CAPITOLO VIII - in the glow of the vending machine

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Data di pubblicazione: 25 aprile 2021


Mary staccò l'ennesimo frutto dall'albero. Quel pomeriggio la sua mente sembrava essere intorpidita, si sentiva come sopraffatta da molti pensieri, ma allo stesso tempo svuotata. Pochi giorni fa, lei e Jungkook avevano incontrato Yoongi, Namjoon e Min-ju nei pressi del lago e, da quel momento in poi, non avevano più incrociato i ragazzi, neanche a cena. A detta dello staff e del loro manager, erano stati totalmente assorbiti dalle riprese e gli shooting. Mary colse l'ennesimo frutto, e lo mise nella cesta di vimini.

La verità era che un piccolo tarlo le si era fissato nella mente, e sembrava non accennare a volersene andare. Eppure, al contempo scacciava fortemente questo suo pensiero fisso, perché non avrebbe neanche dovuto provare determinate sensazioni o paure. Perché sì, Mary aveva paura di non riuscire mai più a ritagliare un momento in solitudine con Jungkook. Temeva che i manager fossero venuti a saperlo, e così lui avesse avuto qualche sorta di ripercussione. Ergo, non si sarebbe mai più allontanato dal gruppo fino alla fine del Summer Package. E allora Mary si sentì una completa stupida perché, per quanto cercasse di ignorare i suoi pensieri, ciò significava una cosa soltanto: in quei giorni in cui non l'aveva visto, Jungkook le era mancato.

«Al diavolo, va»* e lanciò il frutto, con forza, dentro la cesta.

«Unnie, non te la prendere con la frutta».

Si voltò, e lì a pochi passi da lei vide Min-ju che la guardava con un dolce sorriso. Aveva con sé una piccola scala apribile, per cercare di prendere i frutti sui rami più alti. L'aprì e, iniziando a lavorare, diede le spalle a Mary. La rossa prese la cesta e si avvicinò alla più piccola, intenzionata a darle una mano. Rimasero per un po' in silenzio, Min-ju controllava i frutti e li riponeva nel cesto che Mary teneva rialzato.

La più piccola guardò la rossa, di sfuggita, e vide i suoi occhi rivolti verso un punto lontano. Era lì con lei, ma la sua mente era lontana e persa chissà dove.

Tossicchiò lievemente, richiamando così la sua attenzione.

«Ovviamente, sai che del lago dovremmo dirlo a mia sorella» fece, imbarazzata. Mary sembrò come risvegliarsi, e guardò la più piccola. Min-ju non la guardava negli occhi ma, con le guance imporporate, continuava il suo lavoro diligentemente. Mary si lasciò andare ad un ampio sorriso che divenne ben presto una risata liberatoria, che poi contagiò la più giovane.

«Ovviamente» esclamò Mary, senza smettere di sorridere. «Se glielo teniamo nascosto, non ce lo perdonerà mai». Min-ju annuì, sorridendo.

«Tu lo sai... ecco...» iniziò incerta la mora, quasi balbettando, mentre scendeva dalla scaletta «noi tre, siamo come sorelle». Pronunciate quelle parole, si voltò immediatamente e iniziò a sistemare meglio la frutta nella cesta che le aveva dato la rossa, o almeno all'apparenza sembrò concentratissima in quella mansione. Mary sentì ad un tratto il cuore più leggero, e un moto di affetto travolgerla. A piccoli passi si avvicinò alla figura di Min-ju, la piccola e timida Min-ju che, come sempre, aveva compreso ogni cosa.

Le scompigliò piano il caschetto corvino, e la più piccola sbuffò infastidita, cercando di sistemarsi la frangetta che si era tutta spettinata.

«Grazie» sussurrò la maggiore, e Min-ju la guardò con un sorriso tutto fossette.

«Perché sei così pensierosa, allora?» fece con voce flebile.

Mary tentennò, mordendosi piano il labbro inferiore. Dirlo ad alta voce avrebbe reso in qualche modo reali e concreti i pensieri che in quel momento sfrecciavano nella sua mente e invece, finché rimanevano sue personali elucubrazioni, sarebbero state perfettamente gestibili, e soprattutto non avrebbe dovuto tener conto a nessuno di ciò che le vorticava nella testa.

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