𝟏𝟒☾

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Tamburello le dita sulla superficie in legno del tavolo e mi guardo intorno mentre aspetto che Weston ritorni con i nostri drink e qualche stuzzichino

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Tamburello le dita sulla superficie in legno del tavolo e mi guardo intorno mentre aspetto che Weston ritorni con i nostri drink e qualche stuzzichino. Non è il massimo come idea visto che dovrei cenare dopo ma per il momento lascio correre. È ancora strano il pensiero di trovarmi qui, insieme a quello che da nemmeno due settimane è diventato il mio collega, sotto altre vesti. Voglio dire, non pensavo davvero di potergli interessare, eppure... scuoto il capo e porto una ciocca di capelli dietro l'orecchio. È inutile agitarsi, Stella e Gabe hanno ragione: non è nulla di serio, si tratta solo di un'uscita e non c'è bisogno di etichettare tutto quanto. Certo, lui ha definito la cena di venerdì un appuntamento ma è possibile che stesse scherzando.
Weston torna con due bicchieri in mano: un drink fruttato per me e una birra per lui.
«Tra poco ci servono il resto. Ho pensato di mettere da parte l'aperitivo e farci servire un primo. Ho fatto bene?» domanda prendendo posto al mio fianco, sulla sinistra. Avrebbe potuto occupare il posto di fronte a me e mettere una certa distanza, eppure non l'ha fatto.
«Sì, stavo giusto pensando alla cena e a questo punto andrebbe bene qualsiasi cosa.» ammetto. «Sono andato sul classico e ordinato due risotti ai funghi. Se non ti piacciono, non c'è alcun problema.»
«Vuoi la verità? È il mio preferito.» sorrido.
«Grazie al cielo.» sospira teatralmente facendomi emettere una piccola risata.
«Sai che ti assillerò fino alla fine dei tuoi giorni se non mi dirai perché hai deciso di uscire con me?» giro la cannuccia nera all'interno del bicchiere e poi prendo un sorso.
«Non ti arrendi.» scuote il capo.
«Affatto.» Weston prende un sorso di birra dal suo bicchiere e mi guarda.
«Ho voluto osservarti un po' prima. Non nego di aver pensato subito a quanto fossi una donna bellissima ma... sono un po' cresciuto per fermarmi all'aspetto fisico.» mentre lo fisso accarezzo distratta il mio anulare destro. Sono un po' nervosa, ma credo si tratti di un nervosismo positivo, confuso.
«E poi?»
«Quanto sei avida.» mi prende in giro.
Arrossisco perché ha ragione: mi piace sapere sempre tutto, detesto stare all'oscuro di qualcosa per questo il suo improvviso interesse nei miei confronti mi ha mandata in tilt.
«Ho appreso quanto tu sia brillante e soprattutto forte. Non è facile quello che stai facendo. Quindi ho colto la palla al balzo e ho usato la scusa del lavoro fino a tardi per poterti offrire una cena. Tu hai sicuramente aiutato con la parte degli appuntamenti disastrosi.» sbuffa una risata e io alzo gli occhi al cielo fingendomi esasperata.
«Mi hai mandata nel panico, sarò onesta.» ammetto.
Le mie parole sembrano coglierlo alla sprovvista.
«Mi piace avere il controllo delle cose e il tuo interesse mi ha davvero colto impreparata quindi ho passato il week-end a cercare di capirci qualcosa. Non mi avevi nemmeno guardata una volta, come potevo pensare che fossi... interessato?» divento ancora più rossa.
Stella ha proprio ragione: sono tornata di nuovo al livello base.
«Te l'ho già detto, mi sembra: non hai la minima certezza che io non l'abbia fatto e fidati, l'ho fatto eccome.» enfatizza.
«Mi dispiace, sto rendendo tutto più difficile e imbarazzante.» oh. Oh, no. Non di nuovo.
«Ti prego, dimmi che questo non l'ho detto ad alta voce.» lo supplico con lo sguardo.
Weston accenna una risata e per la prima volta posa la sua mano sulla mia sfiorandone il dorso con il suo pollice. Trattengo il fiato quando si avvicina, quasi dovesse sussurrarmi qualcosa all'orecchio. «Non sei imbarazzante o difficile, anzi, penso proprio che tu sia una delle donne più divertenti con cui sia mai uscito.»
«Cioè ti diverte il mio essere così imbranata e inesperta?» sollevo un sopracciglio per chiedere conferma.
«Io lo trovo carino.» solleva le spalle.
«Carino.» ripeto.
«Sì. E adesso piantala di stressarti e rilassati.»
«Oppure?» ribatto piccata. Punzecchiarlo un po' non sembra così male dopo la mia figuraccia. Figuraccia che lui trova carina.
«Oppure comincio a parlare di lavoro. Vuoi davvero andare avanti?» afferra il bicchiere con la mano destra. La sinistra, ora che presto più attenzione, è ancora poggiata sulla mia e non sembra abbia alcuna voglia di toglierla. Penso che la cosa non mi dispiaccia dopotutto, è calda e molto più grande della mia. Mi trasmette... sicurezza.
«No, per niente. Parlami un po' di te.»

Passano tre lunghi giorni pieni di monotonia a lavoro, siamo ad un punto morto e scovare l'identità di quel tipo, Falco, è diventato piuttosto complicato

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Passano tre lunghi giorni pieni di monotonia a lavoro, siamo ad un punto morto e scovare l'identità di quel tipo, Falco, è diventato piuttosto complicato. Chiedere a Peter altre informazioni sarebbe inutile, capirebbe che io ne so meno di lui del coinvolgimento di Noah con il Black Circle e per il momento non c'è bisogno di preoccuparci di una persona in più. È tutto... stabile. Weston spera che la convocazione di Monica Green possa dare una piccola svolta alle indagini ma io ne dubito.
Con un sospiro mi allontano dalla scrivania e mi alzo, porto una mano alla nuca e mi giro in direzione del biondo.
«Stanca?»
«Annoiata.» lo raggiungo alla sua postazione.
«Siamo ad un punto fermo ed è inutile continuare a riguardare il materiale per il momento. Almeno finché non sentiremo la Green.»
«Sì, sono della stessa opinione ma esaminare le prove e rileggere le deposizioni mi aiuta a non sentirmi un nullafacente.» sospira.
Poggio una mano sulla sua spalla e mi sporgo per capire cosa sta leggendo. Trattengo il fiato quando noto che si tratta della perizia fatta dal medico legale, sotto al primo foglio si intravedono alcune foto scattate al cadavere di Noah. La cartellina viene chiusa dalla mano di Weston con uno scatto leggero. Sbatto le palpebre e mi volto verso di lui.
«Mi dispiace che tu abbia dovuto rivederle.» mi guarda dritto negli occhi.
Deglutisco a causa della nostra vicinanza e abbasso lo sguardo sulla cartellina chiusa.
«Tranquillo. È solo... un po' strano.» mi rimetto dritta, la mano ancora sulla sua spalla. È un gesto talmente naturale da non averci nemmeno fatto caso. A lui non sembra dar fastidio, quindi suppongo non sia successo nulla di imbarazzante.
«A volte penso a lui e al tuo coinvolgimento: tento di mettermi nei tuoi panni ma non vado mai oltre.» le sue parole mi stupiscono, mi colgono totalmente impreparata.
«Dopo-»
«Detective Morgan, scusi.» una donna in uniforme ci sorride dalla soglia della porta.
«Dica.»
In maniera discreta allontano la mano dalla spalla dell'uomo, poi afferro la prima cosa che mi capita sotto tiro – la sua penna – e mi allontano.
«C'è di nuovo un problema con la stampante... l'agente Stanford mi ha detto che è praticamente l'unico che riesce a farla funzionare. Non la disturberei ma ho un importante verbale da consegnare al capitano. Potrebbe aiutarci?» gesticola la donna.
Stringo le labbra per evitare di ridere di fronte ai due e abbasso lo sguardo fingendomi impegnata. «Stanford... – sospira il biondo – sempre il solito. Vai pure, Carol, arrivo tra un secondo.» si alza. «Grazie, detective. Dottoressa.» ci saluta e lascia l'ufficio.
«Devi smetterla di fregarti la mia dannata penna, Carter.» mi fulmina con lo sguardo.
«Non so di cosa tu stia parlando. E adesso vai, salva-stampanti, è richiesto il tuo aiuto.» stavolta non trattengo una risatina a bocca chiusa. «Stavo per chiederti di farti trovare pronta perché volevo portarti fuori a pranzo visto che la nostra giornata lavorativa finisce tra mezz'ora... ma ora sto cambiando idea.» si avvicina alla soglia della porta.
«Dopo la recente scoperta della tua passione per la pizza avevo già in mente dove portarti.» sospira.
«Non puoi negarmi la pizza.» mi alzo.
«Credo di averlo appena fatto, Carter.» un piede fuori dall'ufficio.
«Wes.» avvertimento nella mia voce. «Wes non provare a-» il biondo mi ignora e compie un altro passo.
«Maledizione. Ecco! Tieni la tua stupida penna!» gliela lancio e lui, figuriamoci se lo trovo impreparato, l'afferra al volo.
«Ti aspetto di sotto, moretta.» un sorriso compiaciuto sul volto. Quando lascia l'ufficio mi accascio sulla sedia con un borbottio.
«Perché sono sempre così arrendevole. Ugh.» Per la pizza.
Sono proprio un caso perso.

𝐌𝐈𝐑𝐑𝐎𝐑𝐒Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora