𝐄𝐏𝐈𝐋𝐎𝐆𝐎

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Sette mesi dopo

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Sette mesi dopo...

C'è un confine sottile tra la tranquillità e la felicità e io credevo che non sarei mai riuscita a superarlo. Pensavo che, per il resto dei miei giorni, mi sarei ritrovata bloccata in un limbo di accettazione, che mi sarei fatta andare bene qualunque tipo di situazione la vita mi avrebbe messo davanti. Quello che non credevo sarebbe mai successo è che grazie al mio primo amore avrei trovato quello vero. È stato un percorso pieno di alti e bassi e ammetto di essere stata perfida delle volte, ho persino creduto che avrebbe mandato tutto al diavolo ma Weston non si è mai perso d'animo, ha abbracciato ogni mia sfumatura e l'ha resa brillante. Dopo il nostro chiarimento ho messo ben in chiaro che non gli avrei concesso nessuno sconto di pena, che avrebbe dovuto sudare per ottenere, ancora una volta, quella connessione che si era creata prima che scoprissi tutto. Ricordo ancora un giorno ben preciso, all'incirca tre settimane dopo l'incendio al Black Circle: era passato a prendermi, io lo avevo ignorato per buona parte del tragitto in macchina perché credevo sul serio che mi stesse nascondendo qualcosa e le mie paranoie notturne non avevano aiutato affatto a migliorare la situazione. Weston mi aveva chiesto cosa non andasse, io non avevo risposto per paura di conoscere la risposta. E se mi avesse detto che c'era dell'altro? Se non voleva più andare avanti? Milioni di pensieri che si accavallavano uno sopra l'altro. Lui aveva accostato, mi aveva rifatto la domanda, io mi ero fatta forza e gli avevo esposto le mie paure. Mi aspettavo una sfuriata, la sua faccia infastidita dalle mie ansie che lui definiva inutili ma comprensibili... quello che non mi aspettavo era la sua risata divertita. Mi aveva detto che se era stato così evasivo era solo perché stava organizzando un week-end fuori porta, più precisamente in Europa, a Parigi. Ero rimasta così sconvolta da essere scoppiata in lacrime, gli ero saltata addosso e dopo tre lunghe settimane infernali lo avevo baciato, scusandomi. Del resto, ero stata io la prima a dire che volevo provarci con lui, che non volevo gettare tutto alle ortiche visto che lo amavo. Da quel giorno le cose erano migliorate, c'era più comunicazione da parte di entrambi e molti, molti più baci.
«Terra chiama occhi blu.»
Sbatto le palpebre e sollevo il viso in direzione della voce che tanto adoro.
«Scusa – arrossisco – ti stavo pensando.»
«Pensavi a qualcosa di molto intenso, razza di pervertita?» mi prende in giro mentre non smette di farmi ondeggiare sul posto.
«No! Ma che dici!» lo colpisco piano sul petto muscoloso. Santo cielo, quest'uomo è una roccia.
«E allora a cosa pensavi?» ride.
«Tante cose. Sono solo felice di essere qui con te oggi.»
«Anche io.» bacia la mia fronte. «I matrimoni fanno miracoli.» aggiunge poco dopo.
Lancio uno sguardo alle coppie che ci circondano: sorrisi felici disegnati sui volti, corpi stretti che si muovono felici e bambini che scorrazzano per la sala senza le giacche e i cerchietti che i genitori li hanno costretti ad indossare. Eh, già... i matrimoni sono davvero belli. Certo, quelli degli altri visto che io non ho idea di come e se ci sarà il mio un giorno.
«Non ho mai visto Stella così felice.» stringo meglio le mani attorno al suo collo, anche se non credo ci sia più alcuno spazio libero tra i nostri corpi.
«Se non lo fosse mi preoccuperei.»
«Stupido. Piuttosto, vuoi ritirarti dalla scommessa? Sei ancora in tempo.» lo punzecchio.
«Assolutamente no, sono certo che vincerò. Quella donna sta esplodendo.» ride.
Quando abbiamo scommesso sulle mie migliori amiche mi sono sentita una persona terribile, poi ho riflettuto abbastanza a lungo da arrivare ad una conclusione: non sono terribile se loro non vengono a sapere della scommessa. Un genio. Il fatto è che manca davvero poco, più o meno dieci giorni, alla data prevista per il parto di Gabe ma sono sicura che farà di tutto per non creare problemi a Stella. Weston, invece, quella vipera, ha scommesso che Gabe avrebbe partorito lo stesso giorno del matrimonio – oggi – e che ci saremmo ritrovati per la fine della serata in ospedale. Spero vivamente di vincere perché altrimenti non saprei come affrontare la faccenda senza ridere a crepapelle. Stella non si perderebbe mai e poi mai l'arrivo del suo primo nipotino e Gabe si condannerebbe per aver rovinato il giorno speciale della nostra amica. Uno show con i fiocchi.
«Se dovesse succedere ho i popcorn pronti in macchina.» aggiunge.
«Oh, mio Dio.» rido. «Sei orrendo.»
«Pensavo di essere divino.» bisbiglia al mio orecchio, facendo riferimento alle nostre attività mattutine.
«Smettila.» ridacchio.
Quest'uomo potrebbe anche dire la cosa più stupida di questo pianeta, io riderei comunque come una deficiente. Mi sento un caso perso.
«Ehi, dove sono Gabe e Marcus?» aggrotta la fronte.
«Non sei divertente. Non ci casco.» lo avverto.
«Moretta, dico sul serio. Non sono più al tavolo.» mi fa cenno di girarmi.
La mia amica è rimasta seduta tutto il tempo al nostro tavolo, questo è il primo ballo che mi concedo con Weston. Non volevo, ma lei è stata categorica, mi ha imposto di andare quindi mi sono lasciata condurre in pista dal biondo senza voltarmi indietro.
«Controllo il cellulare, magari mi ha scritto.» raggiungo in fretta il tavolo.
«Sta per succedere e io sto per vincere la scommessa.» canticchia il biondo.
«Wes!» esclamo prima di portare gli occhi sullo schermo del mio cellulare.
«Merda.» sbotto.
«Che c'è?»
«Marcus ha portato Gabe in ospedale, era molto dolorante e crede che le se stiano per rompere le acque.» lo informo.
«Avvisa Stella, io ti aspetto in macchina. Va bene?»
«Ci metto un attimo.» premo la bocca sulla sua.
«Ehi, occhi blu.» mi richiama quando sto per voltarmi.
«Sì?» lo guardo in attesa.
«Un giorno toccherà a noi.» mi fa l'occhiolino, poi si allontana in direzione dell'uscita.
Mi costringo a riprendermi e con un sorriso grande quanto l'ego di Stella Manor, raggiungo la mia amica per informarla.
Dodici ore dopo, in una camera dell'Henry Ford Hospital, reggevo tra le braccia Thomas Stone, il mio primo nipotino.

Lago Orion, due anni dopo... 

Accarezzando pigramente l'ormai evidente sporgenza ascolto con interesse il discorso tra Thomas di due anni e April di uno, un misto di piccoli gemiti e risatine divertite che rendono tutto molto comprensibile.
«E poi, com'è finita?» chiedo alla bambina seduta sul grembo della madre.
Altre risatine piene di bava in tutta risposta.
«Beh, è abbastanza avvincente. E tu, – guardo il bambino – sei d'accordo?»
Thomas, seduto comodamente sull'ampio lenzuolo, biascica parole illogiche mentre gioca con le sue dita.
«Non hanno tutti i torti.» sospiro alzando lo sguardo sulle mie amiche. Le due ridono scuotendo il capo.
«Immagina ogni giorno così, è quello che vi aspetta.» sorride Gabe.
«Momenti come questo in mezzo a rigurgiti e pannolini pieni di sostanze non ancora identificate.» finge di rabbrividire Stella.
«Non vedo l'ora.» rido portando lo sguardo su Weston.
Il biondo, insieme a Brandon e Marcus, chiacchiera di non so cosa mentre si occupa di sistemare sul fuoco alcune verdure grigliate.
«Qualcuno di così gentile da andare a prendere i limoni? Li ho dimenticati in cucina.» dice.
«Vado io.» mi sbrigo ad alzarmi.
«Qualcuno tranne mia moglie, grazie.» si volta, pronto a fulminarmi con lo sguardo.
«Vado io, Elle – ride Brandon – non preoccuparti.»
«Sono incinta, non invalida.» alzo gli occhi al cielo e ignorando le proteste di tutti quanti entro in casa.
«Ti amo!» sento urlare il biondo.
«Dice sempre così...» bofonchio.
L'idea di allargare il patio sul retro è stata geniale: così c'è molta più possibilità di movimento e soprattutto di non stare appiccicati l'uno all'altra. Io lo detesto. In particolar modo d'estate. I genitori di Wes si sono dimostrati più che propensi all'idea, in effetti qualche giorno dopo avergliene parlato si sono presentati a Detroit, nel nostro appartamento, con un foglio di carta in mano che attestava che la casa era nostra. «Come secondo regalo di nozze.» mi aveva detto sua madre. Perché, ovviamente, dividere le spese con i miei genitori per il viaggio della luna di miele non era abbastanza. E considerando che poche ore dopo avevo scoperto di aspettare un bambino, direi che ho pianto molto quel giorno. È uno dei ricordi più belli che ho. Oltretutto, i genitori di Weston, dal primo momento che mi hanno invitata a cena, si sono dimostrati due delle persone più carine e simpatiche di sempre. Abbiamo un ottimo rapporto e mi piace parecchio punzecchiare il biondo con la loro complicità. Anche i miei genitori hanno subito apprezzato Weston; mio padre non fa altro che chiedergli come si è fatto tutti quei muscoli, mia madre, invece, lo guarda con gli occhi a cuoricino ogni singola volta. Gli prepara sempre tutti i suoi piatti preferiti quando andiamo a trovarli e non perde occasione per decantare i suoi pregi. Nell'ultimo anno i miei sono ritornati a Detroit per starmi più vicino, a maggior ragione dopo averli invitati a cena insieme ai genitori di Wes per informarli della mia gravidanza. Devo ammetterlo, preferisco così visto quanto mi mancavano. All'incirca due volte al mese telefono alla mamma di Noah o ci vediamo per un caffè per aggiornarci sulle nostre vite. Ricordo ancora l'ansia che avevo addosso quando la incontrai per dirle del matrimonio, lei si era dimostrata molto felice, nonostante gli occhi lucidi. So che immaginava un futuro diverso e so che avrebbe tanto voluto abbracciare suo figlio in quel momento. Non la biasimo, anzi, apprezzo molto la sua gentilezza. Quando l'ho informata della gravidanza, invece, mi ha solo tenuta stretta congratulandosi. «Te lo meriti, tesoro. Sono tanto felice per te.» mi aveva detto. Wes non si è mai opposto al mio desiderio di sentire la mamma di Noah, piuttosto mi ha sempre accompagnata e supportata. Per me è importante che le persone a cui voglio bene vadano d'accordo, ho lottato tanto per arrivare a questo momento e, sebbene toccare il cielo con un dito un po' mi spaventi, sono anche pronta a combattere. Me lo merito.
«Signora Morgan, si è persa di nuovo tra i ricordi?»
Abbasso lo sguardo sulle mani strette al cesto colmo di limoni e sorrido.
«Mi becchi sempre.» lo raggiungo.
Weston mi toglie dalle mani il cesto e mi scocca un bacio sulla guancia.
«Ce la facevo benissimo.» borbotto stringendo un braccio attorno alla sua schiena.
«Lo so, mi andava solo di aiutarti.»
«Ma certo. Immagino che per i prossimi cinque mesi non farai altro che dimostrarti sempre più utile.»
Weston sbuffa una risata ma non ribatte, sa che ho ragione. È molto, molto apprensivo nei miei confronti. Il solo pensiero di portare in grembo suo figlio lo manda in uno stato di estasi spaventoso, se potesse parlare di questo bambino ventiquattro ore su ventiquattro lo farebbe. Non oso immaginare quando sarà effettivamente tra di noi. Un perfetto ometto viziato che avrà tutti sul palmo delle sue minuscole mani. Proprio come il padre. Un Morgan a tutti gli effetti, insomma.
«Non vedo l'ora che nasca.» sospira teatralmente.
E mentre rifletto su una battutina da fare per infastidirlo, non posso far altro che pensare anche a quanto abbia ragione. Non vedo l'ora di cominciare un altro capitolo della nostra nuova vita insieme. Una vita felice.

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