2. Il viaggio

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Davanti a sé, oltre il parabrezza, Michael vedeva solo l'autostrada. Come un lunghissimo tappeto d'asfalto, quella si snodava per centinaia di chilometri tra le città e le campagne della costa est, scorrendo sotto gli pneumatici della sua Volvo. Era in viaggio ormai da cinque ore, e aveva quasi ascoltato l'intera riserva di cd che teneva sotto il sedile del passeggero. Abbassò leggermente il finestrino e si accese una sigaretta. Susan non avrebbe mai voluto che lui fumasse all'interno della sua amata auto. Ormai, pensò Michael, non aveva più importanza. Il navigatore satellitare appoggiato sul cruscotto non parlava ormai da ore. Sullo schermo compariva solo una piccola freccia blu che puntava verso l'alto, accanto ad una mappa in scala su cui era segnata la sua posizione con un punto rosso. Doveva solo proseguire diritto per un numero infinito di chilometri, spostandosi sempre più a nord. Era partito da Filadelfia attorno alle nove del mattino, accompagnato da un cielo grigio e piovoso, e aveva percorso per tutta la durata del viaggio la New Jersey Turnpike, proseguendo parallelamente alla costa fino all'altezza di New Haven, in Connecticut, dopo aver sfiorato New York. Si era poi spostato verso l'entroterra, attraversando lo stato del Massachusetts verso nord. Quando, poco dopo Bernardston, vide il cartello a lato dell'autostrada che indicava l'inizio del territorio del Vermont, un brivido lo scosse. Mancavano ancora almeno tre ore al suo arrivo, ma l'emozione iniziò a farsi sentire. A pensarci bene, nemmeno aveva voglia di arrivare. Non si era ancora stufato del confortante borbottio del motore e dello scorrere di colori e di paesaggi fuori dal finestrino. Dopo cinque ore di viaggio, l'abitacolo era diventato familiare e accogliente, e il sedile della Volvo v40 di Susan non era mai stato così comodo. In un certo senso, in quel momento era a casa. Si era lasciato alle spalle il piccolo appartamento di Filadelfia che un tempo divideva con Susan, ma non era ancora arrivato alla sua nuova dimora. Quindi, su quell'autostrada che accompagnava il viaggio verso una nuova vita, la sua auto era l'unica cosa che Michael potesse veramente sentire propria.

Proseguì verso Saint Johnsbury, città a nord del Vermont che avrebbe dovuto raggiungere prima di abbandonare l'autostrada e inoltrarsi tra le alte montagne.

Dall'interno della sua gabbietta, sul sedile del passeggero, Agostino lanciò un forte lamento.

"Dai, stai tranquillo" lo rassicurò Michael, voltandosi verso di lui. " Non manca molto. Tra poco arriviamo e ti faccio uscire."

Agostino parve accettare di malavoglia le rassicurazioni del padrone, e si rannicchiò sbuffando sulla carta di giornale che rivestiva il fondo della sua gabbia. Era un piccolo bulldog inglese di tre anni. Prima di lui Michael e Susan avevano posseduto un gatto, che era finito sotto una macchina sulla strada di fronte a casa. Dopo la sua morte si erano ripromessi di non tenere più animali domestici. Ma quando un giorno, passando di fronte ad un canile, avevano visto Agostino ancora cucciolo chiuso in una gabbia, non avevano saputo resistergli. Michael osservò il pelo bianco a chiazze marroni e il muso schiacciato del cane attraverso le sbarre della gabbietta, e non poté evitare di sorridere. Agostino e la macchina di Susan erano tutto ciò che gli rimaneva della sua vecchia vita.

Saint Johnsbury arrivò più in fretta del previsto, accompagnata da un vecchio disco dei Pink Floyd e da una pioggia battente. I tergicristallo dell'auto faticavano a tenere a bada l'impeto del maltempo, e Michael scorgeva difficilmente i cartelli stradali sopra l'autostrada. Fermò la Volvo in un autogrill nelle periferie della città per controllare la strada indicata dal navigatore satellitare. Con suo grande disappunto, l'apparecchio forniva indicazioni solo fino all'arrivo a Saint Johnsbury. Provò più volte ad inserire il nome del villaggio nel quale abitava suo padre, ma non ebbe successo. Alla fine, sconfitto, prese il cellulare e lo chiamò per chiedere aiuto.

"Pronto? Papà? Si, mi sono perso." disse, ringraziando che dall'altra parte suo padre non potesse vederlo arrossire.

Dopo essersi fatto indicare la strada, terminò la chiamata e ripartì. L'uscita dell'autostrada che doveva prendere era poco a nord della cittadina, ed era una grossa strada a due corsie che, dopo essersi allontanata dall'arteria principale del traffico, portava alla periferia della città, in una zona industriale piena di capannoni. Michael proseguì verso nord-ovest e superò la periferia, per ritrovarsi a guidare su una strada più stretta che si snodava tra boschi sempreverdi e basse colline, seguendo un torrente. Erano le tre del pomeriggio, e la debole luce del sole invernale che filtrava attraverso la spessa coltre di nuvole stava iniziando ad affievolirsi. Meno di un'ora dopo, Michael faticava a vedere la strada e fu costretto ad accendere i fari dell'auto. Mentre seguiva la via tutta curve in mezzo ai verdi abeti e agli alberi spogli di Dicembre, si accorse che le colline ai lati alla strada si erano trasformate in montagne. Ricordando le indicazioni di suo padre, svoltò a destra in una stradina in salita nella quale due auto avrebbero faticato a passare l'una affianco all'altra, e fece arrampicare la sua Volvo lungo quella tortuosa via, finché non si ritrovò in una stretta valle. Non ricordava che quel villaggio fosse così sperduto. Non c'erano luci ad illuminare la strada, né poteva scorgerne in lontananza o in alto sulle montagne. Rabbrividì al pensiero che la sua auto potesse guastarsi e fermarsi nel mezzo di quell'oscurità. Aveva lasciato Saint Johnsbury almeno da due ore, e della sua destinazione non c'era traccia. Il navigatore satellitare era ancora acceso sul cruscotto, e mostrava il puntino rosso in mezzo ad una cartina completamente vuota.

Improvvisamente, una sagoma un centinaio di metri più avanti fece sussultare Michael. Strinse le palpebre per riuscire a vedere di cosa si trattasse oltre la tormenta che picchiava sul parabrezza. Era un cartello di legno ricoperto di muffa illuminato dalla fioca luce dei fari, che di lì a poco sarebbe stata sopraffatta dalla pioggia.

MINEVILLE WATERFALLS

VERMONT.

Ma davanti a lui non vedeva altro che una strada deserta, circondata da scuri alberi della notte. Il forte vento si incanalava nella vallata, e come un torrente in piena travolgeva la vettura di Michael, che sbandava pericolosamente ogni volta che una raffica la colpiva. Michael iniziò a lottare con il volante per tenerla in strada. Avrebbe voluto chiamare suo padre con il cellulare, ma non c'era campo. Agostino prese ad abbaiare furiosamente alla sua destra, e Michael provò a zittirlo avvicinando la mano alla gabbia. Avanzò sulla stradina per un paio di chilometri, che a lui parvero infiniti, e alla sua destra iniziò finalmente a vedere qualche segno di vita. Grandi cubi grigi iniziarono ad accompagnare il suo viaggio, standosene ai lati della strada. Le prime case di Mineville. I lampioni erano tutti spenti, e all'interno degli edifici non si vedevano luci accese. Erano solo le cinque, ma sembrava che fosse notte fonda. La stradina si abbassò leggermente ed entrò in quello che sembrava essere il centro della cittadina. All'improvviso la sua mente fu invasa dai ricordi. Si trovava nella strada principale del villaggio, lì c'erano i negozi e gli edifici istituzionali. Ma nemmeno le insegne luminose che ricordava esserci sopra le botteghe erano accese, e faticava ad orientarsi. In fondo a quella via avrebbe dovuto esserci la chiesa, e alla sua sinistra l'albergo di suo padre. Seguì la via principale, riconoscendo man mano luoghi che aveva già visto molti anni prima. C'erano un ufficio postale, un pub, un fiorista e un supermercato. Tutti erano bui, e sembravano deserti. Michael si sentì gelare quando all'interno della vetrina del supermercato vide una dozzina di sagome scure che lo fissavano. Erano immobili di fronte al vetro, e non riuscì a distinguerne i lineamenti. Gli abitanti di Mineville. Probabilmente si erano rifugiati nei negozi per sfuggire alla tempesta ed erano stati sorpresi da un black-out. Quando arrivò in fondo alla strada, alla chiesa svoltò a sinistra e vide che i ricordi non l'avevano tradito. L'insegna rossa appesa all'ingresso della veranda era spenta, ma Michael lo riconobbe subito. Il Red Leaves Hotel era un albergo a due stelle ricavato da due vecchi edifici adiacenti. La superficie esterna appariva grigia, spenta dal buio della notte, ma Michael ricordava un edificio di mattoncini rossi. Fermò la Volvo davanti all'ingresso e si rivolse ad Agostino: "Aspettami qui, torno subito".

Come se potesse scappare, pensò poi, sarcastico.

Si infilò la giacca, tirò la lampo fino al mento e uscì. Fu immediatamente zuppo, anche se doveva percorrere solo due o tre metri prima di trovarsi al riparo sotto il portico. Salì di tutta fretta gli scalini di legno scricchiolante, e quando fu davanti alla porta con inserti di vetro esitò. All'interno dell'albergo non si vedeva nulla, tutto era completamente spento. Michael abbassò la maniglia e spinse la porta. Si trovò in un atrio buio, illuminato per brevi attimi dal bagliore dei lampi. Affianco a lui vide un bancone della reception, vuoto. Alla sua sinistra distinse le sagome di due poltrone e di un tavolino, e in fondo alla stanza vide delle scale che salivano ai piani superiori.

"Papà?" chiamò. Nessuna risposta. "PAPA'?"

Ancora niente. Sentì delle voci provenire dal piano superiore, che si confondevano con gli ululati del vento. Si avvicinò lentamente alle scale, le mani davanti a sé che palpavano il buio, e gridò ancora: "PAPA'? SONO MICHAEL!"

Sentì l'angoscia che lo assaliva, cercò disperatamente con le mani un interruttore per accendere la luce, anche se sapeva che non si sarebbe mai accesa. Le voci al piano di sopra sembrarono bloccarsi, poi si udì un rumore di passi che si avvicinavano. Vide una debole luce in movimento che illuminava le scale, e apparve l'ombra di un uomo con una torcia in mano. Erano almeno otto anni che non lo vedeva, ma la sagoma dei capelli ricci arruffati e del grosso naso non tradì la sua memoria. La luce della torcia gli fu puntata in viso, accecandolo.

"Michael!" disse una voce a lui familiare.

Michael sorrise, rincuorato. "Ciao, papà."

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