Capitolo Dodici: Sigarette

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//Scusatemi per il ritardo, sfortunatamente il ritorno a scuola mi sta distruggendo sia fisicamente sia psicologicamente.
Questo capitolo molto probabilmente uscirà a fine aprile, mi dispiace moltissimo, ma ritengo sia meglio proporre contenuti di qualità una volta ogni tanto che schifezze sempre.
Ci tengo anche a ringraziare tutte le persone che mi hanno fatto i complimenti per lo scorso aggiornamento, vi amo da impazzire. Se avete bisogno ricordate che i miei messaggi privati sono sempre aperti per voi.

Non furono né la rabbia né la tristezza i primi sentimenti che sfiorarono il cuore scoperto della giovane Innania. Non furono il disgusto e il terrore a impossessarsi della sua mente. Non furono l'odio o l'impotenza a conquistare la sua mano.
Solo un profondo senso di vuoto la sconvolse, riempiendola e al contempo svuotandola. Il nulla le infestava il petto con la sua molesta assenza, le allagava i polmoni e la trascinava nel suo freddo oblio. Le gambe tremanti parevano affondare nella sabbia, lo stomaco stringersi fino a scomparire. Fragile tentava di restare a galla in quella pozza di catrame, ma più provava a lottare più andava a fondo nella totale carenza di emozioni. Camminava a tentoni in quel corridoio angusto, si trascinava stanca e disperata, mentre arrendevole domandava aiuto con lo sguardo all'oscurità che la circondava, ma cosa può fare il buio a chi agisce vilmente nella luce?

La sua anima soffocava in quella voragine che si stava formando in un posto oscuro della sua anima. Simile ad una foglia in ottobre, lasciava che il suo corpo venisse trasportato dalle fredde correnti autunnali, cercando un suolo dove posarsi e giacere in eterno.
Luci confuse si mischiavano tra di loro, danzando spettrali nel campo visivo sfocato della giovane. Suoni attutiti rimbombavano in quelle sue orecchie rovinate da cicatrici ormai vecchie. Il respiro affannato era intasato da un oro nero che prima non aveva mai conosciuto. I polmoni si rifiutavano di compiere il loro lavoro, ribelli scioperavano alla vista di cotanta malvagità. Le sembrava di avere la testa sotto l'acqua ghiacciata, ma era così tanto in profondità da iniziare ad amare in modo contorto la mancanza di ossigeno.
Avvertì quasi paura all'idea di aprir bocca, come se il vuoto, proprio come acqua, potesse infiltrarsi in lei anche da lì. Lentamente soffocava nel suo dilemma morale, senza nemmeno darsi il tempo di reagire.
E intanto continuava a strisciare i piedi martoriati per terra, senza una meta.

Era logorata dalla paura. Come un fantasma sofferente vagava in silenzio, aggirandosi tra le mura del castello malato in cui si trovava. In quel momento percepiva più terrore di quanto non ne avesse mai avuto prima. Le sue angosce non nascevano dalla paura di non compiere la scelta giusta, ma dalla decisione che internamente aveva già preso. Per quanto si sforzasse non riusciva a sentirsi colpevole, provava solo odio e rammarico, ma non vergogna nei confronti delle sue azioni future.
I soldi prima tanto agognati ora le parevano una condanna, la mela proibita di una Eva lontana dal suo Eden. Il pensiero del padre, però, offuscava tutto il resto, un punto fisso nella baraonda, la calma nella tempesta.

I volti dei Mimicani, per cui anche solo un secondo prima sarebbe morta, mutarono in semplici facce ignote, visi scarni e pallidi da far impressione, che forse si meritavano quasi la vita che avevano ricevuto. In fondo lei non avrebbe comunque potuto cambiare le cose, quello era un fatto noto a tutti, una lampante certezza. Nessuna ragazzina analfabeta possedeva le capacità per salvare un popolo. Le fila dell'universo non dipendevano di certo da una plebea, no? Le cose erano andate in quel modo anche precedentemente alla sua venuta e, prima o poi, sarebbero cambiate anche senza il suo intervento. Che pensiero narcisista aveva avuto, in che modo la decisione di salvare o meno Lucas avrebbe potuto fare la differenza per i suoi ex-compatrioti? Anche volendo rifiutare, il mondo, fin dai suoi albori, era sempre stato a favore dei più forti: erano i re a fare le leggi, i cittadini lavoravano la terra in silenzio, erano gli istruiti a scrivere i libri, non gli ignoranti, chi aveva voce erano i demagoghi, non gli ammalati. Così era stato per tutta la storia dell'umanità, anche durante i tempi d'oro antecedenti all'ultima guerra mondiale esistevano paesi che ne sfruttavano altri per ottenere profitto. I fragili non avevano possibilità alcuna, non ne avevano mai avuta una, sia in cielo che così in terra. Quindi, come poteva una ragazza cambiare questa legge universale? Sitri avrebbe trovato altra gente da corrompere in caso di un suo rifiuto, tanto valeva approfittare di quell'offerta. Il suo contributo non era decisivo come credeva, o meglio, come erano riusciti a farle credere. Gli abitanti di Mimica avevano vissuto mangiandosi a vicenda per secoli, potevano benissimo continuare a farlo per un altro po'. Perchè sentirsi colpevole? Alla fine tutto era sempre andato così, forse anche per una ragione, niente sarebbe cambiato se anche lei avesse potuto assaporare la gioia.
Stava sbattendo le ali verso il sole, sarebbe caduta come Icaro, lo sapeva, ma ormai aveva già scelto di precipitare, e la resina si stava già sciogliendo.
《Hey, tomboy, ti senti bene?》chiese una voce maschile dietro di lei.

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