Qua la storia si fa complicata, cari lettori. Abbiamo fatto un piccolo balzo in avanti, abbastanza per scorgere quale effetto abbia avuto la lontananza su Izuku e, soprattutto, su Katsuki. Cosa sarà successo? Nei prossimi capitoli verrà spiegato tutto per bene, ma volevo mostrarvi la fine per poter comprendere quanto il loro animo si possa sconvolgere nel profondo e per stuzzicare il vostro interesse.
*= mi sposto fra le stelle.Il sole sta tramontando di nuovo, i grattacieli sono inondati da una luce aranciata che pian piano discende sulle strade, corre sull'asfalto e giunge infine ai miei piedi. Questa sera d'inizio primavera ha fermato il tempo ed il vento ha avvolto la città con il suo mantello, la brezza non ancora tiepida ha reso fredda la punta del mio naso. Mi sistemo meglio la mascherina sul volto, la scorsa settimana ho avuto una leggera influenza e mi porto dietro ancora qualche sintomo.
Sono all'incrocio della quinta strada, a metà fra la periferia ed il centro, tengo stretto il sacchetto della farmacia fra le dita e mi mostro con spavalderia ai resti della fredda stagione appena finita. È stato solo un banale raffreddore, qualche colpo di tosse, a malapena un paio di linee di febbre, nulla di cui ci si debba preoccupare. Oltrepasso a grandi falcate la stazione e già sento le mie gambe implorare pietà; non ho smesso di camminare da quando sono uscito.
Non ho voglia di rifare il lungo percorso dell'andata, decido di tagliare per il parco.
Fa caldo, fa freddo fra l'erba rinata nel verde più brillante che abbia visto al di fuori dei tuoi occhi, gli alberi stanno muovendo rami carichi di foglie non del tutto maturate, le margherite ai bordi del sentiero di pietra stanno iniziando a chiudersi in vista della notte. Sono premature, ma spettacolari con i loro steli sottili e quei piccoli petali che, come piume, si adagiano sul prato.
Le suole del vecchio paio di converse che indosso strisciano leggere e non corro, no, sto assaporando l'odore dei fiori prima che sboccino passando vicino al gazebo avvolto nella glicine, riposando la vista nelle acque del laghetto giù dal basso pendio. Che nostalgia, è proprio in questo posto che mi hai rivolto il tuo primo "Ti amo" beandoti della luce delle stelle cadenti.
L'ombra delle memorie mi segue mentre avanzo, porta con sé un sospiro di felici ricordi. Sembra passata un'eternità dall'ultima occasione in cui ci siamo dedicati parole tanto fragili.
La nostra prima volta, l'inizio della nostra storia, i primi tocchi inesperti, la giovinezza di un'amore che non ci ha mai abbandonato, ritrovo tutto sulla panchina delle confessioni su cui abbiamo affrontato lunghi e brevi discorsi; di tanto in tanto ci fermavamo in questo luogo per mangiare i deliziosi muffin di Naomi. Non ne ricordo più il sapore, ma vedo ancora la pioggia sotto alle nuvole dei ricordi mentre sfioro il legno ruvido, sono tentato di sedermi e subito la fretta mi coglie nuovamente e ritraggo la mano. In una mattina limpida come questa sono giunto ad una risoluzione e non macchierò il nostro passato con il retrogusto di rimorso che posso sentire sotto la lingua.
Resteremo perle scintillanti in fondo al mare della vita che abbiamo condiviso, so che lo vorresti anche tu.
Giungo al confine dell'ingresso secondario quando avverto un gran bisogno di voltarmi a guardare i passi appena fatti e le impronte già scomparse. Adoro l'aria fresca del parco, ne raccolgo un gran respiro nei polmoni e mi volto.
Presto il grigiume dei palazzi mi opprime, ma lassù, non prestando attenzione alle pesanti pareti di cemento che mi circondano, il cielo è limpido e riesco a scorgere le rondini sorvolare indifferenti questo triste paesaggio umano. Vorrei tanto essere come loro e potermi permettere la stessa spensieratezza.
Con questo folle desiderio in testa ho interposto una lunga distanza fra me ed il centro della città.
I bagliori del sole stanno precipitando alle mie spalle quando attraverso l'atrio e mi precipito nell'ascensore. Cerco di non dar peso al cattivo odore, questo cubicolo metallico peggiora ogni volta che vi metto piede e penso proprio che la prossima volta prenderò la via delle scale. Sbuco in corridoio e sfilo il cordino della mascherina da dietro l'orecchio, ho la chiave stretta fra le dita e mi appresto ad inserirle nella serratura con impazienza. La porta cigola nel chiuderla, vengo investito dalla corrente proveniente dalla finestra lasciata aperta e mollo le scarpe all'ingresso buttandole in un angolo.
Deposito il cappotto su una sedia, do una veloce occhiata in giro felice di trovar tutto abbastanza in ordine e mi avvicino alla cucina intenzionato a mettere su il caffè che rimpiango non aver bevuto quando mi son svegliato. Prendo il piccolo barattolo di vetro in credenza, prelevo un paio di cucchiaini belli carichi della fine polvere ivi contenuta, preparo il tutto e accendo il fornello. Che buon profumo, sarà anche meglio una volta caldo e fumante. Ora posso rilassarmi. Mi giro e lascio che il mio peso si scarichi sul bordo del ripiano della cucina.
Eccomi, sono di nuovo in questa stanza, ma per l'ultima volta.
Due mesi sono volati, chi avrebbe potuto dirlo? La neve ha smesso di scendere, la pioggia pure, e con loro si sono trascinati verso la fine anche i vari problemi che ho affrontato. Il peggio è stato superato, mi son detto ieri, e contrariamente alle aspettative non ne sono stato appesantito, tutt'altro, adesso mi sembra di galleggiare. Starò qui per un po', viaggerò fra i miei pensieri e poi tornerò a terra, chissà in che modo.
Il letto è sfatto, pronto ad accogliermi ancora per questa notte, la borsa se ne sta ai piedi del comodino in attesa di esser chiusa, la fisso e mi accingo a sfilarmi la felpa per ripiegarla e riporla al suo interno. Faccio qualche passo, sistemo per bene alcuni vestiti che strabordano e tiro la zip.
Il gorgoglio della moka mi risveglia dall'intorpidimento, mi sbrigo a spegnere il fuoco e verso il caffè fino a svuotare il recipiente nella tazza. Sarà troppo? Non importa, lo berrò tutto comunque anche se significherà avere l'insonnia come compagna per le prossime ore.
Mi sfrego un occhio avvicinandomi al tavolo, vi poso sopra la ceramica e mi chino sul computer dimenticato acceso prima di uscire. Un tocco e lo schermo si accende inondando le mie iridi di luce; chiudo le palpebre, le risollevo lentamente e ricarico subito la pagina delle notizie lasciata aperta.
Niente di che, sono sempre in cima alla moltitudine di articoli.
Che orribile foto hanno scelto, considero. Sto lì, sul bordo del tetto di un palazzo, costume invernale a tenermi caldo, intento a guardare tutti dall'alto in basso; ti piacerebbe, sembro stranamente calmo. Forse l'hai già vista, conoscendoti la cosa è molto probabile e mi sento improvvisamente orgoglioso di quell'immagine.
Evitando di leggere i titoli chiudo tutto, premo soddisfatto il tasto per arrestare il sistema, poco dopo sto riponendo il PC nella sua custodia che va ad ammassarsi sulla pila di documenti all'angolo del tavolo. Sono tutte buste sigillate che dovrò portare in ufficio, ma prima passerò dal mio studio e le metterò in bella vista sulla scrivania così che tu possa leggere ogni foglio. Voglio che tu lo faccia, anche se non vorrai saperne nulla.
Sto bevendo gli ultimi lunghi sorsi, la tazza si è presto svuotata ed ora ho una tale fame che mi ritrovo a pensare a qualche veloce ricetta. La scelta è rapida: Katsudon siano, che ne dici? A te piacciono tanto, se potessi ne metterei da parte una porzione per te, ma aprendo il frigo constato di aver fatto andare quasi tutta la spesa di tre giorni fa e di aver abbastanza ingredienti per un solo piatto. Mi rifarò con la prossima cena, te lo prometto.
E non aspetto che il mio stomaco si metta a brontolare insistentemente, in poco ho provveduto a riempire una ciotola di riso e carne dalla morbida impanatura ed in ancor meno tempo l'ho svuotata stando seduto scompostamente sulla sedia davanti alla finestra che ho chiuso non appena le temperature si sono abbassate. Sto mandando giù l'ultimo boccone stringendomi un ginocchio al petto e allungando l'altra gamba verso il pavimento. Fisso le luci oltre il vetro e poso le bacchette con lentezza. Non so perché o forse sono ben conscio del motivo, non cerco di capirlo, inizio a sentire una certa ansia crescere. Non riesco a scollarmela di dosso fin quando, dopo aver lavato le pentole, aver preso l'aspirina ed essermi fatto una doccia veloce, mi infilo fra le coperte ed il leggero fastidio che provavo esplode facendomi deglutire a fatica il groppo che mi è salito in gola.
