Ventunesima maledizione

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Al Club mi era successo qualcosa. Non riuscii a spiegarmelo; almeno non nel modo per poter comprendere quanto desideravo. Per alcuni giorni, settimane addirittura, cercai di ricordare come il desiderio di uccidere il Drago si era impadronito di me. Ormai ero quasi sicuro di non essere il solo ad abitare la mia carne. Dentro di me si annidava qualcosa. Ma come potevo comprenderlo?

Sempre più spesso andavo alla deriva su quel pensiero. Lo osservavo senza comprenderlo. Non avevo idee, e nemmeno nuove domande. Ero solo lì. A volte sentivo il richiamo silenzioso di quella presenza nel profondo della mia mente. Mi osservava. Mi giudicava, e continuava a tacere, aspettando da me qualche reazione. Cosa sarebbe successo se mi fossi avvicinato? Era una buona idea? E soprattutto: aveva un senso? "Forse quella presenza mi vede allo stesso modo" meditai. Ma era un pensiero privo di fondamento, di interesse e forse anche di sentimento.

All'improvviso mi sentii troppo piccolo. Non finito. Come se non ci fosse abbastanza di me per esistere. Pronunciai il mio nome, con l'intento di legarlo a qualcosa che mi ricordasse chi ero. Da quanto tempo non lo dicevo ad alta voce? La vulnerabilità che provavo in quel momento si contrappose al ricordo malvagio che avevo di me, quando essere un Esorcista era l'unica cosa che avevo.

La mia nuova versione come Maestro della Chiesa di Iudex aveva preso lento possesso della mia vita, senza piegarmi al suo volere con violenza; come io avevo cambiato i miei allievi. La durezza con cui mi ero imposto su di loro era solo un riflesso della severità che mio padre aveva usato con me. L'avevo odiata. Eppure mi era servita per diventare la persona che ero, al punto da diventarmi cara. Ma pensarci era inutile.

Negli ultimi tempi mio fratello si era isolato dalle attività della Chiesa per lavorare con l'Alveare alla traduzione di un antico libro che aveva recuperato al Club. La parrocchia di papà diventò il suo nuovo studio e io iniziai a prendere ordini da Iudex stesso, che non mi si mostrò mai in volto. Presi possesso del Caino, in Toscana, e ne feci la mia nuova base operativa per guidare e contenere le azioni della Chiesa nel mondo, che da lì in avanti si venne a creare.

Sotto la mia guida si radunarono a migliaia. Umani e homo deus. Tutti provavano timore alla mia vista e, anche se a volte mi sentivo circondato, ero il re di quel piccolo Inferno. Tutti desideravano solo farsi accettare ed entrare a far parte della mia cerchia privata di eletti; consapevoli che se si avvicinavano nel modo sbagliato sarebbero stati cacciati via. Si era allargata la voce che potevo uccidere con un sussurro. Non avevo più paura di nulla. Solo non sapevo come tornare in quella forma, e io ero l'unico a saperlo.

Sotto il mio comando, i maggiori governi del mondo sballottarono come aquiloni appesi a un filo. Con coraggio, alcuni cercarono di opporsi. Le vittime strinsero i denti e qualcuno combatté l'affronto subito al Club formando nuovi presidi ombra, emettendo taglie contro gli Apostoli, più per vendetta che per necessità. Iudex prese quella resistenza come un affronto personale, e affidò a me il compito di guidare i vecchi e i nuovi Apostoli in quella nuova caccia alle streghe. All'inizio pensai fosse inutile; ma alla fine trovammo davvero le streghe e le sterminammo tutte, dalla prima all'ultima.

Intercettavo i nostri nemici prima che potessero organizzarsi. Avevo spie ovunque e difendersi per loro era diventato impossibile. Come un branco di conigli contro un orso rabbioso, capace di annusare ogni loro nascondiglio. I maggiori credi religiosi corsero in aiuto dei sovversivi, ma nemmeno il loro intervento riuscì a cambiare le cose. Colpimmo i loro portavoce con mani pesanti, disumane, come martellate sulla carne. E molti di loro, per salvarsi, riconobbero in noi il vero volto delle divinità che adoravano. Alla fine le cose stavano andando per il verso giusto. E grazie a Gabriele e al Drago anch'io trovai il mio posto.

Quest'ultimo riconsegnò la maschera di sua spontanea volontà. Le condizioni in cui il mio esorcismo l'avevano lasciato erano così gravi da impedirgli quasi di esistere. Era diventato pressoché cieco. Le corna e la schiena spezzate, costretto a reggersi gobbo ad un bastone più alto di lui, la coda amputata come quella di un cane malato.

«Maestro. Sembra dispiaciuto per le mie condizioni» mi disse un giorno. «Non si preoccupi. Io e lei siamo simili. La nostra natura è uguale. E anche se gli altri hanno paura che quello che ha fatto a me possa capitare a loro, io sarò sempre qui per mostrarle le conseguenze del suo scatto d'ira. Nonostante il nostro rapporto non abbia sempre funzionato bene, io continuo a fidarmi di lei.»

"Finché non ti uccido per errore" pensai. Parlare dell'aggressione, pensarci, era per lui come stuzzicare una vescica. Sentire il suo dolore mi faceva venir voglia di fermarlo, di farlo parlare d'altro, ma era venuto in quella stanza per dirmi proprio questo: che sarebbe rimasto e lo faceva per me. In qualche modo era diventato più calmo, riflessivo... umano. Dove trovasse la forza di seguirmi e di starmi ancora più vicino, non ho mai trovato il coraggio di chiederglielo.

Affrontai il discorso con Gabriele e lui mi disse: «per quanto può essere assurdo, è più vicino a te adesso di quanto non lo sia mai stato prima. Ogni cosa ha valore, anche comprendere la propria mortalità e la propria debolezza. Dipende solo dal momento e da come lo capiamo. Per un uomo che muore di sete l'acqua è più preziosa dell'oro, ma per qualcuno che sta per annegare è l'ultima cosa di cui ha bisogno. Prima del tuo esorcismo, il Drago era un demone che aveva molta sete. Sete di comprensione e di riscatto per una vita tranquilla. Solo che non lo sapeva. Ha accettato la tua aggressione come un dono e un aiuto. Se ti senti in torto questo è solo un problema tuo, perché lui si sente in debito con te a sua volta», prese aria. «Se ci rifletti bene, è lo stesso rapporto che ho io con tuo fratello. Tra noi è stata la stessa cosa.»

«Sarò pronto a tutto ciò che mi vorrà restituire, anche con gli interessi» giurai ad alta voce. "Esattamente la stessa cosa che aveva detto mio fratello dopo aver aggredito Gabriele" pensai un istante dopo.

«Ancora una volta, il legame infinito tra vittima e carnefice.» L'analisi spontanea di Gabriele mi soffocò. Ora vedevo le cose con gli occhi di un uomo, capivo le intenzioni del Drago, mettevo sulla pesa le mie reazioni, e il livello di complicazione era sbalorditivo.

«Perché?» chiesi senza una ragione.

«Ricordi ciò che ha detto tuo fratello su questo legame? Qualcuno un giorno dovrà trovare il coraggio di spezzarlo per tutti, e io credo che quel qualcuno possa essere tu.»

Fissai la parete della camera come guardando trasognato in un'invisibile lontananza. Cercai di richiamare quel discorso, ma i miei ricordi, come frammenti sfrangiati, divennero fili di ragnatela e poi sparirono del tutto. «No, non ricordo» risposi con semplicità.

Gabriele sospirò. «Ora devo andare. Questa sera abbiamo un'altra importante missione e devo portare con me i nuovi Apostoli per addestrarli.» Cercai ancora un consiglio sul suo volto ma lui si allontanò, lasciando tutte le domande per me. Sospirai e poi cercai le risposte nel deserto buio della mia mente. "Come ho fatto a non ricordarlo?" pensai all'improvviso.

Io e mio fratello ci eravamo fatti una promessa; dovevamo parlarci e nessuno dei due l'aveva ancora mantenuta. Salii in macchina e mi allontanai dal Club, per tornare a casa, spinto da un'intuizione. Qualcosa di importante stava per accadere, ed era arrivato per me il momento di ottenere qualcosa. Volevo sapere, ed ero sicuro che avrei avuto tutte le risposte del caso; altrimenti mio fratello avrebbe conosciuto quella parte di me di cui anch'io conoscevo ben poco.

Il Diavolo non è il CarneficeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora