Capitolo due: Il canto del serpente

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Cos'è Dio? Se questa domanda ci venisse posta all'improvviso, senza darci il tempo di riflettere, molti di noi risponderebbero seguendo i dogmi di un credo specifico, a prescindere da quale esso sia. Un gruppo di parole ripetute a pappagallo da secoli, tanto da farne sbiadire il significato con il passare del tempo. Ma per gli abitanti di Mimica, più simili a bestie che a uomini, la cosa più vicina ad una divinità che avessero mai avuto la possibilità di incontrare erano gli stessi Alastoriani, che in quel momento preciso sedevano su grossi troni sospesi a qualche metro da terra, a ridere delle miserie dei più poveri come bimbi che venivano portati allo zoo dai genitori e osservavano divertiti le scimmie che saltavano nelle gabbie.

Erano diversi dagli altri esseri umani, facevano di tutto per mutare il loro aspetto fisico. Rendersi belli in un modo innaturale e fasullo era la prassi, trasformavano i loro corpi e forme come maghi. Persino il loro colorito variava di giorno in giorno. Adoravano giocare a fare i messia, cambiare qualsiasi legge della natura e mostrare agli altri questo potere unico gli donava un senso di potenza imparagonabile. Questo spettacolo di illusioni forse serviva a far dimenticare alle persone quanto quegli dei fossero fatti della stessa carne e dello stesso sangue di ogni altro essere umano, e funzionava molto meglio di quanto la gente volesse far credere.

Per la Lotteria erano solite radunarsi nel Limbo le più importanti personalità politiche di Alastore. Il loro scopo originariamente era quello di controllare che tutto durante il gioco scorresse senza troppi problemi, ma con il passare del tempo la loro figura cambiò e più che dal senso di giustizia erano spinti dal narcisismo. Mostrare la loro bellezza e il loro lusso davanti a chi non poteva permetterselo li faceva sentire bene, gonfiava il loro ego e li illudeva di essere vere e proprie divinità.
Quella non era la prima Lotteria a cui Innania partecipava; fin da piccola si era sempre proposta per aiutare lo zio a trasportare i sacchi di carne troppo pesanti per la sua schiena malandata, eppure come ogni volta rimase a bocca aperta nel vedere l'élite che governava sopra le loro teste. Le farfalle invasero il suo stomaco e iniziò a tremare, sentendosi minuscola dinnanzi a quell'eleganza sconosciuta e incantevole. Illuminati da una luce quasi celestiale brillavano silenziosi e solitari sopra il loro pubblico adulante che tendeva le braccia al cielo per poterli almeno sfiorare.

I poveri, come religiosi impazziti, si accalcavano per toccare i polpacci dei loro aguzzini, mentre le donne si strappavano i vestiti mostrando i seni piccoli e infertili a causa della fame e gli uomini porgevano grandi somme di denaro. Tutti volevano essere notati da quei falsi idoli, che in verità altri non erano se non i loro carcerieri. La ragazza li odiava per ovvie ragioni. Anche solo pensare alla loro abbondanza e al lusso in cui vivevano, costruito sulle spalle dei cittadini di Mimica, le faceva venire i conati di vomito e accelerava il suo cuore alimentato da una rabbia cieca, ma pur non volendo ammetterlo, tutte le volte che li osservava si sentiva quasi in dovere di inchinarsi al loro cospetto. Una parte piccola e stupida di sé stessa pensava inconsciamente di non essere della loro stessa razza e di meritarsi quel trattamento disumano, e si odiava così tanto per questo.

In aria erano sollevati 105 troni; le dodici persone più importanti erano poste vicino a terra e collocate su pesanti sedie placcate in oro con diamanti e decorazioni di vario tipo, non avevano badato a nessuno tipo di spese e la loro ricchezza e superiorità era ben visibile agli occhi di tutti. Gli altri Alastoriani, invece, sedevano su postazioni più modeste colorate di argento o bronzo a seconda della ricchezza e popolarità del proprietario, erano più lontani dalla piazza rispetto alla dozzina di prescelti e anche i loro vestiti erano meno barocchi e vistosi.
Il vicino di casa della ragazza, Menezio Stoe, soprannominato "Il Pazzoide", non faceva altro se non parlare della politica della città sospesa. Conosceva tutti i fatti di cronaca e ogni giorno faceva il resoconto della vita di metà Senato. Ne parlava a tutto il vicinato con grande entusiasmo, raccontava il tutto come se fosee un film estremamente interessante e la sua narrazione era sempre sconnessa e confusa a causa delle sue opinioni personali; così Innania riuscì a riconoscere senza problemi alcuni trai dodici pezzi grossi.

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