Capitolo 98

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2 anni dopo

Beverly

Percepisco il vento solcarmi il viso regalandomi un freddo tale da procurandomi la pelle d'oca, rabbrividisco stringendomi nella giacca, quasi come se volessi avvolgermi in un abbraccio caldo, ma che di calore non ha nulla.

Le mie esili dita stringono i lembi della stoffa per tenerla più saldamente attaccata al mio corpo che ora ai miei occhi pare fragile come le ali di una farfalla. Ho quasi paura che se applicassi più pressione potrei spezzarmi più di quanto già non lo sia, sentirmi scivolare tra le mani come sabbia e odio questa sensazione proprio perché la conosco fin troppo bene. Stringo i frammenti di me come feci dodici anni fa sperando di non vederli volare via, inafferrabili.

Non ho detto a mia madre dove mi trovo, le ho dato appuntamento di fronte al campus per salutarci prima della mia imminente partenza.

Ang ha insistito per accompagnarmi qui, ma ho preferito venire da sola, come fosse un momento di raccoglimento, qualcosa di intimo e da proteggere. In fin dei conti sono venuta in questo posto solo una volta, un anno fa, ma l'idea non mi fa più male come un tempo. Ho affrontato di peggio che ritrovarmi di fronte al ricordo di mio padre, ho vissuto la sua morte ogni notte, non mi destabilizza più.

Mi fermo ad osservare la lapide, la foto suffissa di lui che sorride e i suoi occhi sembrano quelli di un uomo giusto, buono, ma io conosco cosa si è celato dietro quello sguardo, le sue mani sporche del sangue altrui.

La rabbia l'ha reso l'assassino che ha fatto sbiadire il ricordo che avevo del mio papà.

Oggi sono esattamente due anni dalla sua morte, la prima volta che sono venuta qui, ad un anno dalla sua perdita, non riuscivo neppure ad avvicinarmi alla lapide. Mi sentivo come se lui fosse qui, in piedi di fronte a me, con la stessa espressione beata del momento in cui gli ho concesso il perdono.

Ho sempre pensato che parlare con i morti fosse un momento che serve a chi ha subito la perdita per poterla accettare fino in fondo, un modo per attutire la sofferenza, ma quando sono arrivata qui non esisteva una sola parola, neppure di circostanza, che sembrava adatta.

Neppure un suono pareva riuscire ad uscire dalla mia bocca.

Avrei potuto dire ciao papà, accarezzare il marmo gelido della lapide come a fargli una carezza, ma mi sentivo frenata, non sarebbe stato un gesto naturale, mi sembrava di fare un torto a qualcun altro.

Rimaneva colui che ha strappato al mondo Nicole e Tayler, l'uomo crudele che ha fatto soffrire le persone a cui tengo di più. Sarei stata una traditrice se avessi dimenticato il perché mio padre è morto.

Per le sue colpe.

Tiro sù col naso e faccio un passo verso la tomba, lascio che i miei capelli svolazzino nell'aria come fossi una statua di porcellana, bianca e scalfita nei minimi dettagli, in una posa rigida, ma col viso affranto di chi è stato piegato dalla vita. Lo stesso cuore affievolito di chi non ha più la forza di combattere per la felicità che le spetta in cambio del dolore già subito.

Magari mio padre non merita che io sia qui, ma tutti non dovrebbero morire soli e dimenticati. Venire qui per l'anniversario della sua perdita è un modo per non abbandonarlo a se stesso, rimane ugualmente l'uomo che mi ha messa al mondo insieme a mia madre, frutto del loro amore consumato negli anni. Questo è un modo per aiutare me ad andare avanti, senza odio o rancore, per sentirmi ancora la figlia di un padre che mi ha amata anche solo per nove anni.

Questo voglio ricordare di lui, ciò che è stato prima, trattare il dopo solo come un brutto incubo di cui tener conto, ma non lasciare che esso mi tormenti.

Quel buio dentro noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora