Capitolo I

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Un bosco tetro e cupo, avvolto da una nebbia piuttosto densa ma allo stesso tempo leggera, che si intricava tra i tronchi secolari, i quali predominavano con imponenza sui freddi monti circostanti; era a valle di quell'oscura foresta che si centralizzava la cittadina di Houska. Si presentava povera di abitazioni, le uniche strutture dedite al turismo erano spaventosamente desolate. Tra queste vi si nascondeva la modesta locanda nella quale pernottavamo. La caratterizzava il particolare legno dal colore rossiccio, sul tetto spiovente era lievemente poggiato un velo di candida e canuta neve, che donava un tono di leggerezza a quel magnifico quadro. Sul portone d'entrata era appesa ad un gancio arrugginito una lanterna, che proteggeva una flebile fiammella. C'era un'aria umida, che raggelava le ossa, così, dopo aver disfatto la valigia, scesi nel salotto e mi raggomitolai su una soffice poltrona dinnanzi al camino. Amavo osservare il fuoco, ma ancor di più leggere un libro e bere una cioccolata calda avvolta da quel tepore del quale solo in inverno si può gioire.
Sovrastante al camino vi era una grande libreria in legno sui quali bordi erano intarsiati dei simboli che mi incuriosivano particolarmente.
La grande maggioranza dei libri contenuti in questa erano basati su leggende popolari. Nella mensola in cima, isolato dagli altri, scorsi un libro piuttosto voluminoso dalla copertina bordeaux. Lo ricopriva una patina di pulviscolo spessa tanto da farmi starnutire più volte prima che riuscissi a spolverarlo. Era evidente che non lo si leggesse da un periodo notevole. Le pagine erano ingiallite, consunte dal tempo.
Iniziai a leggerlo, ma notai subito una lieve differenza dai soliti libri narranti leggende metropolitane. Questo mi diede l'impressione che riportasse storie autentiche, ne erano prova gli articoli di giornale svolazzanti che apparivano tra una pagina e l'altra; qualcuno doveva averceli messi in un secondo momento. Riportavano avvistamenti di demoni, spiriti vaganti nei boschi predominanti che attorniavano la minuta cittadella, inoltre erano riportate anche molte denunce di urla durante la notte, provenienti da una casa al di là della foresta. I racconti mi stuzzicarono a tal punto da passarci ore come fossero secondi, finché non sprofondai in un sonno tormentato. Mi parve di sentire un urlo e mi sveglai di sobbalzo. Aspettai qualche secondo ma niente, dovevo averlo sognato.  L'orologio segnava le 3:02.
Mi sentivo stordita, e il viso e le mani sembrava mi andassero a fuoco; non avrei dovuto addormentarmi vicino al camino.
Stavo per alzarmi quando mi baluginò alla mente una scena: una bambina con il terrore stampato in faccia, in preda al panico. Non mi parve un viso conosciuto, così pensai che magari era una delle fotografie in bianco e nero trovate all'interno del libro.
Un pò frastornata, mi affrettai a raggiungere la mia camera; l'indomani avrei dovuto svegliarmi presto per avviare gli studi sul territorio con l'aiuto di Marcus.
***
"Petra! Insomma dai, sono le 9:30 del mattino, direi che è l'ora di inziare la perlustrazione del territorio. Non siamo in vacanza". Bussò forte alla porta, tre colpi secchi. Marcus, era così che lo riconoscevo.
Le tempie mi pulsavano, mi alzai di scatto e barcollando, giunsi alla porta; per poco non caddi.
"Marcus, scusami, metto una vestaglia e scendo. Ci vediamo giù per la colazione." Risposi con voce assonnata.
"Eppure non è da te fare ritardo, mi sarei aspettato la situazione inversa piuttosto!".
"Giuro che questo grande sonno non è immotivato! Ti spiegherò tutto giù".
"Mh, va bene dai, sii svelta però".
Giù in sala i tavoli occupati erano solo due: oltre al nostro, quello di un cliente abituale, un'uomo sulla settantina. I capelli canuti erano coperti in parte dal berretto. Indossava jeans consumati, inglialliti sulle ginocchia. Un uomo pingue, che tentava invano di nascondere codesta caratteristica indossando un largo giubbotto. Era solito giocare con uno stuzzicadenti che reggeva ad una estremità della bocca. Di lui certo non si poteva dire che fosse logorroico. Il suo sguardo astratto, fisso nel vuoto, dava l'impressione che questi osservasse un'altra dimensione, alienato dalla realtà. Un'unica volta, scrutandolo con la coda dell'occhio, mi accorsi che stringeva tra le dita una cartolina, o forse una fotografia. Spinta dalla curiosità mi ci avvicinai, ma proprio quando ero sul punto di articolare un saluto, vidi Marcus accennarmi  con la mano di raggiungerlo.
"Allora? Spero che lei abbia spiegazioni plausibili per questo ritardo non indifferente, dottoressa" mi ribadì in tono caustico.
E così gli raccontai di ciò che era accaduto la sera prima.
"Suvvia Petra, non mi dirai che credi davvero a ciò che c'era scritto in quel libro?".
Immaginai che quel commento fosse scaturito  da una qualche espressione di paura che magari avevo mostrato indirettamente. "Ah mio caro Marcus, devo ricordarti tra scienza e fantasia quale sia stata la mia scelta? In tal caso, ho una laurea su in camera che farà si che ogni tuo dubbio a riguardo svanisca".
"E va bene e va bene, hai vinto tu. Dovremo sbrigarci, tocca a noi salvare questi territori. E sono già le 10. Su, andiamo."
Chiedemmo indicazioni per le solfatare ad un viandante, che ci fu di aiuto.
Nell'aria aleggiava quello stomachevole fetore di zolfo, il quale soffocava con prepotenza le fragranze che avrebbero emanato i delicati fiori d'arnica ed elicriso.
Mi affiorò in mente uno dei tanti momenti passati nel bosco delle Ciampate del diavolo, che venne subito scacciato via con arroganza da un ululato.
Dopo un pranzo a sacco e circa 6 ore di ricerche, suggerii che saremmo dovuti rientrare prima che facesse buio.
Nonostante ciò però riuscimmo a perderci in quel contorto labirinto naturale, la quale uscita ci apparve letteralmente introvabile. Erano oramai passate le cinque, il tramonto sopraggiungeva seguito da compatti banchi di nebbia. Lo scricchiolio dei rametti che si infrangevano sotto le nostre scarpe spezzava l'armonia regnante tra il silenzio e  il bubolare dei gufi.
Marcus accelerò il passo. La temperatura iniziò a calare rapidamente via via che il buio si faceva posto tra gli alberi scarni. Sentivo le piaghe spaccarsi sul dorso delle mani.
I passi gravavano svelti e pesanti lasciando orme profonde in quel terriccio inumidito. Con la coda dell'occhio mi parve di intravedere  un'ombra dalla smisurata grandezza che vagamente ricordava forme umane. Mi girai svelta nel tentativo di cercarla ma appena mi voltai, era come svanita.
Marcus mi osservò con aria meditabonda, e con fare dubbioso mi chiese se andasse tutto bene.
"Sì, è solo che... nulla, affrettiamoci a trovare la via di ritorno. Ah, guarda una casa, e sembra essere illuminata. Magari ci possono aiutare".
Era una baita di modeste dimensioni, coronata da una staccionata; in aggiunta, degli abeti  incorniciavano quella che pareva una cartolina.
Dinnanzi alla porta si innalzavano due grandi vasi cubici in pietra, che accoglievano gracili germogli di calicanto. I vetri delle finestrelle erano appannati, dietro a questi si scorgeva un uomo, così bussai.
Un uomo sulla cinquantina spalancò la porta con fare ansioso. Indossava jeans ed una camicia sgualcita a quadri rossi e neri. Chiese con tono presuntuoso: "Cosa volete? Non sapete che è pericoloso gironzolare per i boschi passato il tramonto? Presto, entrate."
Dopo le presentazioni gli spiegammo di esserci persi, così l'uomo si offrì di accompagnarci alla locanda.
Durante il tragitto Ronald – Ronald Gruber, è cosi che si presentò - si scusò per essere apparso scortese, accennando qualcosa riguardo la moglie: "È gravemente malata, e negli ultimi tempi non fa altro che peggiorare... sono molto preoccupato e questo mi porta a sfogarmi sulle altre persone... scusate, davvero".
La motivazione filava, eppure l'irrequietezza che gli si leggeva negli occhi mi fece pensare che ci fosse un motivo più profondo.
Ma in fin dei conti sembrava un brav uomo, accettammo le sue scuse e ringraziammo per il passaggio.
***
Erano passate due settimane da quando alloggiavamo lì e gli studi proseguivano con esiti inaspettati. Ci sarebbero voluti mesi prima di riuscire ad identificare la radice del problema e di riuscire a trovare una soluzione efficiente.
Erano le 7 e mezzo del mattino del sesto giorno di gennaio. Il vento gelido s'infrangeva contro la casa e spettinava la chioma degli abeti che contornavano la locanda; ciò non riuscì ad impedirmi di uscire per prendere le sigarette nella tabaccheria di fronte. Ero molto nervosa, ne sentivo un disperato bisogno. Era la mia debolezza.
Entrai in tabaccheria di corsa trattenendo uno starnuto, il naso era un pezzo di ghiaccio che iniziava a gocciolare.
"Delle Winston blu, grazie". Mentre attendevo mi voltai, e seduto all'unico tavolino della stanza, vidi quell'anziano. Il cliente abituale della locanda.
Ciò che più mi meravigliò era il suo sguardo. Stavolta non era assente. Era denso di un'ansiosa agitazione.
Mi venne naturale chiedergli cosa gli fosse accaduto. La sua risposta, da allora è impressa nella mia mente: "Di nuovo... Dopo 33 anni. Di nuovo." Bofonchiò quelle parole con spasmodica paura, come se temesse che qualcuno lo potesse sentire. Il suo  volto impietrito, il mio sguardo attonito.
"Signora, sono 105 Kc."
" Oh si, mi perdoni."
Attirò la mia attenzione con uno schiocco di dita e disegnò piccoli cerchi con l'indice vicino alla tempia e mi sussurrò con discrezione: "Non ci faccia caso, anni or sono, quel poveraccio subì una perdita che gli procurò un forte trauma; è da allora che non è più lo stesso".
Quelle parole mi segnarono profondamente. Dopo qualche secondo di esitazione, pagai e uscii frettolosamente.

L'infernale leggenda di Houska Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora