Coraggio

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E così mi ritrovai a stringere quella mano così pallida e rassicurante che mi aiutò ad alzarmi da quella sedia che, probabilmente, sarebbe finita carbonizzata se il corvino non mi avesse fermata in tempo.
''Non è una villain, è una ragazza dal grand potenziale. Il suo potere deve essere semplicemente allenato al controllo. Me ne occuperò personalmente'', disse l'uomo-benda.
''Ha qualche permesso speciale per farlo?'', domandò il poliziotto con una faccia alquanto sospetta.
''Si, mi manda personalmente Nezu''.
Sorpreso, l'uomo in uniforme, esordì con un semplice e scocciato ''Va bene, allora potete andare. Vi accompagno all'uscita''.
Ero in piedi davanti ai quattro ragazzi che mi avevano portata in questo luogo così deprimente comunemente chiamato commissariato.

Ad un tratto, il biondino arrogante si avvicinò a me: ''Senti accendino vivente, spero che l'istinto del Sensei non sbagli su di te, altrimenti ti aspetterà una fine alquanto esplosiva''. Nel mentre mi riferiva la sua minaccia, avvicinò lentamente la sua mano al mio viso.
Potevo sentire un odore simile alla nitroglicerina ed un dito della mano del ragazzo sfiorare lentamente la mia guancia, attraversandone la lunghezza, per poi avvicinarsi sempre di più al mio viso, quasi volesse sfidarmi con lo sguardo.

È così eh?, pensai, mentre mantenevo seria quel contatto visivo.
Scintille scorrevano veloci fra i nostri occhi: verde e rubino si scontravano violentemente, quando, improvvisamente, il biondino volò via.
Il ragazzo dai capelli rossi lo aveva spinto dall'altra parte della stanza e, avvicinandosi a me con fare imbarazzato, portandosi una mano dietro al collo e con un enorme sorriso che mostrava dei denti aguzzi, quasi simili a quelli di uno squalo:
''Ehy, scusalo è molto impulsivo e a volte si comporta da vero coglione. Comunque, io sono Eijiro Kirishima, questi sono Denki Kaminari e Hanta Sero'', mi disse indicando i due ragazzi che spuntarono da dietro la sua figura salutandomi sorridenti.
''Io sono Hakari'', dissi, accennando un lieve sorriso.
''Sarà un piacere averti in classe con noi, Hakari'', disse lo spara-magliette.

In classe? Io in una scuola?
Rimasi sbigottita e ferma sul posto.

Quel mio sgomento fu interrotto dal biondino dagli occhi color rubino che ricominciò: ''Cos'è hai solo un nome? Tks, fidarci di una tizia che sembra esser apparsa a caso nel mondo è una stronzata''. In effetti non aveva tutti i torti, nemmeno io sapevo chi fossi realmente.

Kirishima guardò il biondino con sguardo di rimprovero e, dopo avergli tirato uno schiaffo dietro la nuca, disse ''Emh..., lui intendeva presentarsi. Il porcospino incazzato che vedi qui davanti si chiama Bakugou Katsuki e anche lui si trova nella nostra stessa classe''.
Il diretto interessato rispose solamente con uno dei suoi soliti ''Tks''.

L'uomo alto dai lunghi capelli neri interruppe quella divertente scena che riuscì, lo ammetto, a strapparmi un sorriso:
''Hakari, frequenterai il liceo Yuei nella mia classe, la 3A. Mi chiamo Aizawa Shota e sarò il tuo insegnante e coordinatore''.
''Piacere di conoscerla. Ci tengo a ringraziarla per l'opportunità, ma non penso che questa sia la soluzione migliore per me. Preferirei vivere la mia vita come ho fatto finora''.
''E cioè mandando a fuoco tutto ciò che hai davanti?!'', urlò Bakugou dall'altra parte della stanza.

In effetti, per quanto quel ragazzo potesse essere irritante, tutto ciò che aveva detto finora sul mio conto era vero. Io forse avevo bisogno di aiuto, ma mi era difficile affidarmi alle persone. Abbandonata fin dalla nascita, credevo che il mio destino fosse quello di affrontare il percorso ad ostacoli, chiamato vita, completamente da sola.
''Hakari'', continuò il Sensei, assumendo un tono alquanto serio, ''questa è la tua unica possibilità se non vuoi finire in prigione. Sarò schietto, le autorità ti considerano un pericolo pubblico e perlopiù non identificato. Solamente la nostra scuola può darti una possibilità di riscatto.''

A quelle parole così dirette che mi colpirono dritte al cuore, iniziai a pensare che forse davvero era necessario che mi affidassi a persone che certamente ne sapevano di più sui poteri o, come li chiamano loro, Quirk. E poi, non avevo altra scelta. Non avrei sopportato una vita dentro ad una cella.
Già normalmente per me il mio essere era una prigione; molto spesso mi ritrovavo intrappolata nei miei sogni ed in una realtà a me sconosciuta. Forse era arrivato il momento di provare a dare una svolta alla mia vita.
Lo devo ad Akane.

''Va bene, ho capito. Allora non mi resta che ringraziarla ancora per questa possibilità. Prometto, da oggi in poi, di dar il meglio di me''.

Così, dopo aver attraversato un lungo corridoio, arrivammo all'uscita di quel luogo.
Aizawa, dopo aver compilato delle scartoffie, si recò verso di noi: ''Adesso che è tutto risolto possiamo andare. Hakari ti trasferirai nei dormitori della Yuei entro oggi. Quindi andremo a prendere tutti i tuoi effetti personali nel tuo appartamento. Voi quattro, ritornate a scuola ed iniziate ad informare tutti delle recenti novità''

Così, i ragazzi, dopo aver salutato me ed il sensei, si allontanarono.

Ma a me rimaneva ancora un grosso peso sul cuore:
''Posso vederla?''
Il professore, capì immediatamente a chi mi riferissi. Era, forse, già venuto a conoscenza del mio legame speciale con Akane
''Chi è lei per te Hakari?''
A quella domanda così scontata, non sapevo cosa effettivamente rispondere.
È difficile esprimere l'affetto che si prova per una persona, specialmente per una come me, che ha sempre avuto difficoltà ad esternare certi sentimenti, nascondendoli perfino a se stessa.
''Beh'' - iniziai rigirandomi i pollici fra le mani - ''lei mi ha salvata in un momento della mia vita dove non ero nient'altro che un corpo ed uno straccio. Si è presa cura di me, nonostante fossi nient'altro che una sconosciuta trovata sul ciglio della strada. Mi ha offerto il aiuto quando non ricordavo nemmeno chi fossi. Ma non saprei definire chi è lei per me. Certi concetti a me sono sconosciuti, in primis quello di genitori. È semplicemente ciò che mi ha tenuta attaccata a questo mondo per tutto questo tempo. Probabilmente, se non ci fossimo incontrate, sarei finita molto peggio''.

Aizawa mi guardava serio ed interessato
''Lei è davvero importante per te, giusto?'', mi disse con tono pacato
''Si. E ho bisogno di vederla'', dissi alzato lo sguardo dalle miei mani verso i tuoi occhi.
''Va bene, ho capito. Non sarebbe consigliato, ma credo che tu ne abbia davvero bisogno. Però ti avverto, quello che vedrai non deve far scomparire in te quella determinazione che hai dimostrato dopo fa quando hai accettato la mia proposta. E poi, sono sicuro che anche lei abbia bisogno di te.''

A quelle parole sfoggiai un sorriso stanco ma al contempo sollevato. Inconsciamente già sapevo che quell'incontro avrebbe portato via un pezzo del mio cuore.
Ma sarebbe stato un momento importante, anche per il mio futuro, per la persona che volevo provare a diventare.

Così ci recammo, dopo un silenzioso viaggio in autobus, all'enorme e bianco ospedale di Musutafu.

Un'infermiera all'entrata ci indicò la stanza dove si trovava Akane: la 146.
Certo che quell'ospedale era davvero gigantesco. Ovunque volgevi lo sguardo, tanti malati e feriti speravano nei loro occhi di poter uscire illesi il prima possibile da quell'enorme edificio bianco.
Chissà perché gli ospedali hanno sempre il colore bianco che prevale su qualsiasi altro. Forse per far abituare i pazienti all'idea dell'aldilà. Un altro mondo che si trovava dietro ad una forte luce che ti accecava nel momento della tua morte e che conduceva in un luogo fatto di morbide e candide nuvole bianche.

Eppure, io, non riesco ad immaginare nient'altro che il buio.

In un batter d'occhio ci ritrovammo davanti alla porta che mostrava il numero 146.
Durante tutto il tragitto mi ero distratta con i miei soliti pensieri, cercando di ignorare ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.

Aizawa aspettava che aprissi la porta ma, vedendomi titubante e con la mano che, tremante, non riusciva ad abbassare la maniglia, mi ricordò: ''Lei ha bisogno di te, ti sta aspettando''

A quelle parole presi coraggio e così, ad occhi chiusi, aprii di scatto la porta.

Schiudendo lentamente le mie palpebre, mi ritrovai in un sala bianca con sfumature sui muri che si addentravano nel verde acqua, messo in risalto dai tiepidi raggi del sole.

Mi guardai intorno, fino a scorgere lei.

La mia àncora che ora non era che un corpo stanco disteso su un letto e con il volto rivolto verso l'enorme vetrata trasparente che dava sugli edifici della città.

Mi avvicinai.

Volevo vederla meglio.

Abbracciarla.

Ma ciò che vidi riempì inevitabilmente i miei occhi di fredde e veloci lacrime.

Riscaldami il cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora