Ventiduesima maledizione

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Negli ultimi giorni erano successe troppe cose e troppo in fretta. Quasi mi sembrava di aver vissuto solo una parte di tutto quel tempo, come se intere porzioni della mia vita mancassero all'appello, nascoste dalla mia mente di proposito. Guidai fino a casa, distratto dal pensiero, e quando arrivai frenai all'ultimo secondo, sgommando adagio sulla ghiaia del parcheggio. Chiusi la macchina senza far rumore e mi incamminai nella tenebra della notte, nel silenzio più assoluto.

All'improvviso mi sentii fuori posto. Un buon Esorcista sviluppa un certo sesto senso nei momenti in cui si sente osservato. Ascoltai, mi guardai attorno con cautela, dilatai perfino le narici, facendo un respiro profondo. Col naso cercai cos'era sfuggito agli altri sensi, ma non rilevai nulla che dovessi temere. Nemmeno gli insetti guardiani che era solito usare l'Apostolo dell'Alveare, rimasto per tutto il periodo con mio fratello. Nulla a parte questo. Niente di niente.

Le terre intorno alla parrocchia avrebbero dovuto essere accoglienti, ma man mano che mi avvicinavo su di esse distinguevo un'aura poco trasparente, di affaticamento e un profondo e cupo sconforto; come se le costruzioni stesse non volessero stare lì. Mi sentii alla mercé di quella presenza, e all'improvviso mi sconvolsi non tanto per l'oscurità, diventata più avvolgente e assoluta, ma per il malvagio invito rappresentato dall'unica luce visibile in tutta la casa, nello studio di papà. Camminai verso l'entrata ma rimasi all'erta.

Per poche decine di metri uscii dal riparo degli alberi e a metà del percorso mi voltai all'indietro. "C'è qualcosa che non va!" pensai. Presi un sasso, lo fissai per un attimo, dubbioso, quindi lo buttai via. Forse non era niente, ma qualcuno era passato di lì prima di me. Guardai il sentiero che avevo appena percorso. "Gli insetti!" ragionare come se stessi parlando ad alta voce mi permise di tenere il punto dei pensieri con più chiarezza. "Non ne ho incontrato nemmeno uno lungo tutto il percorso. Qualcosa li ha terrorizzati al punto da farli scappare via." Quando mi rialzai vidi un'ombra con la coda dell'occhio e mi gelai sul posto. "Iudex" pensai. "Iudex è in casa mia."

Dietro alla finestra, in parte nascosto, vidi un essere dai contorni sfocati più o meno grosso quanto un uomo. Sembrava in tutto e per tutto l'ombra di una persona. Non si mosse. Mi guardò e aspettò. Non lo studiai direttamente ma tenni lo sguardo puntato qualche metro più in là. Fargli credere che non mi ero ancora accorto della sua presenza mi dava un certo vantaggio in caso avesse avuto cattive intenzioni. Sbattei bene le palpebre per pulirmi gli occhi e poi voltai la testa nella sua direzione, passando subito oltre.

Nel punto in cui sapevo si nascondeva concentrai al massimo la mia attenzione e cercai di capire. Niente. Non sapevo se quello che vedevo era reale o solo un'illusione creata dalla luce opaca sulla finestra. Con qualcuno al mio fianco sarei stato più coraggioso, ma ormai era troppo tardi. La macchina era terribilmente distante e io troppo all'aperto per tentare qualcosa di improvviso. Dovevo andare avanti.

Trovai la porta d'entrata lasciata socchiusa apposta, come un pericoloso invito. La spinsi con la spalla, raschiandola sul pavimento, finché non aprii uno spazio abbastanza largo per passare. Accesi l'interruttore, ma la luce non funzionò. Andai avanti lo stesso, piano, un piede dopo l'altro, nel buio più abissale, e all'improvviso l'eco dei miei passi si trasformò in un suono sgradevole. Uno scrocchiare viscido che non riuscii a interpretare. Un puzzo intenso di materiale organico digerito mi assalì le narici, come se fossi appena entrato nella gola di un mostro. Il senso del tatto alle dita e ai piedi mi si acuì, facendomi notare delle cose del tutto inutili: la trama dei vestiti, il sudore che si era incollato alla pelle, freddo e persistente. La pressione nei polmoni e nelle tempie aumentò fino ad opprimermi. E il silenzio era così basso da rimbombare con una voce tutta sua. Feci ancora qualche passo, ma fare attenzione non servì a nulla.

Non ero mai stato così. Eravamo in migliaia a respirare in quella stanza. Maledissi la mia codardia, incapace di trattenere ancora il terrore, ed evocai una grossa fiamma sul palmo della mia mano. Strizzai gli occhi e poi li aprii, mettendo a fuoco. Per istinto nascosi la bocca e il naso all'interno del gomito, e un brivido mi percorse, come un cavallo scuote i parassiti dal manto.

Il Diavolo non è il CarneficeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora