1- Gloominess

787 55 27
                                    

"La coincidenza ci farà incontrare e chiamalo destino quel percorso naturale..." -Alessandra Amoroso

Un leggero venticello. Uno spiraglio di luce. Uno specchio rotto ormai da anni a causa di un pugno scagliatogli contro. Un riflesso, il mio riflesso.
Una ragazza dal viso candido, le sopracciglia inarcate, le labbra screpolate per via del freddo dell'inverno mi scrutava attentamente dal vetro.

I capelli castano scuro lasciati sparpagliati lungo le spalle. Un maglioncino color panna e un pantalone nero strappato sulle ginocchia.

Continuavo a fissare quella figura che mi si presentava davanti agli occhi con sguardo vuoto, inespressivo.
Dal suo volto non trapelava nulla, nemmeno un'emozione. Le lunghe ciglia accarezzarono leggermente le mie guance quando chiusi gli occhi e mi portai una mano sul collo.

Le mie dita entrarono subito in contatto con qualcosa di freddo. E a quel tocco, istintivamente aprii gli occhi.

Abbassai di poco lo sguardo sulla mia mano e vidi che ricadeva perfettamente sul mio latteo petto una catenina d'oro su cui pendeva una ciondolo raffigurante una rosa. Toccando nuovamente quel piccolo e prezioso oggetto mi scappò un sorriso. Ma non un sorriso di felicità, uno di malinconia.

Era l'unica cosa che mi rimaneva di lei. Me lo aveva dato qualche giorno prima di andarsene via per sempre. Via da me e da mio padre. Quel ciondolo in qualche modo la rappresentava. Lei era fragile, proprio come una rosa, ma metteva tante spine attorno a se per evitare che qualcuno venisse a conoscenza delle sue debolezze.

Lei era forte, ma alla fine aveva ceduto. La malattia l'aveva divorata e le aveva strappato via tutte le spine che aveva accumulato nel corso degli anni lasciandola inerme e debole.

Mi mancava come l'aria.
Mi mancava così tanto che in certi momenti sentivo un buco nello stomaco, profondo come un silenzio incolmabile, in altri invece un po' meno perché di vederla soffrire su quel lettino bianco dell'ospedale ne ero stanca.

E forse ci sarà un giorno in cui smetterà di mancarmi, un giorno in cui la sua assenza non farà più così male, e potrò accettare di averla lontano, e potrò accettare di non poterla più abbracciare, neppure un'ultima volta. Ma quel giorno non è oggi, né domani e non so quando sarò pronta a lasciarla andare. Forse mai. Perché, a distanza di quattro anni mi manca ancora così disperatamente.

Il mio sguardo continuò a vagare sul mio esile corpo. Una particolare attenzione verso la macchia violacea che si estendeva sul mio zigomo destro, che anche se avevo provato a coprire con del fondotinta questa mattina, non era scomparsa del tutto lasciandola intravedere.

La sfiorai delicatamente con le dita e subito mi morsi il labbro inferiore per il dolore. Le immagini di due sere precedenti invasero la mia mente, facendomi appannare la visuale, a causa delle lacrime che minacciavano di scendere.

Potevo ancora sentire il forte rumore che aveva provocato la mano sinistra di mio padre a contatto con la mia pelle morbida e chiara.

Da quando la mamma era andata via mio padre si era dato all'alcool.

Non riusciva a sostenere tutto quel dolore da solo, diceva che senza di lei non era più nulla era un uomo finito. Dava la colpa della morte di mia madre a me, diceva che ero stata io ad averle provocato tutto quel dolore e che per non volermi vedere soffrire aveva smesso di fare la chemioterapia. Era così scontato che desse la colpa di tutto a me, perché era troppo doloroso ammettere che un'orrenda malattia aveva strappato dalle sue braccia la ragione della sua vita e lui non aveva potuto fare nulla per impedirlo.

Non avevo mai visto in diciassette anni di vita qualcuno amare la propria donna, la propria compagna di vita, come mio padre amava mia madre. Mi correggo, ama. Perché anche se sono passati quattro anni lui ancora la ama.

Oblivion ➳ z.j.m.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora