L'appartamento

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"Cosa?”

Cecilia strinse le labbra.

"Ma non stiamo bene qui?” continuò Andrea.

Lei aveva uno sguardo duro.

"Ma di là non pagheremmo l’affitto” disse lei.

Lui sospirò, incrociò le mani dietro la testa e si sbilanciò all’indietro sulla sedia.

"Dobbiamo parlarne proprio adesso?”

Le braccia di lei ricaddero contro i fianchi come un peso morto.

"Se aspetto te, non ne parliamo mai”

Andrea abbassò lo sguardo sul monitor del computer: il logo incompleto della signorina Armandini aspettava muto, doveva consegnarlo la mattina seguente e quello era proprio il momento meno adatto per discutere di nuovo con Cecilia. Lei a giorni alterni tirava fuori il discorso dell’appartamento e i tentativi di lui di seppellirli dietro a un “vedremo” non funzionavano più, anzi avevano lo spiacevole effetto di intensificare all’inverosimile le punzecchiature di lei.

Se ne stava lì impalata con un piede davanti all’altro e le braccia incrociate, sembrava un soldatino. Non avrebbe ceduto di un millimetro, lo sapeva. A quel punto gli si prospettava davanti una bella nottata di lavoro. Sbuffò, salvò la bozza del progetto e richiuse il computer.

"È che qui ci sto bene” tentò lui “cioè, lo so è un po’ piccolo, ma siamo noi due e ci vogliamo bene, e basta quello, no?”

Si alzò e andò ad abbracciarla. Era piccolina e teneva i pugni piantati contro il suo petto.

"Dai amore, non prenderla così. Io pensavo stessimo bene qui insieme” continuò lui.

"Ma sì, si sta bene qui”

Lei fece forza contro di lui e si divincolò dal suo abbraccio.

"È che di là sarebbe tutto più facile” riprese lei “avremmo l’appartamento gratis e potremmo anche risparmiare sul mangiare. Sai quante volte potremmo andare a cena dai miei? Basterebbe fare le scale e andare di sopra. Non ci hai pensato?”

Andrea risucchiò dentro le labbra e mise le mani in tasca.

"Pensaci” disse lei “adesso che c’è questa occasione potremmo starcene più tranquilli senza l’ansia delle bollette da pagare o dell’affitto che scade. Non vedi che facciamo fatica a tirare avanti in due?”

Andrea andò fino alla porta finestra che dava sul balcone. II gelsomino rachitico che aveva piantato durante l’estate era quasi calvo e non aveva nessuna intenzione di proteggere casa loro dagli sguardi dei vicini. La signora Tina era come al solito alla finestra e lo fissava cupa.

"E allora il progetto di andare da mio fratello?” chiese lui.

"Tuo fratello? Ma se ne parlava così per dire, io non ci ho mai creduto veramente.E poi non ti ho mai visto molto convinto nemmeno te. Non hai mai fatto niente per realizzarlo”

Andrea si girò verso di lei.

"Io? Se era per me ero già a Londra. Il mio lavoro posso farlo anche lì”

"Quindi ti saresti sacrificato per me, saresti rimasto qui per me?”

Lui aggrottò un sopracciglio.

"È così importante per te andare a stare in quell’appartamento?”

"Io davvero non ti capisco. Abbiamo un lavoro precario entrambi, facciamo fatica a sopravvivere, mia zia lascia libero un appartamento per noi due e tu sei qui che ti fai mille problemi sul fatto se conviene andarci o no?”

"Fosse stato il contrario, fosse stato che dovevi venire tu a vivere a casa dei miei, saresti venuta?”

Lei pestò con un piede per terra.

"Ecco, adesso ho capito, il problema allora sono i miei. Non vuoi abitare con i miei genitori” disse con le mani sui fianchi “che poi sei poco onesto, perché noi avremmo il nostro appartamento separato, non è che andremmo a casa loro”

"Sì” tirò su le spalle lui “noi al piano terra e i tuoi di sopra con l’ingresso in comune”

"Guarda che i miei non verrebbero a romperci le palle”

Lui increspò le labbra.

"Io non credo di volere questa cosa”

Lei alzò le mani in segno di resa e le appoggiò al tavolo.

"Bene” rispose a stento “perfetto. Allora non funziona un bel niente tra di noi”

Lui se ne rimase lì inutile, appoggiato con le spalle contro la parete. E successe quello che si aspettava.

Come vide spuntare una lacrima sul viso di lei, lo stomaco di lui si accartocciò come una foglia secca.

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