Capitolo 4 - Il trattore

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La mano possente dello zio lo prese per la collottola.

"Cosa hai in quella testa vuota, eh, stupido bamboccio?" La sua voce era cupa e rauca, l'alito puzzava di fumo. Quel vecchio pancione si fumava almeno dieci Toscani al giorno, ne aveva sempre uno in bocca, anche spento. L'unico momento in cui lo toglieva, era quando mangiava. Che schifo.

"Ora ti mando a casa a calci nel culo. E se tuo padre non mi ripaga le zucche, qui non ci rimetti più piede." Lo trascinò per il campo con la maglietta tirata sul collo.

"Mi fai male, mi fai male!" Bruno provò a divincolarsi, ma nulla, la stretta era ben salda.

"Stai zitto, Bruno. O invece che i calci nel culo ti sparo un colpo di doppietta." Lo zio tirò una pedata a un pezzo della zucca rotta e lo fece volare oltre la recinzione. "E tu" indicò Matilde e la mano pelosa si chiuse in un pugno. "Tu, so che c'entri in questo casino, ne sono sicuro."
Matilde si strinse nelle spalle. "Io non ho fatto proprio nulla, lo giuro."
Non aveva fatto nulla?
Bruno diede uno strappo liberandosi dalla presa. "Bugiarda! Sei stata tu che mi hai obbligato!"
"Non è vero" urlò Matilde con le braccia tese e gli occhi strizzati.
"Ora basta! Non me ne frega niente." Il vecchio pancione lo tirò per una manica e diede uno spintone a Matilde. "Siete nei guai entrambi."

Uscirono dall'orto, proseguirono oltre la vigna e si diressero verso la cascina.

Il sole illuminava di un rosso intenso i mattoni della facciata, e la grossa quercia che stava di fronte al cortile selciato, disegnava su di essa un'ombra grottesca.
Bruno affiancò il vecchio trattore arancione; il motore borbottava e dallo scarico uscivano a tratti nuvole di fumo nero.
Doveva essere rimasto acceso da prima che li scoprisse nell'orto.
Lo superò e il gas gli riempì i polmoni. Bruno tossì d'istinto e dalla tettoia del fienile, uno stormo di colombi si alzò in volo con un fragore sordo.

"Avanti, muoviti" disse lo zio, tirandogli uno scappellotto.
Che stronzo... non lo lasciava stare nemmeno per un attimo. Quel ciccione era molto più simpatico quando se ne stava in mezzo ai campi.

Bruno scostò la tenda a righe che copriva la porta e ci si infilò dentro.
La stanza sembrava essere immersa nel buio. Dannato sole. Chiuse gli occhi e li pigiò con le dita. Li riaprì e l'ambiente si fece più luminoso. Il divano logoro aveva ancora il suo marsupio di pelle appoggiato sopra.

"Prendi il tuo borsello merdoso e sali sul trattore. Ti riporto in città" disse lo stronzo.
In città? Meglio così, tanto Matilde non era altro che una bugiarda.
Bruno agguantò il marsupio e rigirò i tacchi. Superò Matilde senza nemmeno guardarla, se lo meritava.
"A-aspetta..." disse lei con la testa china. "Scusa."
Bruno aggrottò le sopracciglia e non le rispose nemmeno. Quella era l'ultima volta che avrebbe voluto vederla.
Tirò la tenda e uscì senza voltarsi più indietro.

I colombi sorvolarono il cortile e atterrarono di nuovo sul fienile, zampettando sui coppi.
Bruno fece leva sulla pedana e si arrampicò sul trattore. Il sedile di plastica vibrava.
"No, non hai capito, tu stai lì." Lo zio indicò il parafanghi inzaccherato.
Bruno fece un sospirò e ci si mise sopra.
Fantastico, il viaggio sarebbe anche stato più scomodo del previsto.

L'orto di zucche.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora