Capitolo 12

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A volte capita nella vita.

Tutti subiamo qualcosa che ci spezza il cuore.

Perdiamo qualcosa o qualcuno.

Veniamo traditi.

Crolliamo anche se non l'avremmo mai detto.

Certo, sapevamo che poteva succedere con la mente ma il cuore non era veramente preparato.

Respiro corto, dolore al petto...

ecco come si sentiva Ignazio.

Con il cuore a frantumi mentre scappava via dalla persona che amava.

Non poteva sopportarne la vista nello stato in cui si trovava.

Le lacrime gli scendevano copiose sulle guance nel percorrere l'ultimo corridoio che lo avrebbe condotto verso l'esterno del palazzo... verso la libertà, la salvezza.

Sì, non voleva passare un minuto di più in quell'edificio tanto sfarzoso quanto opprimente.

Correva e correva.

Pochi passi e sarebbe uscito ma cosa che non fece.

Entrò in una stanza e si sbatté la porta dietro per poter stare da solo tra i suoi pensieri.

Un silenzio assordante.

Il respiro corto per il gran correre ininterrottamente.

Appoggiandosi alla porta Ignazio si portò la mano sul cuore e la strinse in un pugno.

Faceva male, tanto male.

Il cuore gli doleva come se gli stesse sanguinando.

Poi un urlo.

Un urlo liberatorio prima di iniziare a rompere qualsiasi cosa lì presente.

Libri e fogli scaraventati a terra, statuine e quadretti frantumati in mille pezzi sul pavimento.

Un caos.

Ecco come si presentava la stanza.

Un completo disastro di frantumi così come era il suo cuore.

Nessun superstite nel suo sfogo se non un ciondolo che lo fermò dal rompere altre cose se mai ce ne fossero state.

Solo quello.

Nella sua esplosione emotiva Ignazio non dava conto ormai a nulla, quello che vedeva davanti a sé lo buttava a terra.

Tutto tranne quel pendente.

Una cosa così piccola ma che una volta in mano bloccò ogni suo scatto d'ira.

Un ciondolo con un fiore rosso.

Il tutto simile a quello di Piero.

Ecco cosa lo trattenne, il pensiero del ragazzo che amava e che lo stava facendo soffrire.

Gli occhi e i suoi pensieri tutto d'un tratto si bloccarono e si concentrarono su quella cosa tanto semplice quanto significativa.

Ed il suo sguardo dall'ira si tramutò in uno sguardo triste ed abbattuto.

Ignazio andò a sedersi sull'unica sedia.

Era stanco, era debole e voleva solo sprofondare.

E una volta seduto si portò le mani nei capelli e scoppiò in lacrime.

Dopotutto era ciò che voleva.

Sfogarsi.

Scacciare via ogni pensiero, paura ed emozione con le lacrime.

Piangere per distaccarsi dalla realtà per non pensare e fino allo sfinimento, niente di più niente di meno.

Voleva unicamente stare da solo.

"Ignazio".

Una voce però irruppe nella stanza tra le sue lacrime.

Ignazio alzò debolmente lo sguardo per vedere chi fosse; era Gianluca.

L'amico si trovava lì e sembrava affannato.

Doveva aver corso fin lì nel sentire tutto il trambusto che aveva fatto sfogandosi; era molto probabile.

"Ignà" l'amico lo chiamò con voce preoccupata nell'avvicinarsi a lui.

"Ma che diamine è successo qui?" chiese guardandosi attorno notando il disastro per terra e sulle mensole "pare che sia passato un tornado qua dentro".

Ma Ignazio non rispose.

Non aprì bocca, rimase con lo sguardo fisso sul pavimento pensando al nulla.

"Ignazio".

Sussultò quando la voce dell'amico si fece vicina e quando l'amico gli toccò la spalla e alzò lo sguardo per incrociarlo con il suo.

Uno sguardo che durò poco perché...

"Ma che ti sei fatto?" Gianluca si allarmò al vedere delle gocce di sangue colare dalla mano dell'amico.

Gliela prese per esaminarla.

"Ma che cosa hai fatto..." il moro sospirò ma non disse altro vedendo lo stato sconvolto dell'altro.

Vedeva che era distrutto e sicuramente quel disastro l'aveva combinato lui.

"Cerco di rimediare una benda" parlò fra sé e sé "tu aspettami qui, non andare da nessuna parte".

Ignazio non replicò e rimanendo seduto lo seguì con lo sguardo nel vederlo avviarsi per il corridoio e sparire oltre la porta.

Ma neanche il tempo di uscire dalla stanza che Gianluca arrestò quasi subito i suoi passi.

Di fronte a lui c'era Piero che appoggiato al muro se ne stava in disparte anche lui accorso molto probabilmente a quel trambusto.

Difficile non averlo sentito, persino dall'esterno e chiunque avrebbe potuto farlo.

E intanto Piero se ne stava lì di fronte, fermo sul corridoio poco lontano dalla porta.

Era come se non volesse entrare da Ignazio per un motivo ancora a lui sconosciuto ma che nonostante tutto era corso fin lì per la preoccupazione.

Incrociò lo sguardo con l'amico per un momento per poi riprendere il cammino ricordandosi quello che doveva fare.

Gli passò davanti come se nulla fosse successo ma il moro lo afferrò per il polso fermandolo ancora.

"Devo parlarti".

Quelle parole e lo sguardo che gli stava rivolgendo Piero fecero sì che Gianluca alzasse le sopracciglia sorpreso e curioso.

"Non qui" gli disse dopo essersi guardato attorno silenzioso come per accertarsi di qualcosa.

"Meglio andare fuori" aggiunse e poi con un cenno di mano indicò la via.

Si fermarono appena fuori il portone d'ingresso e al cominciare della scalinata.

Gian si mise a braccia conserte e aspettò che l'altro parlasse, dopotutto era lui che voleva dirgli qualcosa.

"Dimmi Piero" prese infine lui la parola notando che il moro faceva fatica a trovare le parole.

"Cosa è successo?".

Una domanda semplice ma che alla quale l'amico deglutì rimanendo in silenzio.

"Allora? Non volevi dirmi qualcosa prima?" Gianluca provò a smuoverlo.

Ma fu invano.

Scosse la testa come per rassegnarsi di fronte al mutismo dell'amico.

Fece per tornare dentro il palazzo dopotutto aveva lasciato Ignazio con una mano sanguinante e gli aveva detto che sarebbe tornato da lui per medicargli la ferita ma...

"Io sono un principe, non è vero?".

Gianluca fermò la sua mano sul pomello per lo shock improvviso.

Si girò verso Piero ma non disse nulla, solo lo guardò.

Il mio inizio sei tu || Ignazio Boschetto x Piero BaroneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora