Capitolo 3

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Quando rimetto piede in ufficio Morgan non è ancora tornato, probabilmente non lo farà prima di domani. Sono sollevata di non dovergli parlare ancora per un po', così ho il tempo di mettere in ordine i miei pensieri e decidere se dirgli o meno che conosco il cliente. Qualcuno bussa alla porta aperta dell'ufficio e Jack entra con decisione, tenendo in mano un panino quasi finito.

«Come è andata? Avevo ragione?» Avvicina una sedia su cui di solito si siedono i clienti di Morgan, ci si lascia andare e mi guarda in attesa di risposte. Evito di guardarlo, accendo il computer sulla mia scrivania per iniziare le pratiche.

«John Prismore non sta lasciando la moglie, ma suo figlio Matthew sì.»

«Ha due figli con lo stesso nome?» Devo guardarlo per realizzare che la sua domanda non è una battuta.

«No», rispondo. Lo vedo ingoiare l'ultimo boccone del suo panino, per poi parlare mentre si pulisce le mani con un tovagliolino.

«Beh, è un vero peccato,» inizia a dire, «ma Morgan crede che tu sia pronta. Te ne troverà presto un altro di divorzio.»

«Di che stai parlando?» Lo fermo subito. «Io non abbandono questo caso, è il primo che Morgan mi affida, non posso dirgli di non poterlo seguire solo perché ho avuto una breve storia con il cliente, quando eravamo al liceo.» Sminuisco di proposito ciò che è successo, forse per convincere entrambi. Il mio ragionamento ha per cardine la professionalità, che mi serve per fare carriera in questo ambiente. Dire al mio capo il motivo per cui non potrei seguire Matt come cliente mi renderebbe sicuramente infantile ai suoi occhi. A pensarci, dovrei smetterla di chiamarlo per nome, come fossimo amici di vecchia data, e cominciare ad usare un tono formale.

«Infatti, c'è molto di più dietro.» Jack riesce a riportarmi alla mente i momenti peggiori della mia vita, con una piccola allusione.

«Lo so, non serve che me lo ricordi.» Lo riprendo. «È successo tanto tempo fa e ormai l'ho superato.»

Per molto tempo ho rimuginato su come è finita tra noi e sono giunta alla conclusione di non poterlo assolutamente perdonare, per rispetto verso i miei genitori, ma è altrettanto certo che non porto rancore. Le circostanze in cui è successo non sono dipese interamente da lui e, anche volendo, non riuscirei mai ad odiare qualcuno che ho amato così tanto.

«Allora perché hai rotto con Travis?»

«Cosa c'entra questo col discorso che stiamo facendo?» Mi metto sulla difensiva. Sono trascorse solo due settimane da quando Travis ed io ci siamo lasciati e avrei preferito continuare a non parlarne per un altro mese, come minimo.

«Niente, ma non mi hai ancora raccontato perché non hai detto sì, quando ti ha proposto di sposarlo.»

«Perché non ero sicura di voler passare il resto della mia vita con lui.» Mi stringo nelle spalle, cercando riparo dallo sguardo rivelatore di Jack. Siamo amici da così tanti anni che mi sento in colpa quando non gli racconto certe cose. Lui, a me, racconta ogni cosa, anche troppo.

«Travis era perfetto, il principe azzurro.» rivolge gli occhi in alto in uno sguardo sognante che mi fa sorridere. «E da quanto mi hai detto anche molto bravo sotto le lenzuola. Mi sarei fatto avanti io se non fosse stato così prevedibilmente etero.»

Vorrei smettere di sorridere per la sua allusione e riprenderlo, ma la leggerezza con cui l'ha fatto mi fa solo ridere di più.

«Prima di tutto ti ho parlato di quell'aspetto in confidenza,» lo accuso con l'indice, fallendo nel tono serio, «non puoi usarlo contro di me e poi era proprio quello il problema: era troppo perfetto. Siamo stati insieme per quattro anni e non abbiamo mai litigato, voglio dire, litigato davvero, per qualcosa di serio. Era sempre così...accomodante.» Sento di essermi tolta un peso dallo stomaco, ora che l'ho detto ad alta voce. A giudicare dall'espressione del mio amico, però, temo che lui non riesca a comprendere i miei motivi.

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