Era mattina presto, intorno alle circa, e il sole iniziava già a penetrare dalle fessure delle tapparelle e a illuminare piccoli tratti della stanza, puntando dritto anche sui miei occhi sfiniti.La notte precedente non avevo dormito affatto, ero sopraffatta dall'ansia e del terrore del poter essere incinta; non ero vittima delle mie mestruazioni da quasi un mese e mezzo, il che era parecchio strano dato che ero un orologio svizzero in quel campo. In quel periodo con Aiden, il mio fidanzato ormai da tre anni, non avevamo utilizzato alcuna protezione durante i rapporti sessuali, data la mia insistente convinzione che fosse "quello giusto", ma a distanza di poco tempo aveva iniziato a rivoltarmisi tutto contro; avevo paura di non riuscire nel mio compito di madre, di diventare una madre come la mia, e come se non bastasse, quando a cena gli parlavo di voler avere un bambino, lui diceva che si sarebbe sentito sopraffatto da troppe responsabilità di cui non era pronto.
Tra l'altro, tutto questo casino in testa senza contare che poteva anche tranquillamente solamente essere un eccessivo ed insolito ritardo del mio periodo.Mi alzai dal letto matrimoniale dove Aiden ancora dormiva beatamente sul lato sinistro, e mi incamminai verso il bagno per sciacquarmi la faccia che ero riuscita a far sudare con tutti quei pensieri tormentanti.
Slegai dalla coda i miei capelli marroni, che portavo lunghi fino alle spalle e li pettinai rapidamente. Indossai una camicia bianca infilata dentro dei pantaloni beige leggeri, e presi le chiavi della macchina, già pronta ad uscire dalla porta.«La colazione, merda!» esclamai, accorgendomi di non aver preparato la colazione né per me né per Aiden.
Pur di preparare la colazione solo per lui e non per me, dato che comunque avrei potuto farla al bar, arrivai tardi a lavoro, e mi beccai le parole da parte del capo. Mi misi dietro al bancone in silenzio senza volere né poter replicare, dove la mia compagna di lavoro da due anni, Elizabeth, stava facendo colazione con un caffè appena preparato da lei. Purtroppo o fortunatamente, non lo avevo mai capito, non ci avevo preso mai troppa confidenza, nonostante svariate volte mi avesse chiesto di andare a fare shopping con lei o comunque indirettamente di instaurare un rapporto di amicizia, però ero sempre stata un po' titubante, le davo sempre buca, forse mi bloccava il fatto che da un po', per precedenti difficoltà nel mio passato, avessi smesso di fidarmi cosi facilmente, anche di chi infondo sapevo avrei potuto farlo ciecamente.
«Ehi, come mai di nuovo in ritardo? Va tutto bene?» mi chiese lei, gentile come sempre, mettendo da parte il telefono che stava guardando poco prima e alzandosi per venire in mia direzione. Già, era la settima volta in due settimane che arrivavo in ritardo; la notte non dormivo tantissimo, per cui, data la stanchezza e la mia innata pigrizia, la mattina mi era difficile svegliarmi alle 6:30 e fare tutto di fretta.
«Hey, no tranquilla non preoccuparti, semplicemente non si metteva in moto la macchina e mi sono svegliata un po' tardi» risposi, infilandomi il grembiule e accendendo la macchinetta del caffè, allontanandomi poi dal bancone per sistemare i tavolini per i clienti.
«Di nuovo?» chiese lei, osservando ogni minima mossa che compiessi sotto i suoi occhi.
La scusa che usavo era sempre quella, anche se alla fine un filo di verità c'era.Ignorai la domanda, e girai il cartellino sulla porta vetrata all'entrata del bar, esponendo all'esterno la scritta "aperto".
Avevo bisogno di un test di gravidanza, ma non volevo che Aiden lo venisse a sapere. Dovevo per forza farlo in un bagno, e l'unico nel quale, per questioni di igiene, mi fidavo a sedermi era quello di casa mia.
Elizabeth sembrava leggere i miei pensieri perché quando mi voltai a guardarla lei ricambiò immediatamente lo sguardo con un'espressione un po' triste, quasi comprensiva nei miei confronti.
«Cosa c'è che non va?» chiese lei, alzandosi e venendomi incontro, penetrandomi la visione con le sue splendide e luminose iridi verdi.
«N-non..lo so» provai a parlare, a darle una risposta di senso compiuto, ma quel momento fu interrotto da un cliente che entrò a prendere un'ordinazione, così io colsi l'occasione per scansarmi da quella situazione stressante; mi spostai e iniziai a maneggiare con la macchinetta per preparargli il caffè richiesto.
«Ti ho detto che ho avuto una parte?» disse lei, per cambiare argomento ed eliminare l'incredibile atmosfera di disagio che si era creata tra noi due e di conseguenza in tutta la stanza, passandomi una tazzina bianca pulita e un cucchiaio da caffè.
«Per che ruolo?» domandai io fingendomi interessata, ma in realtà concentrandomi più sui miei pensieri che sulle sue parole e quello che stavo facendo.
«Oh, un film d-»
Non fece in tempo a finire la frase che la tazzina del caffè che avevo appena riempito e che tenevo in mano cadde sul bancone e in parte anche addosso al signore davanti a me che l'aveva ordinato, procurandogli un macchia al centro della maglietta bianca che stava indossando.
«Oh mio dio! mi scusi davvero tanto, sono desolata, non era mia intenzione.. posso portarle i vestiti in lavanderia o non so..mi dica lei..se p-» iniziai ad impanicarmi e a parlare a vanvera come ero solita a fare in queste situazioni.
«Lascia stare, non importa..» parecchio e giustamente seccato, anzi, fin troppo gentile ribatté uscendo dal locale, e mi lasciò lì come un'ebete, a rimuginare sull'accaduto.
«Meredith, puoi sostituirci tu un attimo?»
Urlò Lizzie richiamando l'attenzione di una nostra collega che stava seduta su una sedia dietro al bancone a leggere il New York Times, dopodiché mi sorrise comprensivamente,mi prese la mano e mi condusse nel retro, vicino ai bagni del personale, senza più degnarmi di uno sguardo.
«Senti Julia, posso solo immaginare cosa tu stia passando, ma adesso devi davvero dirmi che cosa sta succedendo; prima arrivi in ritardo al lavoro, poi ti sconcentri e fai un casino, è evidente che tu abbia la testa da tutt'altra parte.. cosa c'è che non va?» Era difficile mentire a Elizabeth data la sua fortissima empatia nei confronti delle persone.
«Stasera vieni da me, te ne prego. Farò finta che tu non abbia rifiutato venti volte di venire a casa mia, lo giuro, non farò l'arrabbiata. Avanti, vieni, prometto che saprò come farti divertire» disse cercando di essere il meno seria possibile, ma non ce n'era bisogno; riusciva a farmi ridere anche quando era l'ultima cosa che volessi fare, ma non ero davvero dell'umore adatto per divertirmi, così, scossi la testa, e le sorrisi dolcemente, per cercare di farle comprendere la situazione.
«Avanti Ju non vieni mai..facciamo che vieni oggi, se non ti diverti non verrai mai più, ma proprio mai eh, non te lo chiederò nemmeno più, però se ti diverti potrai venire ogni volta che vorrai» disse cercando di corrompermi, dandomi un bacio sulla guancia.
«Dai..» insisté, scuotendomi le braccia e di conseguenza tutto il corpo, vedendomi ancora titubante sulla mia scelta.
«Va bene...grazie Elizabeth, davvero» sorrisi io, lasciandomi asciugare le lacrime dai suoi pollici, e lasciandomi scaldare il cuore dal suo sorriso.
«Lizzie, puoi chiamarmi Lizzie»
STAI LEGGENDO
𝐨𝐮𝐭 𝐨𝐟 𝐦𝐲 𝐥𝐞𝐚𝐠𝐮𝐞» 𝖾.𝗈𝗅𝗌𝖾𝗇
FanfictionCONCLUSA|| Julia, distrutta dalla rottura con il suo storico ragazzo, non ne vuole più sapere dell'amore, così si rifugia nelle braccia della sua amica Elizabeth. Ma le cose non vanno come previsto, e in qualche modo, Elizabeth riesce a farle cambi...