12.Trent puoi darmi un passaggio?

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"Posso chiederti il perché?" Chiedo guardandola.
"Quando ero piccola ho avuto dei problemi hai polmoni, e il miglior ospedale per curarli è a Londra. Quindi ci siamo trasferiti, in modo che potessi seguire il trattamento". Accenna un sorriso che però non arriva fino agli occhi.
"Ora come va?". Poggio una mano sulla sua.
"Devo prendere qualche pastiglia, fare dei trattamenti e stare attenta ad alcune cose, ma del resto va tutto bene".
"Ne sono felice" affermo sorridendole.
"E quindi stai con mio fratello?"chiede cambiando discorso.
"Già". Un sorriso spontaneo spunta sulle mie labbra.
"Sappi che se si comporta male sono pronta per prenderlo a calci". Entrambe ridiamo.

Questa sua affermazione mi scalda il cuore, leggendo ho sempre visto come la migliore amica della protagonista sia sempre pronta a fare fuori il ragazzo di quest'ultima, se lui la tratta male. Ho sempre pensato che a me non sarebbe mai successo, primo perché non avrei mai trovato un ragazzo e secondo perché non avevo una migliore amica, ed ora mi tocca ricredermi, ho un ragazzo spettacolare e delle amiche.
Ogni tanto, quando sono ancora mezza addormentata, ho paura che quello che è accaduto nelle ultime settimane sia un sogno e che da un momento all'altro, mi sveglierò e inizierò di nuovo a vivere la mia vita in solitudine.

"Grazie" le rispondo con un sorriso dolce.
Lei fa altrettanto e poi va a servire un tavolo, dove due bambini si stanno litigando un rinoceronte di plastica colorata.

Per ritornare a casa decido di fare una passeggiata.
Arrivo fino alla collina dove da piccola credevo abitassero i folletti.
Era sempre costellata di buche, e un giorno dopo aver chiesto, per l'ennesima volta, chi le avesse fatte, mio padre mi ha raccontato la storia dei folletti.
Delle piccole personcine, che stanche di vivere sotto i funghi e nelle cortecce degli alberi, hanno deciso di costruirsi delle casette sotto terra, e lo fanno solo di notte, per questo di giorno non si vedono.
Una volta ho persino portato una lente d'ingrandimento, ed ho passato il pomeriggio a guardare dentro alle buche. Tutto ciò che ho visto è terra e qualche sassolino.
Solo anni dopo ho scoperto che erano le talpe a farli e non dei piccoli esseri i magici.
Non sapete che delusione, non ho parlato con mio padre per un'intero giorno.

Jan viene a prendermi verso le dieci, così possiamo stare un po' insieme.
"Ciao piccola" mi saluta appena entro in macchina.
"Che fine ha fatto Bee?". Mi allaccio la cintura e poi punto il mio sguardo su di lui.
"Non ti piace?" Chiede partendo.
"Mi piace, ma è dozzinale"
"Dozzinale?"
"Si, tutti i ragazzi chiamano le loro ragazze piccola"
"Okay, Bee". Mi guarda divertito.
"Molto meglio" affermo sorridendo.

"Ho incontrato tua sorella" dico non appena trovo un briciolo di coraggio.
Lui si irrigidisce.
"È la cameriera della tavola calda in cui vado" continuo io.
"Sei arrabbiata?". Lo dice con voce insicura, evitando di incrociare il mio sguardo.
"Un po' " ammetto guardandomi le mani.
"Non so se te l'ha detto, ma non parliamo molto"
"Me l'ha detto".
"Te l'avrei detto io, ma non sapevo come" si difende lui.
"Non fa niente, Jan. Però vorrei capire perché non me l'hai detto". Appoggio la mia mano sulla sua per attirare la sua attenzione.
"Ti ha detto della sua malattia?" Domanda guardando le nostre mani unite.
"Si, mi ha anche detto che è stato per quello che vi siete dovuti trasferire" aggiungo.
"Già". La sua mascella si contrae.
"È per questo che non parlate più?" Chiedo curiosa.
"Già"
"Ma adesso che siete tornati, non potresti perdonarla?" Chiedo sporgendomi.
"Non è così semplice" dice sciogliendo le nostre mani.
La tensione fra noi due si può tagliare con un coltello. Il suo corpo è teso e il suo viso ha un'aria arrabbiata e allo stesso tempo triste.

Ci fermiamo in un parcheggio isolato.
Lui non accenna a parlare, ed io non ho intenzione di iniziare il discorso al posto suo, quindi alzo il volume della radio e inizio a canticchiare le canzoni per passare il tempo.
Lo vedo scendere dall'auto e iniziare a camminare velocemente davanti a sè.
Mi slacciò la cintura e lo seguo.
"Torna in macchina, voglio stare da solo" esclama continuando a camminare.
Ignoro le sue parole e continuo a seguirlo.
"Baylee torna in macchina". Lo dice con una voce che non ho mai sentito prima, è arrabbiato ma con una nota di tristezza.
"No" dico raggiungendolo.
"Non puoi pensare di arrivare e risolvere tutto con il tuo sorriso e la tua gentilezza". Lo dice perché vuole allontanarmi, ma non è così facile liberarsi di me.
"Non ho mai detto questo" dico seguendolo.
"Per favore lasciami solo". Questa volta il suo tono ha un che di supplichevole.

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