CAPITOLO 9

24.8K 952 48
                                    

Appoggio la testa sul lettino bianco. Guardo la sua mano, le dita sottili, le unghie perfettamente curate, mi viene il mente il suo contatto morbido contro la mia guancia, quando mi accarezzava sempre il volto. Non ho mai dato troppo significato a quelle carezze, al suo tocco, eppure quelle piccole cose mi mancano, lasciando un vuoto nel cuore. Avvicino la mano alla sua e comincio ad accarezzarla, lentamente, come faceva lei quando mi raccontava le favole prima di andare a dormire. Alzo lo sguardo. Le palpebre erano chiuse e le lunghe ciglia gettavano delle ombre sulle sue guance pallide. I capelli marroni erano sparsi disordinatamente sul cuscino, mentre le labbra carnose erano chiuse in un’espressione indecifrabile. È come se il tempo non fosse passato, come se il coma avesse congelato il suo aspetto, impedendolo di mutare. O forse è solo la mia sensazione. Le do’ un bacio sulla mano e alzo la testa, continuando a guardarla. Sembrava la bella addormentata, in attesa del principe che le dia il bacio tanto atteso. Purtroppo il suo principe non arriverà. Ma la cosa più brutta è che lei non lo sa. Certe volte, mentre la guardo, o mentre sono distesa sul mio letto, penso a cosa le dirò una volta che si sarà svegliata, cioè che la nostra famiglia è scomparsa nel giro di poche ore. Chissà come reagirà. Chissà se avrà il coraggio di andare al cimitero a trovarlo. Io non ho avuto quel coraggio. Al suo funerale non c’ero solo io, ma anche amici e colleghi di lavoro. Avevo preparato un bel discorso, dove spiegavo tutti i miei sentimenti, tutto quello che è sempre stato per me il mio papà. Solo che una volta seduta davanti, in una piccola chiesa, davanti alla sua bara, mi sono bloccata. Mi ero ripromessa di non piangere, perché sapevo che lui odiava le lacrime, sapevo che lui non avrebbe voluto vedermi triste. Ma non ce l’ho fatta. Continuavo a fissare quella bara, senza riuscire a distogliere lo sguardo. Era l’ultima volta che potevo vedere il suo corpo, le sue mani, il suo viso. Ma quando ho osservato il suo volto non l’ho riconosciuto, di certo la morte non gli stava bene. Non ho visto le sue fossette, i suoi occhi allegri, i suoi lineamenti tesi per il suo sorriso. È lì che ho cominciato a piangere, a rendermi sul serio conto che lui se n’era andato per sempre. Perché in quei giorni era accaduto tutto troppo in fretta e non mi rendevo conto di quello che stava succedendo. Era come se papà fosse andato in viaggio per qualche giorno e sarebbe tornato subito. E invece, vedendolo lì, mi sono accorta che lui era partito, ma non sarebbe più tornato. Mi sono trattenuta, facendo scendere qualche lacrima silenziosa, ma appena aperto bocca per dire il mio addio, sono scoppiata a piangere e l’unica cosa che gridavo era ‘’ papà ‘’. Sono stata tutto il giorno al cimitero, davanti la suo tomba, a piangere disperatamente, tanto che quella notte mi sentii addirittura male. Mi ripetevo che dovevo andarlo a trovare, a dargli un po’ di fiori, ma dire una cosa è più facile che farla. Guardo l’aflebo attaccato al braccio di mia madre e il liquido che scendeva a minuscole goccioline lungo il piccolo tubo. Le scosto una ciocca di capelli dalla fronte, accarezzando il suo viso. I medici dicono che le persone ascoltano ciò che gli viene detto anche quando sono in coma, ma io mi sento stupida a parlare con qualcuno che non può rispondermi. Anche se qualche volta lo faccio lo stesso, giusto per combattere la noia o il dolore del ricordo. Mi siedo sul bordo del lettino, e la guardo ‘’ ehilà, mamma ‘’ sospiro. Già ‘ ehilà ‘ è la cosa giusta da dire a una persona in coma ‘’ ti ricordi quando tornavo da scuola e mi facevi un sacco di domande su come era andata la mattinata? ‘’ faccio un piccolo sorriso ‘’ bhe … è da tanto che non ci vediamo, e ne sono successe di cose in qualche settimana ‘’ le prendo la mano, gelida ‘’ ho conosciuto un ragazzo, nel modo peggiore che esista. Gli ho lanciato uno yo-yo in piena fronte. Poi magicamente me lo ritrovo nella mia classe e ‘ poof ‘ indovina chi è il nonno? Baston. Già … Gideon Baston il proprietario del castello Baston. ‘’ guardo il soffitto bianco, con qualche crepa che si estendeva sopra l’armadio. Mi viene un dubbio ‘’ ma quindi se i Baston erano una famiglia nobile … vuol dire che anche Kim è un principe? ‘’ mi mordo il labbro. Sinceramente non ricordo se i Baston erano una famiglia di conti o principi, fatto sta che se possedevano un castello di quelle dimensioni, sangue reale di sicuro ce l’avevano. ‘ principe Kim Baston ‘ non suona poi tanto male. Ma che dico! È orribile! Per quale strana ragione stai pensando a Kim Baston? Toglitelo subito dalla mente. All’improvviso sento bussare dolcemente alla porta, mi giro di scatto, saltando in piedi e trovo la porta semiaperta con la testa di Gus che spuntava fuori ‘’ disturbo? ‘’ chiede con un sorriso. Ricambio il sorriso ‘’ non ti preoccupare. Entra ‘’ dico appoggiandomi di nuovo sul lettino. Gus mi raggiunge. Aveva un paio di jeans strappati e una semplice maglia marrone scuro. Viene vicino a me e si appoggia anche lui sul lettino, incrociando le braccia davanti al petto. Non è la prima volta che viene qui. Certe volte, quando mi addormentavo, mi veniva a svegliare e mi portava a casa, o semplicemente mi dava un passaggio per tornare alla casa famiglia ‘’ come stai? ‘’ alzo le spalle, guardando davanti a me senza un vero obbiettivo ‘’ come sempre, credo. In fondo non è la prima volta che vengo qui. ‘’mi mordo il labbro. Lui circonda le mie spalle con un braccio e mi avvicina a se. Sono troppo stanca per oppormi o dire qualcosa, o semplicemente a pensare che il suo comportamento si sta facendo sempre più strano. Appoggio la testa sulla sua spalla e chiudo gli occhi, sospirando beata. Gus ridacchia ‘’ Tay sei stanca … ti accompagno a casa? ‘’ è sempre la stessa storia. Una parte di me dice ‘ si! Buttiamoci sul letto e facciamo un pisolino ‘ l’altra parte invece vorrebbe rimanere con mia madre. Pensandola sola, senza qualcuno che la protegga, mi fa stare male. Strofino il viso contro la spalla di Gus, come se questo gesto potesse risvegliarmi, ma non rispondo ‘’ okay, decido io. Ti riporto a casa ‘’ annuncia alzandosi e prendendomi per le braccia, in modo tale che non cada senza il suo appoggio. Sbatto più volte le palpebre, senza muovermi, così Gus con uno strattone mi mette in piedi ‘’ Gus! ‘’ lo rimprovero io ‘’ stai dormendo Tay, sto solo cercando di svegliarti ‘’ dice prendendo il mio cellulare dal mobiletto accanto al lettino di mia madre e porgendomelo. Lo prendo e lo infilo in tasca. Poi guardo mia madre. Ha ancora quell’aria da bella addormentata, immobile, senza espressione. Gus mi mette una mano sulla spalla ‘’ andiamo Tay ‘’ annuisco. Mi chino verso il viso di mia madre e le do’ un bacio sulla fronte. Poi mi giro verso Gus e lui mi offre un debole sorriso. Usciamo dalla stanza dell’ospedale e ci dirigiamo verso l’ascensore. Una volta arrivati a piano terra, usciamo dall’edificio e Gus mi conduce verso la sua macchina. Quando la intravedo, lui era già vicino alla porta del conducente e con la chiave la apre. Lo raggiungo ed entro affianco a lui, allacciandomi la cintura mentre lui abbassa il finestrino e con calma irritante accende la sigaretta. Guardo di fronte a me, impedendomi di osservare l’ospedale, anche se la tentazione è molto forte. Così mi giro verso Gus e lo guardo mentre mette a posto il pacco di sigarette e l’accendino. Infila le chiavi nella serratura e la gira, mettendo in moto. Prima di partire si gira a guardarmi e toglie la sigaretta dalla bocca, soffiando fuori una nuvoletta di fumo ‘’ perché mi fissi in quel modo? ‘’ alzo un sopracciglio ‘’ non ti fisso in nessun modo ‘’ ribatto. Fa un sorrisetto e rimette la sigaretta tra le labbra. Cominciamo ad avviarci. Mi giro e fisso di fronte a me, senza pensare a niente, senza concentrarmi su nessuna cosa in particolare. Guardo solo il cielo, azzurro con qualche nuvoletta bianca e le sue forme strane. Purtroppo io non riesco a non pensare, la mia vita ha troppi problemi che esigono di essere risolti. Anche quando non c’è una soluzione. ‘’ pensi che mia madre possa svegliarsi ? ‘’ dico senza pensarci e continuando a guardare di fronte a me ‘’ non lo so. Non sono un medico … ‘’ dice Gus ‘’ neanche i medici lo sanno … ‘’ sbuffa facendomi voltare verso di lui ‘’ può darsi che si svegli come può darsi che non lo faccia ‘’ alzo un sopracciglio ‘’ non era la risposta che mi aspettavo … ‘’ si gira a guardarmi solo per un attimo, poi si riconcentra sulla strada ‘’ Tay, sai benissimo che non c’è un’altra risposta. Non capisco perché adesso mi chiedi queste cose … ‘’ sospiro rassegnata, senza dire niente, e guardando le sue mani sul volante. Forti e massicce, ruvide e calde. È così che mi sono sempre immaginata le sue mani. Senza accorgermene siamo già davanti alla casa famiglia ‘’ ti accompagno … ‘’ afferma scendendo dalla macchina. Sto per ribattere ma trovo già lo sportello aperto e lui che mi offre un braccio ‘’ andiamo signorina ? ‘’ dice con accento francese forzato che mi fa ridere. Scendo dalla macchina e con un gesto liquido il suo braccio rivolto verso di me. Comincio a camminare verso la porta, quando Gus mi raggiunge velocemente e mi mette un braccio intorno alle spalle, facendomi voltare verso di lui un po’ stupita. Decido di non prenderla troppo sul serio e appoggio la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi per qualche secondo. Arrivata davanti la porta prendo le chiavi e la apro, entrando e mantenendola aperta ‘’ vuoi entrare?  ‘’ chiedo a Gus. Lui scuote la testa ‘’ sto cercando lavoro, ho un colloquio tra una mezzoretta, devo prepararmi ‘’ mi appoggio sull’anta ‘’ Wow, non ti ci vedo proprio a lavorare … ‘’ dico pensierosa, facendolo ridere ‘’ grazie per avermi accompagnata ‘’ gli sorrido. Lui si avvicina e mi da un bacio sulla guancia, lasciandomi un po’ perplessa. Si allontana di poco facendo combaciare i nostri occhi. ‘’ sempre a tua disposizione ‘’ sussurra suadente, per poi fare uno dei suoi meravigliosi sorrisi, lasciandomi incantata e allontanandosi di scatto, salutandomi. Sbatto più volte gli occhi e lo osservo entrare in macchina, persa nei miei pensieri. ‘’ carino … ‘’ dice una voce femminile, mi volto e affianco a me Annie sta osservando Gus annuendo convinta. ‘’ eh? Cosa? ‘’ balbetto. Annie si gira e mi guarda sorridente ‘’ sto dicendo che è proprio un bonazzo. È lui quello con cui sei uscita l’altro giorno? ‘’ sbatte le palpebre con aria innocente. Chiudo la porta, la macchina di Gus è scomparsa, e sbuffo. ‘’ no, non era lui e poi… ‘’ schiude la bocca, sorpresa ‘’ allora qui siamo in un triangolo amoroso! ‘’ dice entusiasta ‘’ c-cosa? Nessun triangolo amoroso, nessun bonazzo, nessun appuntamento … niente di niente ‘’ la prendo per le spalle scuotendola appena ‘’ Annie, per favore, non farti film mentali. Ascolta la mia voce, segui il suono della mia voce e conserva la tua sanità mentale … ‘’ lei sorride ancora di più prendendomi le mani, togliendole dalle sue spalle e trascinandomi verso le scale ‘’ adesso, andiamo in camera e mi racconti tuuuutto per filo e per segno. Ti avviso, voglio i dettagli!’’

La Ragazza Yo-YoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora