La scoperta

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Le mani gli sudavano. Le staccò dal volante, le strisciò sui jeans e scese. Come aveva fatto a non pensarci prima? Era ovvio che sarebbe corsa lì.

Appoggiò un dito sulla carrozzeria dell’auto di Cecilia e lo trascinò fino al muso.

Si avvicinò alla casa dall’altra parte della strada e guardò in alto. Al primo piano la luce della camera da letto era accesa. Agguantò le punte delle sbarre del cancello e le strinse forte.

Era già successo all’inizio della loro storia, alla prima grande crisi. Gli aveva fatto una gran scenata quella volta: si era intestardita a voler sapere per filo e per segno dove avrebbe dormito quel week end assieme ai suoi amici. Come faceva a dirglielo? Non lo sapeva nemmeno lui. A casa di un amico di amici, era solo un ritrovo di gente conosciuta su internet improvvisato all’ultimo minuto; e lei no, non poteva venire, lei non faceva parte del gruppo e lui sarebbe stato l’unico a portarsi dietro la ragazza, non voleva dover giustificare quell’abdicazione. E allora lei aveva fatto lo zaino e se ne era andata via per due notti. Ci era riuscita a rovinargli l’uscita e lui aveva odiato se stesso fino all’osso.

Premette “Invia” sul telefono e tornò a fissare la finestra. Il traffico ronzava in lontananza e il vento faceva ondeggiare le zanzariere lente di quella casa. Non le tiravano mai su, nemmeno in inverno. La luce dilagò fuori dalla finestra e lui riconobbe il suo profilo dietro al vetro. Le spalle si abbassarono e la tenda si richiuse.

"Cosa ci fai qui?” gli chiese appena scesa di sotto.

"Cosa vuol dire cosa ci faccio qui?” aprì le braccia lui “Cosa ci fai tu qui, piuttosto!”

Cecilia inclinò la testa “Sto pensando”

"Cosa?”

Lei tirò su una spalla.

"Hai bisogno di confidarti con lui? Con quel cerebroleso…”

"Senti, non ho voglia di star qui a sentire le tue cattiverie. Se hai qualcosa da dire, dai, dillo subito”

"E’ in casa?”

Cecilia incrociò le braccia sul petto.

"Ma dobbiamo parlare qui così?” continuò lui “Attraverso le sbarre tipo parlatorio del carcere? Non puoi venire a casa?”

"Ci hai pensato?”

Andrea sbuffò e fece un passo indietro. Qualcuno aveva aperto la finestra della camera da letto e stranamente aveva tirato su la zanzariera. Sentì la rabbia montargli dentro.

"Per piacere, possiamo parlarne con calma in un altro posto?”

"Non serve a niente”

"Io proprio non ti capisco” riprese lui con le mani sui fianchi “e comunque non mi piace questa cosa”

"Voglio che ci pensi bene. Voglio che ci pensiamo bene entrambi e forse è meglio così”

L’altro era appoggiato coi gomiti sul davanzale. Una fiammella color della brace si rianimò vicino alla sua bocca. Andrea inspirò forte e strinse i pugni.

Cecilia guardò la finestra e poi incrociò lo sguardo di Andrea. Lui allungò un braccio tra le sbarre del cancello e le prese un polso tenendolo con l’attenzione con cui si protegge una farfalla tra le mani. Era pesante il braccio di lei, inanimato. La tirò a sé e gli parve di trascinare un sacco di argilla. Allora capì, mollò la presa, lei fece un passo indietro e lui alzò di un niente il mento.

Gli ci volle un po’ per arrendersi. Non era possibile, era tutto così assurdo. Se ne rimase lì imbambolato come una statua di cera, con la bocca aperta e gli occhi piantati su di lei. Poi infilò i pollici nelle tasche posteriori dei jeans, incuneò la testa tra le spalle e indietreggiò come un gambero fino in strada.

Picchiò col pugno contro il volante e non ebbe nemmeno la forza di far ruggire il motore. Scappò via come un ladro, rintronato come se si fosse trovato sotto a una campana a morto.

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