Lo sapevo che non avrei resistito, maledetta speranza, mi sono illuso in un modo così idiota.
L'orologio segna le dieci e mezza passate, il giorno è finito troppo velocemente, che peccato, sto per tradire i buoni propositi che avevo fatto. Mi tiro su ed abbandono il tepore del materasso, accendo la luce, mi guardo attorno spaesato. Da cosa dovrei iniziare? Non sto a cambiarmi, mi tengo addosso la tuta ed indosso il cappotto, infilo le scarpe ed incomincio a fare avanti e indietro per la stanza raccogliendo le poche cose che ho lasciato fuori e le infilo ordinatamente nelle tasche della borsa che guardo infine con rammarico. Sarà di sicuro più pesante di quanto mi ricordi.
Bene, non c'è più altro da fare se non uscire. Lascio fuori la borsa ed indugio un attimo dondolandomi sui piedi, ne sono davvero sicuro? Stritolo le chiavi fra le dita e me ne convinco. Esco e le lascio appese all'esterno, come mi ha lasciato detto Mina.
Scendendo le scale mi assicuro di aver portato via con me tutto, persino i pezzi di pensieri che aleggiavano in quel ristretto spazio non sono sfuggiti alla mia attenzione e ne sono soddisfatto. Ho costruito una routine davvero assurda, maniacale direi, e non vedevo l'ora di abbandonarla; per questo uscendo all'aria aperta nella calma delle stelle sopra alla mia testa scrollo le spalle preso da uno strano brivido. Lascio volentieri quel che è stato per poter tornare da te.
Sono finito per camminare di nuovo, ma la città ha un peso diverso alla sera e per quanto debba percorrere numerose vie prima di giungere alla meta non mi sento stanco. Passando per le strade più trafficate faccio fatica a farmi spazio fra le combriccole di ragazzi che hanno deciso che il venerdì sera sia un'ottima orario per incontrarsi, sbuffo e non nascondo qualche occhiata scocciata quando capita che qualcuno mi urti.
Quanto manca? Fatemi passare! Alzo gli occhi al cielo quando finalmente vedo la fine della folla e mi imbuco spedito in una trasversale per metter piede nella parallela e riconoscere il palazzo che sta a qualche decina di metri più in là.
Dopodiché ho un piccolo vuoto, come sono passato dall'ingresso al corridoio dell'undicesimo piano? Mi fermo di colpo per darmi il tempo di rimettermi assieme, la mia mente è rimasta indietro e devo aver pieno controllo in questo momento.
Ascolto il mio respiro, è sempre stato così assordante nel silenzio? Ed il cuore? Non trema, è preparato e trovo sollievo almeno in questo.
Non se ne parla di tornare indietro, non adesso.
<Ci vediamo tra un mese- le tue parole riemergono dalla confusione che si è fatta viva d'improvviso-non dimenticarlo>. Non l'ho scordato, come avrei potuto? Forse ero terrorizzato dal doverti rivedere, forse ho creduto di non volerlo fare, forse mi sono convinto di odiarti e di odiarmi tanto da non voler neanche prendere in considerazione l'idea, ma sono qui, no?
Mi scrollo di dosso questi ripensamenti e tiro fuori le chiavi di casa, non mi preoccupo di non far rumore, nel profondo desidero che tu mi senta. Ma eccola tornare, l'ansia mi prende nelle sue grinfie mentre mi tolgo le scarpe ed il cappotto per la seconda volta; e se in realtà non volessi che tu ti accorga della mia presenza? E se avessi sbagliato ad essere impaziente? La mia curiosità ha davvero così tanta smania di esser soddisfatta? Fremo di nervosismo lasciando cadere la borsa sul divano e dirigendomi a passi felpati nel breve vicolo ceco che conduce alla camera da letto. Mi pare un percorso angusto ora che ci sono immerso, in un moto di codardia cerco di nascondermi nell'ombra dell'appartamento. Mi accosto ad una parete tenendomi le mani a stringermi il busto in un abbraccio che spero mi conforti. Il petto sta suonando una canzone movimentata che non riesco a riconoscere. È paura? È panico? Per quanto mi sentirò così?
Vorrei morire adesso piuttosto che continuare ad affondare nel pavimento che appare come una distesa oscura nel buio delle stanze.
Un fruscio mi fa rizzare i capelli, potresti essere tu. Tendo le orecchie per distinguere terrorizzato il lieve scricchiolio delle doghe sotto al materasso ed i primi tonfi sordi sul parquet. Tengo lo sguardo basso anche quando credo che tu abbia oltrepassato la soglia della camera, certo che tu mi abbia subito visto e che ti stia avvicinando con una lentezza che mi tortura. Lo fai apposta? Ti prego, smettila, se devi tormentarmi non devi sforzarti: lo hai già fatto, specialmente nelle quattro settimane appena trascorse.
Sussulto visibilmente vedendo i tuoi piedi scalzi comparirmi di fronte. Sono instabile e mi schiaccio contro il muro, non so se per allontanarmi o per trovar sostegno.
Mi sto stritolando da solo, le unghie affondano nei miei fianchi e sono in attesa di qualcosa che non voglio che mi sia rivelato. Nello starmi davanti mi sbarri la strada per una via d'uscita, mi chiedo quali intenzioni tu abbia. Lasciami respirare, non ce la faccio ora che posso sentire il tuo sguardo addosso. Sto per cedere allo sconforto per l'incapacità di prendere una decisione sul da farsi. Una volta non avrei esitato in questo modo, non ti avrei permesso di rubarmi quel poco di controllo che mi permetteva di restare in equilibrio, ma dopo quello che è successo, dopo quel che mi hai rivelato, dopo quel che mi hai mostrato cosa posso pretendere da me stesso?
Fallo se devi, ma fallo subito, non attendere oltre. Sono talmente concentrato su quel che sento da non accorgermi dei tuoi movimenti.
La tua mano ha raggiunto il mio collo e si è posata con un tocco gelido sulla pelle, ho una miriade di motivi per scostarmi, ma i miei muscoli non mi ubbidiscono. Avverto le palpitazioni farsi assillanti come echi in ogni parte del corpo.
<Non stavo dormendo> mi informi in un sussurro. Allora abbiamo entrambi la pessima abitudine di passare la notte in bianco se colti dall'irrequietezza dei nostri sentimenti, è buffo. Non ti ho svegliato, ma non so se sia cosa buona e provo timore ad immaginare per quali motivi tu rifugga come me dal sonno. Ho come la sensazione che non siano gli stessi.
<Io non ci ho neanche provato> ammetto e sento le tue dita correre fino alla nuca ed infilarsi fra i capelli tirandoli appena. Mi decido a sollevare il mento, più per seguire il tuo fugace stimolo che altro e pur non riuscendo a cogliere ogni tuo tratto a causa della poca luce proveniente dalle vetrate del soggiorno, ne sono ammaliato. Non hai freddo a stare con una delle mie larghe canotte? Vorrei porti la domanda ed al contempo mordermi la lingua. Non mi decido per nessuna delle due opzioni e proseguo nel restare incantato. Sei sempre stato così gentile nell'accarezzarmi quando non merito tali attenzioni? Continua.
Provo ad imitarti ammorbidendo la stretta sul mio corpo e liberandomi dal velo di prudenza che mi ero imposto. In verità volevo che si sgretolasse da infiniti secondi. Sto sfiorando le tue spalle, vibri sotto al soffio del nostro tepore ed è come se non ti avessi mai sentito vicino come in questo istante. È ok, ma non sono riuscito a fissarti negli occhi.
Il fiato mi si accorcia, questo è il mio limite e tu lo sai.
Mi irrigidisco un poco, il giusto perché tu colga ciò che non esprimo a voce: la ragione del mio precoce ritorno.
Sappiamo entrambi che avrei dovuto lasciare quell'angusto monolocale domani mattina, cosa mi ha spinto a cambiare i piani? Tu potresti dar voce a desideri che hai nascosto meglio di quanto io mi sia sforzato per trovarli e mettere a nudo con spiazzante sincerità l'egoismo del mio gesto.
Desideravo te, con ogni pericolo in cui possa incorrere, con la paura annidata nel cuore e con il ricordo del nostro ultimo incontro impresso sul mio corpo.
Infine sei riuscito a portarmi alla pazzia, ne sei soddisfatto?
Pochi centimetri, avanzi di tanto così e trasalisco ulteriormente avendo la possibilità di sentire il tuo fiato assottigliarsi. Non resisto, voglio scappare, no, voglio restare, voglio entrambe le cose. Lacererai la mia carne, ho questo sentore e mi sento come una preda che non ha corso abbastanza per scampare alla tempesta. La pioggia cadrà sulla mia schiena e scivolerà lungo il fianco che l'altra tua mano ha raggiunto, ma non ha stretto, e sarò sommerso dal temporale, incastrato nelle pozzanghere che, come specchi, distorceranno il mio riflesso.
Inconsciamente le mie labbra si separano ed ecco che divieni il predatore che mi mette tanto timore. È stato veloce, o forse è stato lento, chi può saperlo? Mi sei venuto incontro premendo sulla mia pelle, espirando famelico prima di costringermi in un bacio che non ricambio all'istante. Tuttavia impiego poco ad arrendermi e non appena lascio andare la convinzione di poterti respingere mi scontro con la superficie che, assieme a te, mi tiene in trappola.
Il tuo tocco si sparge su di me, non posso fermarti, sali e ridiscendi, tendi i miei vestiti. Potrei pentirmi di questa resa, cosa ne pensi?
Persisti nel tenermi vicino, non mi lascerai andare, mai, mai e poi mai; sono felice e triste, mi permetterei di piangere ma so di dover conservare le lacrime per dopo.
Il tuo palmo tasta il mio petto, ascolta il ripercuotersi dei battiti, ti direi di liberarti, se lo vuoi, della maglia che indosso. Potresti riuscire a farmi sprofondare maggiormente, non è questo il tuo intento?
Mi inebrio della perdizione a cui sottostiamo mentre accogli i petali rosati delle nostre bocche in un contatto dolcemente violento. Lo volevo e non lo sapevo, bramavo ogni morso ed ogni ansimo che ci stiamo dedicando.
Ti separi mentre sono ormai perso inesorabilmente nello scontro in cui tu hai prevalso, le nostre labbra sono umide, arrossate credo e così anche le mie guance che sento scottare.
<Avevo pensato - dici facendo vibrare i polmoni per riprendere fiato ed io tremo con loro sentendo il tuo busto premuto sul mio. Non hai allentato la presa ed io ti prego di non farlo - che non saresti tornato>.
Ti avvolgo meglio salendo lungo le spalle, scivolo sulle scapole e riprendo la salita per circondarti la testa, i pollici a sfiorarti gli zigomi, le altre dita passano fra i pungenti fili freschi di taglio. Amo questa tua pettinatura, è piacevole al tatto ed ogni punta che avverto genera una scossa che mi percorre fino ai piedi.
Le mie palpebre sono stanche, mi piacerebbe chiuderle e darti via libera, ma l'orgoglio torna per un'ultima toccata e fuga.
<Non volevo farlo, scusami, non ho resistito> mi sporgo per regalarti un bacio delicato, per un attimo mi sembra che tu mi stia per lasciar andare e contraddicendo il mio volere vado a stritolare la stoffa della tua canotta.
Non osare allontanarti, posso recuperare il coraggio che basterebbe a farti intendere le mie intenzioni. No, ho frainteso, me ne rendo conto quando butto fuori aria in un gemito che soffoco sul nascere. Giochi sporco, ma non è una novità e ti fisso con un sorriso di sfida sentendo la tua gamba insinuarsi fra le mie e la tua mano scostare il tessuto dei vestiti. Che stupido errore, in verità ti ho mentito.
<Allora ti fidi di me?>.
<Completamente>.Scendiamo dal sentiero fra i monti dei nostri sentimenti, ci riposeremo una volta giunti a valle. Ho percorso miglia con l'anima appesa come un palloncino al mio corpo. Ero solo, mi avevi abbandonato.
Mio disperato amore, mio Ero, hai provato a chiamare il mio nome nelle acque del mare e non hai avuto risposta. Avresti mosso cielo e terra per riuscire a raccogliere le mie ali dagli abissi e sottrarle alle intemperie del mondo privo di respiro che mi aveva inghiottito. Se la nostra storia potesse parlare sarebbe muta, segreto celato da avidità e grida portate via dalla corrente.
Non affannarti a riaccendere la lanterna, ormai è tardi per disperarsi.
Le onde saranno calme, saranno movimentate e tu non potrai averne timore, non rinunciando alla vita che mi avevi donato. Quanta insensibilità puoi ancora dimostrare?
Ritorna da me, ti ho atteso ogni giorno con il cuore in mano ed il medesimo sguardo che mi rivolgi adesso. Impediscimi di celarmi ai tuoi occhi; Amor, che a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte, Caina attende chi a vita ci spense e la dolce sorte chi il nostro dolore comprende.
Colpevoli di tutto e dichiarati innocenti fino allo sfinimento, non potrò nutrire altre speranze. Cresci, ma non troppo, ed io mi spegnerò con la flebile fiamma che racchiudi.
Ho scoperto quest'immagine in galleria dopo aver finito di scrivere, non si adatta perfettamente?
STAI LEGGENDO
Lost on you -Bakudeku (seguito di Even if)
FanfictionSeguito di "Even if", ff dedicata alla Bakudeku (necessaria la lettura del libro precedente) Katsuki e Izuku si riscoprono persi nel dedalo di un amore contorto e instabile. Vicini e lontani, con un passato sempre pronto a perseguitarli, cercheranno...