Fece un passo fuori sulla scaletta e girò gli occhi al cielo: lì era già primavera. Salutò l’assistente di volo e scese senza fretta. Si tolse la felpa e poi andò alla consegna bagagli. Si piazzò in disparte e se ne rimase lì ad ascoltare i discorsi della gente: era un po’ che non sentiva il dialetto delle sue parti e in quel momento gli sembrò di non essere mai andato via, di aver solo allungato un po’ l’elastico che lo teneva legato a quel luogo. Sul rullo riconobbe la sua valigia con un angolo sbucciato e una ruota mancante. La lasciò rientrare nel tunnel.
‘Devo tornare in Italia’
‘Per quanto?’
E se ne era restato in silenzio, lei allora aveva appoggiato la testa contro lo stipite della porta.
‘Mi dispiace’
‘Lascia stare. Non ci pensare’
‘Cioè non lo so. È che ho bisogno di chiarire alcune cose. Poi non so cosa succederà’
‘Vai. Va bene così. Nessun problema’
E quello strappo se lo sentiva cucito addosso, gli bruciava come sale su una ferita. Sei un idiota. Gli ronzava ancora in testa il commento di Davide. A volte gli veniva il sospetto che non fossero fratelli davvero.
Dalle bandelle nere sbucò di nuovo la sua valigia: era l’ultima. La tirò su e trascinandosela dietro cigolante uscì dal terminal. Prese il primo autobus per la stazione dei treni.
Controllò l’ora: Cecilia era di sicuro ancora al lavoro e a lui andava bene così. Magari si sarebbe trattenuto poco, giusto il tempo per litigare l’ultima volta e tornare a Londra. Che cazzata stava facendo.
Depositò la valigia accanto alla panchina di là dalla strada, quella che si vedeva dalla finestra della loro camera da letto, e si sedette sulla spalliera. Di sicuro la signora Tina lo aveva già inquadrato nel mirino. Gli sembrò anche di scorgerla oltre la tenda della sua cucina. Non era cambiato niente.
In giardino la sua macchina era ancora parcheggiata sotto al pino, proprio lì dove l’aveva lasciata due mesi prima, aveva solo cambiato colore, piena com’era di merda di passeri e piccioni.
Allungò i gomiti sulle ginocchia e aspettò fino a quando perse del tutto la sensibilità alle chiappe appoggiate sulla spalliera.
Controllava le auto e le scartava una a una, continuando a chiedersi per quale accidenti di motivo si trovasse lì come uno scemo. E poi d’un tratto oltre l’incrocio riconobbe l’auto di lei. Gli mancò il respiro di colpo e senza volere prese a seguire la macchiolina di quell’auto farsi sempre più grande. Quando gli sfilò vicino, allungò la testa e guardò bene all’interno dell’abitacolo e in quel preciso istante Cecilia girò lo sguardo verso di lui. Lei spalancò gli occhi e inchiodò. Teneva le mani premute sulla bocca e lo fissava da dietro il finestrino. Lui sospirò e non fece nulla, aspettò di trovarsela piantata lì davanti, muta. Allora Andrea si scostò un po’ di lato e lei si sedette accanto a lui. Il profumo di lei gli invase la mente; chiuse gli occhi e aspettò che il martello pneumatico che aveva al posto del cuore gli si calmasse. Maledizione, pensò.
Il braccio di lei era vicino al suo e lui ne avvertiva il calore sulla pelle. Fu allora che lei senza dir nulla, poggiò la testa sulla sua spalla e rimase così per alcuni minuti. Lui tratteneva il respiro. Poi Cecilia allungò un dito fino a sfiorargli il dorso della mano e qualcosa fece contatto dentro di lui. Gli tornò alla mente tutto quello che loro erano stati, tutte le volte che avevano riso assieme e pianto e litigato e vissuto.
Inghiottì quelle che gli sembrarono lacrime e la lasciò fare fino a quando sentì le dita di lei scorrere sulle sue nocche, allora girò la mano, incrociò le dita con le sue di lei e le strinse forte. Erano loro, erano tornati dall’inferno ed erano ancora vivi.
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Bivio
RomanceAndrea e Cecilia stanno insieme da qualche anno. Hanno un lavoro precario e a fatica riescono a far fronte alle spese per l'affitto e le bollette. Improvvisamente hanno l'opportunità di andare ad abitare a casa di parenti. Questo porterà a un bivio...