Decima maledizione

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L'inverno non è mai stato una buona stagione in un piccolo paesino di campagna. È un periodo malsano, in cui ogni ferita si acuisce. Il freddo e il buio fanno arretrare l'animo e nascondono tutte le malvagità che sono state fatte. Ero spaventato. L'esorcismo aveva lasciato su di me profonde ferite e ancor più interrogativi. Mio fratello non aveva studiato in seminario con me; dunque chi lo aveva istruito nella pericolosa arte dell'esorcismo? Quando condivisi con lui quella curiosità non ebbi alcuna reazione, se non una piccola presa in giro. «Brutta faccenda vero?» Ci girò attorno e non riuscii a sapere nient'altro.

Da quella sera qualcosa nel mio subconscio si era risvegliato, come un impulso senza nome. Un sentimento che mi aveva mostrato la pochezza del mio piccolo essere. La pace che avevo sempre cercato mi era ormai pigra e indifferente, come se non la meritassi. Erano passati davvero pochi giorni da quando avevo seppellito papà? Da quando gli avevo promesso vendetta? No, era passato quasi un mese. I miei giorni, i miei pensieri, erano tutti ottusamente uguali, e le notti non finivano mai. Dormivo lontano da Lilli con la porta chiusa, e lei continuava a dividere il letto con mio fratello.

Spesso pensavo al motivo per cui si era avvicinata a me. A volte ricordavo la mia intenzione di parlarle, ma sempre in momenti in cui altri compiti esigevano la mia attenzione, e quando potevo, fingevo che il momento non lo permetteva. In realtà non ricordo cosa mi trattenesse.

Una mattina in particolare mi alzai presto, prima dell'alba. Avevano suonato al campanello, così mi vestii e andai in parrocchia. Quella era l'unica cosa ad essere davvero cambiata. Nonostante non avessi la carica di sacerdote, i voti da Esorcista mi permisero di ricoprire il ruolo di mio padre al servizio della comunità. Insegnavo il Vangelo. Visitavo i fedeli. Dicevo messa e confessavo.

In molti sceglievano la notte per farsi perdonare i peccati e per un attimo risi di quell'inganno non voluto; un peccatore che chiedeva al figlio del Diavolo di assolvere le sue colpe! Senza dubbio c'era dell'ironia in tutto questo.

Fuori dalla porta mi attendeva un giovane demone, e la sua presenza non mi stupì. Non era il primo a presentarsi quella settimana. Da quando io e mio fratello ci eravamo esorcizzati a vicenda, la voce si era sparsa a macchia d'olio e la curiosità aveva spinto molti nostri simili a cercarci per capire e imitare quel gesto.

«Sei qui per unirti a noi?» chiesi al giovane Demone. Attendere la risposta era una pura formalità. Lo feci entrare e lo condussi in una stanza per lasciarlo riposare. «Quando sarà il momento ti verrò a chiamare.»

Nei giorni precedenti avevo riflettuto molto. Approfondito le letture preferite di mio padre e pensato a un modo di rimediare ai miei errori. Ebbi una sensazione di malessere costante, e il tempo mi scorreva via tra le mani come se nulla avesse senso. Cosa avevo fatto fino a quel momento? Era come se la vita mi stesse passando accanto, lasciandomi impantanato in uno stagno di incapacità.

Realizzai che i demoni erano solo una delle tante, disgraziate vittime colpite dalla fede nel corso degli anni. C'erano andati di mezzo milioni di uomini e, secondo la storia, la loro conversione era avvenuta quasi per miracolo, come se i popoli convertiti avessero ritrovato in Gesù la vera identità delle loro divinità. Gli homo deus che prima li proteggevano. Nella mia mente tutto si risolveva in una spirale autodistruttiva, come un serpente che si avvelena mordendosi la coda. Un circolo perverso che legava le vittime ai loro carnefici e viceversa. Il messaggio salvifico legato a Gesù era qualcosa che i nostri antenati, umani e non, avrebbero fatto meglio ad accettare, o ne avrebbero pagato le conseguenze.

Ripensai al momento in cui il primo demone aveva bussato alla nostra porta.

«Fagli vedere» disse mio fratello. «Mostragli com'è sentirsi vivi. Insegnagli a esorcizzare!» E così iniziai il mio primo allievo, al quale se ne aggiunsero presto molti altri. Presero a chiamarmi maestro e mio fratello divenne il leader di quel piccolo gruppo. Sempre serio, educato, intollerante alla debolezza. Li manipolava a sangue freddo, millantando il potenziale infinito e positivo che apparteneva alla nostra razza. L'incapacità di essere nel torto. E il fallimento della fede che non era riuscita a piegarci, ispirando in tutti loro una sorta di complesso dell'apostolo di tipo visionario. Il credo di Iudex si insinuò nelle menti di quei poveri reietti e nella mia, dando loro qualcosa in più per cui vivere e a me qualcosa in più su cui riflettere. Eravamo stati scelti, e chi gli si opponeva doveva essere per forza malvagio.

Il Diavolo non è il CarneficeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora