Capitolo II

55 1 2
                                    



La mattina seguente mi alzai per prendere il giornale, che come sempre Marcus mi lasciava ai piedi della porta.
Mi saltò subito agli occhi un articolo a caratteri cubitali in prima pagina, che citava:
"SCOMPARSA BAMBINA DI 11 ANNI
Il 6 gennaio Andy, dopo una giornata al parco in compagnia degli amici, non fa ritorno a casa. Il sindaco sollecita chiunque l'abbia vista, e chiunque ritenga di poter essere utile alle indagini in corso già da questa mattina, di contattare il commissariato".
Le mie gambe tremanti cedettero; caddi fiacca, come se di me rimanesse solo un involucro vuoto.
A provocarmi quella reazione fu il ricordo di una delle storie che mio zio mi raccontò da bambina. Trattava un episodio scolastico, un'uscita didattica, durante la quale una bambina, una compagna di mio zio, sparì improvvisamente. Il corpo della ragazzina fu ritrovato su un albero: braccia, torace e gola erano stati penetrati dai rami. Di quella storia, non fu il fatidico "based on a true story" ad impressionarmi, quanto piuttosto mi raggelò il fatto che non una goccia di sangue fu versata da quel corpo così profondamente lacerato. Era pietrificata, tramutata letteralmente in roccia. Le ferite erano coronate da increspature, come se i rami avessero trapassato il corpo dopo che questo era già divenuto pietra.
Pensai di essere davvero ingenua a collegare un avvenimento di quel calibro ad una storiella raccontata con tanta leggerezza, ma io ci credevo, ci credevo sul serio a quei racconti.
Non riuscii ad ignorare l'istinto, una viscida sensazione mi obbligò ad offrire il mio aiuto per le indagini. Non so se fosse per altruismo, o magari per provare a me stessa che mi sbagliavo, che quei racconti non erano affatto basati su storie reali, e che era arrivato il momento di abbandonare la ragazzina che era in me. Qualunque fosse il motivo, dovevo agire.

***
Erano circa le nove del mattino dell'otto gennaio, il soffio impetuoso del vento dava l'immagine di fischi e urla acute. La finestra cigolava. Mi svegliò il rumore generato dalle ante della finestra che, data la vecchiaia, non si chiudevano perfettamente.
Mi alzai infreddolita, scorsi di sfuggita il mio volto allo specchio e per poco non mi spaventai della mia stessa immagine: i miei occhi erano incavati in due livide occhiaie, i corti capelli castani fuori posto, e le labbra scarne spaccate dal gelo.
Mi vestii e raggiunsi il luogo dove era stata vista per l'ultima volta Andy. Una pattuglia aveva occupato il piazzale del parco e due militari stavano interrogando gli addetti alle pulizie, l'anziano proprietario del parco e alcune mamme presenti il giorno della scomparsa di Andy. Pensai che lì non ci fosse bisogno di me, o meglio, pensai che il loro lavoro fosse semplicemente di routine e che pensare a seguire la legge compilando inutili moduli e scartoffie passo per passo, non avrebbe fatto nient'altro che rallentare le ricerche, e che se Andy fosse stata in pericolo, di tempo ne avevamo perso già abbastanza, così mi avventurai nel bosco retrostante al parco, sperando di trovare qualche indizio che mi incanalasse sulla strada giusta.
Mentre mi inoltravo nel bosco seguendo il sentiero ricoperto di foglie secche e rametti morti, grigi, la nebbia si infittiva gradualmente sempre di più. Con questa, prendeva piede anche quell'asfissiante puzza di zolfo. Marcus si era offerto di continuare gli studi del territorio senza di me, "finché non troverai pace con questa storia" aveva detto. Benché non fosse d'accordo con le mie scelte, ci teneva a me, e sapeva quanto ci tenessi io a soddisfare le mie curiosità e le mie sfide personali; d'altronde, sapevamo entrambi benissimo che se non avessi preso parte a quest'indagine non avrei svolto con successo gli studi sulle solfatare.
All'improvviso inciampai in qualcosa di spigoloso che mi fece cadere in avanti, mi graffiai le mani e il mento; tre gocce di sangue impregnarono quella che inizialmente mi apparve una semplice roccia.
Di nuovo sentii quell'ombra enorme passarmi veloce alle spalle e di nuovo non riuscii a metterla a fuoco. Spaventata, mi girai e attaccai le spalle ad un tronco stringendolo forte. Chiusi gli occhi e trattenni il respiro: percepivo il suo fetido fiato provenire dalla parte opposta della quercia. Silenzio. Il cuore batteva forte in gola e temevo che interrompesse quel silenzio assordante calato improvvisamente. Una goccia di sudore mi camminava lungo la schiena, sentivo la paura avvelenare il mio ventre.
Appena qualche secondo dopo, dal nulla, la nebbia sparì, facendo trapelare qualche debole raggio di sole. Ripresi fiato e mi assicurai che quell'essere se ne fosse andato. Mi chinai per vedere in cosa fossi incappata; spostai le foglie e buttai un urlo di terrore. Era una mano sinistra, grigia, una statua.
Mi venne in mente che nel grande libro che avevo adocchiato nello scaffale della locanda, vi era un articolo a riguardo, così tornai indietro di corsa.
Arrivai alla locanda e mi recai diretta alla libreria ma mi accorsi che il libro era scomparso. Iniziai a sudare freddo: invece che trovare prove che mi facessero abbandonare le mie idee puerili, ne stavo attraendo certe che invece le alimentavano, ed erano sempre più difficili da ignorare.
Mi sedetti sulla poltrona con la testa poggiata fra le mani, affranta dai miei stessi pensieri, quando ad un certo punto sentii sussurrare in lontananza: "33... 33 anni... di nuovo" .
Quella voce cantilenante proveniva dal salotto, ed era familiare.
Mi alzai di scatto dalla poltrona, ebbi un capogiro, raggiunsi a passo veloce il tavolo di quell'uomo, Patrick - così citava la sua giacca - e vidi che stavolta tra le mani non aveva quella fotografia, ma il libro. Era aperto, sull'articolo delle statue abbandonate nel bosco. Rimasi paralizzata a bocca aperta per qualche secondo, senza che le parole riuscissero a prender vita, poi la lingua partì spedita: "Cosa è successo? La prego, me ne parli. Ne ho bisogno, so che lei può aiutarmi, o magari possiamo aiutarci a vicenda, ma la prego, parli".
Non proferì parola sull'argomento, tutto ciò che fece fu indicare l'articolo, e notai che affianco vi era anche quello di Andy. Ancora una volta l'istinto prese il sopravvento e gli strappai il libro di mano e allora tutto mi fu più chiaro: tutti quegli articoli erano stati messi lì da lui durante gli anni.
Mi scusai per aver agito in quel modo e gli dissi che se avesse voluto confidarmi qualcosa avrebbe potuto lasciarmi un bigliettino sotto la porta della stanza 3.
Salii al piano di sopra, si era fatto tardi e sentii il mio stomaco brontolare. Bussai alla porta di Marcus e ci accordammo per la cena. A tavola gli raccontai della giornata, ma lui ovviamente non credette alla metà delle mie "valutazioni irrazionali", come le chiamava lui. Mi alzai innervosita, uscii fuori e strappai la pellicola di plastica dal nuovo pacchetto di sigarette, ne accesi una con le mani tremanti dal freddo, o magari dalla rabbia. Non potevo credere che dopo tutti questi anni non si fidasse ancora del mio istinto, il quale nemmeno una singola volta ci aveva sviati, anzi, ci aveva sempre portati alla soluzione nei più meticolosi esperimenti che avevamo svolto.
Buttai fuori il fumo e alzai lo sguardo al cielo: la luna appariva come uno spicchio sottile, come un virgola in un immenso, oscuro, freddo blu.

L'infernale leggenda di Houska Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora