sul divano per riflettere nuovamente sull'omicidio.
Prese in considerazione le ipotesi di Sherlock che, per quanto non potesse sopportarlo, rimaneva uno dei migliori nel suo campo: lei poteva essere in pericolo, ma chi altro?

"John sicuramente... Però abita con lui e se in qualche modo mi sta controllando, su di lui la strada è ancora più spianata; per la signora Hudson sarà la stessa cosa... e Molly? Molly lo saprà per certo, Sherlock sarà andato all'ospedale per esaminare qualcosa e glielo avrà detto."

E così fece per tutte le persone a lui vicine, compreso Greg, il quale lei stessa si era presa la briga di proteggere in qualche modo.

Fissò il muro e poi chiuse gli occhi per qualche minuto per riposarsi dall'intensa giornata che aveva passato. Li riaprì di colpo, dopo che un lampo di genio le attraversò la mente e riguardò il quadro attaccato al muro di casa sua.

«Oh Elizabeth, ma quanto sei stupida!», esclamò.

Si alzò di scatto e indossò la prima giacca che le capitò davanti, prese la borsa e salì sulla sua auto.
In meno di quindici minuti si ritrovò sotto l'abitazione vista ed esplorata circa un mese prima.
Era molto imbarazzata nel presentarsi lì dopo quello che era successo e non avrebbe mai immaginato di suonare il citofono volontariamente.
Dopo qualche secondo prese coraggio e suonò con impazienza: oltre all'imbarazzo momentaneo provava una forte ansia, temendo che fosse successo qualcosa d'irreparabile.

Fortunatamente quella sensazione svanì pochi secondi dopo, sentendo quella voce così chiara e femminile.

«Sì? Chi è?», rispose Catherine, svogliatamente.

«Sono Elizabeth, ho bisogno di parlarti urgentemente. Posso salire?»

La ragazza non rispose, ma aprì direttamente la porta e il cancelletto.
Un minuto dopo la giovane si trovava dentro casa sua: era leggermente in disordine, i divani erano stati spostati e la parete dietro di essi era diventata di un bianco crema.

Notò poi la giovane con il fiatone e i capelli biondo rame decisamente in disordine, che cercava di portare fuori una decina di tele impacchettate fra loro.
Quest'ultima, appena si accorse che Elizabeth era già arrivata, si scusò per le sue condizioni e chiese le motivazioni dalla sua visita inaspettata.

«Hai ragione... Scusa per questa "irruzione", ma in questi giorni c'è stato un nuovo omicidio e...»

«Sì, l'ho sentito al telegiornale, e quindi?» la interruppe la giovane. 

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