/16/ Il linguaggio dei fiori

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Ti ho visto in stazione, non chiedermi quando, so solo che sei apparso come una sbavatura di colore sulla tela che sto dipingendo. Gli acquerelli stavano già colando dalle setole del pennello, lo avevo posato sulla tavolozza, immerso nel miscuglio di sfumature umide. Ho continuato a modificare il distorto disegno della mia vita in questi anni e se tu fossi scomparso avrei lasciato il quadro ad asciugare sotto al sole di un'estate infinita. Sarebbe stato accolto dal tepore mentre io mi gettavo fra le braccia dell'erba secca e rotolavo giù dalla collina dei ricordi. Una volta raggiuntane la fine sarei stato felice, lo so.
Le tende delle finestra sarebbero state sempre chiuse di giorno, tirate giù nella notte in un desiderio di libertà che poco a poco avrei fatto mio. La realtà è fragile, ma non malleabile e non ho mai potuto sapere come mi sarei svegliato una mattina con la certezza di non aver più nulla di tuo. Se ti fossi dissolto quel giorno, se mi avessi detto addio, se fossi stato raccolto dalle gelide dita della morte cosa sarei adesso? Ho solo potuto fare inutili supposizioni e persino quando la tua fine è parsa vicina, troppo vicina, non sono riuscito a sfiorare la superficie dell'acqua e sono annegato andando sempre più a fondo.
È sbagliato, io credo, affidarsi in questo modo al proprio amore. Poiché come tu hai sgretolato ogni mia difesa, io ti ho condotto nell'oscurità dei tuoi sentimenti. Mano nella mano, mai abbastanza distanti e mai abbastanza vicini, siamo precipitati nelle nostre stesse trappole.
Non ho avuto la forza per risalire e portarti con me, potrò fare ammenda per un tale comportamento?
Non hai alcuna ragione per perdonarmi e non te lo permetterei in ogni caso, eppure cerchi di farlo. Ti strozzerai con le parole a furia di cercare di pronunciarle quando non vuoi dire ciò che pensi.
Il bello ed il brutto di amarti è riuscire a capirti senza alcun bisogno che tu vi dia voce ed io ho inteso ogni frase che hai rimandato in gola ogni qualvolta ti risalisse come bile fino alla bocca.
Per questo ti ho confessato i miei rancori e ti ho lasciato a digerirli quando in verità ti stavo anche offrendo l'opportunità per rigettarmi addosso le legittime accuse che ancora adesso vuoi rivolgermi e che io non ho motivo per negare. Sono stato io a distruggerti, vuoi che te lo dica chiaramente?
Risolviamo tutto adesso, parliamone. Continuavi a blaterare e a sussurrare questa frase mentre mi dirigevo in corridoio, poi l'hai esposta con un tono più alto e lì ho capito: non avresti dato sfogo a ciò che ti tenevi dentro. Allora, piuttosto che odiare il mondo che avevi rifiutato, mi sono detto, vorrei che odiassi me.
Hai una vita ancora lunga da affrontare, ti reputo fortunato per questo, per esser scampato ad un destino che avresti rimpianto; lo hai costruito tu ed ora lo rinneghi con disprezzo, mi chiedo se un giorno avrai l'ardimento per accettare non i miei, ma i tuoi errori. Siamo creature sensibili, tienilo sempre a mente, e la troppa attesa che ci logora inizialmente più avanti ci fortificherà. Io lo so, fidati, mi sono irrigidito negli anni della tua assente presenza e ho coltivato campi di more attorno al nostro castello. Mi sono protetto come meglio potevo ed adesso sono così debole e così ricolmo di forze che sto strabordando in pesanti lacrime invisibili. Ci vuole coraggio per soffrire, forse almeno questo è qualcosa che abbiamo imparato entrambi. Il dolore che sale lungo le spalle e si addensa nella testa ci costringe a svelare i nostri lati peggiori e a cercare disperatamente i migliori, ci porta a conoscerci nella maniera più invadente, intima che si possa immaginare.
E tu forse, in quel corridoio, contornato da persone frettolose, non mi hai notato, né rivolto un pensiero, ma sappi che ho avuto rispetto per questo. Meritavi di avere un istante di pausa.
Il tremolio dei binari sotto al vagone che mi si è fermato davanti, un respiro nel mezzo della folla, le risate di alcuni ragazzi vicino alle scale, ogni piccolo particolare di questo posto mi riporta a te, alla giovinezza nella quale ti sei addormentato per risvegliarti in un futuro che non riesci a far tuo. Sto mettendo piede nel treno senza guardarmi alle spalle, non ti cerco, non ti chiedo di comparire improvvisamente e di tirarmi per la manica, siamo troppo realisti per sognare tali sdolcinati avvenimenti.
Le porte si chiudono, sono rimasto in piedi, appeso alla sbarra metallica per stare in equilibrio, mando giù il rimpianto di non esserti venuto incontro neanche oggi.
Ti vedo ancora spuntare con i tuoi riccioli verdi vicino alle scale dell'ingresso, schiena posata contro al muro, gamba destra piegata, cellulare in mano, sono certo che avessi anche qualche mio vestito addosso. Eri stupendo, un filo d'erba sottile in un prato incolto, resiliente alle intemperie. Non guardavi nessuno in volto tanto eri concentrato a scorrere con il pollice su quel piccolo schermo. Stavi aspettando qualcuno? Magari Eijiro, magari Shouto, chi può saperlo? Sono stato sollevato dal fatto di vederti respirare all'aria aperta invece di stanziare nel nostro appartamento. È la seconda settimana di febbraio, il clima si sta iniziando a scaldare e così spero stia facendo anche tu.
E quando ti ho visto tirar fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette, il mio, non mi sono arrabbiato. Le hai guardate per alcuni secondi e ho avuto l'impressione che ti stessi mettendo il cuore in pace e cedendo alla rassegnazione mentre ne sfilavi una. Scusami se ti ho lasciato solo quel sapore amaro e piacevole prima di andarmene, so bene con che sguardo mi fissavi le poche sere in cui cedevo allo stupido vizio di fare un tiro alla fine delle giornate più pesanti.
Non avrei mai immaginato di poter sentire una tale stretta al petto ad osservarti in brevi, dolci istanti avvicinare il filtro alle labbra, inspirare a fondo ed abbandonare la testa all'indietro, mento alzato e chioma adagiata alla parete. La linea della mascella, il collo, la clavicola che si intravedeva dal tessuto scostato della maglia bianca, i maledetti jeans strappati che ti ho sempre detto di non mettere quando sei con me, mi piaci troppo quando li indossi, la mia giacca di pelle e lì, in basso, le tue solite scarpe rosse. Ogni particolare mi ha investito e fatto deglutire a vuoto.
Ma non ho avuto la possibilità di assaporare la tua vista mentre buttavi fuori l'aria fumosa, me ne sono andato trasportato dal via vai di impiegati, turisti e studenti che ci separava. Non sono diverso da loro, anche io ho un lavoro da portare a termine e ho pensato, in preda alla follia, di esser grato per questo, per avere una distrazione.
Dopo la nostra ultima chiamata non abbiamo più saputo nulla l'uno dell'altro, io per primo non ho voluto chiedere di te né a Mina, che di sicuro qualcosa mi avrebbe saputo dire, né a Kirishima o a chicchessia. Ti ho trattato come un estraneo che, insistente, prorompeva fra i miei pensieri nelle scorse settimane, credo che tu abbia fatto lo stesso con me. Respiriamo un po', dobbiamo farlo.
Adesso precipito, mi dico, non posso continuare a mentire a me stesso; voglio tornare sui miei passi, ma al contempo desidero restare fermo. Non hai imparato a lasciarti andare, non lo hai mai voluto fare, neanche con me, e temo che in questo momento tu debba essere forte senza il mio sostegno che da tempo tremava e presto si sarebbe spezzato.
Mi hai detto, con i tuoi modi di fare frettolosi, le notti in cui restavi sveglio al mio fianco, i sogni che rimpiangevi di non riuscire a ricordare, di aver bisogno di molto di più da me. Dopo il susseguirsi degli anni in cui mi sono isolato dal mondo e ho trovato rifugio nel segno che credevo indelebile del tuo amore finito per esser quasi cancellato, non sono ancora pronto, riesci a crederci?
Ti ho tradito, l'ho confessato appena mi è stato possibile, pochi giorni dopo il tuo rientro a casa. Non ho pensato di ricorrere alla scusa dell'alcol, ero cosciente del peccato di cui mi stavo macchiando, ti ho raccontato la verità, persino di come mi sia lasciato abbindolare dal sapore della novità che non stavo cercando. E tu cosa mi hai detto? <Va bene così, Kacchan, non ti biasimo>. Non mi hai rassicurato, tuttavia, di non esserne stato ferito, né mi hai rivolto parole gentili, seppur false, per farmi sapere che forse anche tu avresti potuto fare lo stesso. Io ho sentito, per quanto tu non volessi darla a vedere, la delusione che i tuoi occhi hanno celato in quell'occasione. Mi sono allontanato da te e mi sono riavvicinato senza delicatezza.
Ho troppo per cui far ammenda che tremo al pensiero di darti via libera per leggere le pagine di un diario che tengo stretto al cuore e che ho cercato di bruciare inutilmente. Il passato mi perseguita, sempre e comunque.
Viaggio fra i sentieri delle nostre vite, un po' nella tua, un po' nella mia, saltello fra le mattonelle di pietra evitando i solchi dove la terra sta fiorendo ed il nostro giardino segreto è ancora chiuso. Ho perso le chiavi e tu mi attendi vicino all'altalena sulla quale le rose si stanno arrampicando. Non stringerne le corde, ti pungerai, ma so che lo farai.
Questa volta però sarà diverso, non è vero? Non cercherai conforto fra le mie braccia, no, afferrerai le mie ali e le tirerai per farle sanguinare. Hai accumulato troppo per ignorare anche le offese più leggere. Mi dico di esser preparato ad accoglierti almeno nel momento in cui non potrai più sopportare la nostra distanza, ma forse è solo l'ennesima illusione a cui mi concedo.
Respiro contro il vetro delle porte, sono ormai passati numerosi minuti e la tua visione sta sfumando, abbandonandomi mentre la imploro per restare. Alla fine potrei scoprire di esser io quello rimasto chiuso fuori dal mondo e che tu hai spiccato il volo senza il mio aiuto. Diamoci tempo per far sparire questi spiacevoli presagi, per guarire una volta per tutte dalle ferite che ci siamo procurati e potremmo riscoprirci a toccare le cicatrici l'uno dell'altro, a contemplare la mappa dei nostri corpi con un rinnovato interesse che mai potrebbe esser più sincero.
Che bizzarre coincidenze le nostre, che sembrano studiate per sprofondare con i battiti del cuore e ci impongono una fragilità a cui non siamo preparati. Eppure dovremmo aver imparato ad esser resistenti, a mantenerci in piedi sotto la tempesta, a restare a galla quando la pioggia ci sommerge ed invece eccoci a giocare a nascondino nei fondali dell'oceano. Le paure, i sentimenti, sono coralli che si allungano come ombre verso di noi. I nostri piedi sfiorano le anemoni. Non ne sei terrificato? Se ti prendessero, riuscirei a strapparti alla loro stretta? Non sono sicuro di volerlo scoprire, perciò ti prego di esser cauto. Quanta contraddizione! Vorrei anche che ne fossi divorato, non criticarmi per questo, è che io mi sono innamorato perdutamente nel tuo momento di maggior dolore e nel dolore il mio desiderio si accresce. Sono un uomo dai petali di vetro, sono un non ti scordar di me stretto fra le tue dita, un ranuncolo solitario se mi lascio cadere, un papavero che non ha saputo mostrarti la propria bellezza quando ne avevi bisogno.
Tu, ibisco dei miei pensieri, incanto fugace, cerca e spera, nelle giornate di sole, per un mio sorriso, scoprirai che ti sarò sempre accanto.
Ma ora siamo solo profumo di lavanda disperso nel vento, ci inganniamo cogliendo le foglie che perdiamo e seguendo il dolce odore della nostra pelle ci addentriamo nel dedalo che, con le sue alte siepi, ci offre un'abbagliante finzione. Qui le rose non sono bianche, non sono rosse, sono dipinte ed il porpora della tinta gocciola come sangue fino a terra. Ogni tanto lo vedi, il bianconiglio, tasta il terreno con nervosismo e ci invita a seguirlo; non farlo, resta con me ed anch'io rinuncerò a trovare una via d'uscita.
Un sibilo ad un soffio del mio naso: le porte si sono aperte. Che veloce risveglio è stato, sto già camminando oltre la biglietteria, passando davanti a muri che pian piano si fanno più scuri e coperti di graffiti indecifrabili. Sono tornato all'entrata del locale di Mina, alla luce del giorno ha un aspetto più sudicio del solito. Mi stringo nella giacca, mi guardo le scarpe laccate con disgusto: non mi vesto con tanta attenzione ai dettagli neanche alle riunioni o per le interviste.
Mi scrollo di dosso la voglia di voltarmi e filar dritto al monolocale. Forse è un bene essermi messo un poco in tiro, dopo tutto non vogliamo far brutta figura davanti a quel vecchio, no?
Attraverso la sala vuota e silenziosa, pesto sui gradini, chiunque sia nello studio mi riconosce sicuramente ancor prima che ne oltrepassi la soglia.
Allento il colletto e svolto l'angolo senza fretta, mi appoggio allo stipite e due paia di occhi mi si posano addosso.
<In anticipo, che onore> commenta sarcastica Mina e mostra i denti. La sedia davanti alla scrivania striscia e risalgo lungo le gambe esili dell'uomo che se ne sta a fissarmi con calma e preoccupazione assieme. Un sopracciglio leggermente inarcato, zigomi segnati ed evidente colorito pallido contornato da ciocche di capelli che iniziano oramai a sbiadire. Toshinori è cambiato, ma allo stesso tempo è rimasto lo stesso, almeno nel portamento.
<Giovane Bakugou> il solito saluto, non ha perso il vizio di chiamarmi a questo modo.
<Non più di tanto, ma ti ringrazio> gli dico con un ghigno in volto, tuttavia ben presto abbandono la serietà e mi rilasso un minimo. <Vedo che sei ancora intero> dico scherzoso.
<Non più di tanto, ma grazie> mi prende in giro? E sia, gliela faccio passare per questa volta. Gli sorrido e lui ricambia.
Stranamente i nostri rapporti sono migliorati da un anno e mezzo a questa parte, sarà perché mi sono fatto in quattro per adempiere al mio dovere di Hero, perché gli ho dimostrato di esser all'altezza dell'arduo compito che mi hai lasciato o sarà perché in fondo ho sempre provato simpatia per il suo viso scarno e purtuttavia allegro, fatto sta che abbiamo messo da parte i dissapori che avevamo maturato prima del tuo risveglio. Solo adesso realizzo che ti è passato a trovare una volta soltanto, giusto prima di partire per un viaggio l'autunno scorso dal quale è tornato a dicembre.
E l'immagine delle tue mani chiuse e dalle nocche bianche si fa spazio nella mia testa; quel giorno eri tremendamente teso, tanto che mi ero rifiutato di togliere il braccio da intorno alle tue spalle quando me lo avevi chiesto. Mi avevi ringraziato a modo tuo dopo, dandomi un bacio sulla guancia, ma senza rivolgermi nessuna parola.
Non avevi nessuna forza e neanche un briciolo di orgoglio rimasto per guardare in faccia il tuo mentore. Ai suoi occhi eri convinto di esser divenuto una delusione ed io non ho davvero avuto il cuore per raccontarti di quel nostro lontano incontro, in ospedale, quando tu ancora dormivi. Come avrei potuto ammettere i miei sbagli quando non avresti retto nemmeno un misero confronto? Ho rifiutato di esporti la verità, ora capisco di esser stato troppo dalicato. Lui aveva te. Non credo che siano necessarie altre malevole frasi per farmi un'idea di quanto negligente sia stato.
Gonfio i polmoni, mi sono irrigidito di nuovo.
<Hey, Ground zero, questo posto fa schifo> una voce si fa spazio nella stanza. Non posso dire di non averlo notato prima, ma l'ho ignorato per concedermi qualche istante di calma. Vicino alla finestra staglia con quelle piume purpuree che sfiorano il pavimento, si è girato solo adesso per fissarmi con quell'aria cupa che riserva ai colleghi e di certo non alle copertine dei giornali. Si sistema gli occhiali protettivi sulla testa, si stiracchia il collo, gli altri non lo direbbero, ma dagli eventi dell'Unione dei villain è invecchiato, non molto e non in modo facilmente visibile, però io lo vedo nella sua espressione. Ed io che speravo in buone notizie, che peccato.
<Non tutto è perfetto, soprattutto in questo posto, dovresti saperlo, Hawks>.

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Non so voi, ma Keigo Takami è uno dei personaggi che preferisco

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Non so voi, ma Keigo Takami è uno dei personaggi che preferisco. Non vedo l'ora di acquistare il nuovo numero e gustarmi tutti gli avvenimenti legati alla famiglia Todoroki (nonostante i vari spoiler che girano sui social). Avete visto la copertina del 29? Sono proprio impaziente, oltretutto la nuova stagione uscirà a breve!

Ho una lista infinita di serie da continuare (come fumetti intendo)
* fissa la libreria dove non ci sta più neanche un manga o un misero libro *... Devo prendermi un nuovo mobile.

Passate un buon lunedì anche per me che sono in dad a fare matematica, la mia nemesi, invece di continuare Inuyasha 😑.

P. S. : sì, ho iniziato a condividere con voi qualche immagine dalle mie raccolte perché è uno spreco ed un peccato non diffondere tanta bellezza.

Lost on you -Bakudeku (seguito di Even if) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora