Capitolo 3: Il ragazzo dai capelli dorati

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Il giorno dopo mi svegliai a causa dei deboli raggi di luce che filtravano dai buchi nelle tapparelle tirate giù. Sbuffai e andai in cucina. Di nuovo, Kasuki non era presente, e aveva lasciato un post-it sul frigo. "Torno stasera alle 22:00. Ordina qualcosa da mangiare al takeaway, se vuoi. Non uscire mentre sono via." Accartocciai il post-it giallo e lo buttai nel cestino. Mi preparai per uscire, arrabbiato a causa di mio fratello e di malumore. Uscii di casa, presi la bici e mi recai a scuola. Come il giorno precedente, c'era una calca incredibile di persone. Non mi andava di vedere qualcuno di conosciuto, a parte il ragazzo con i capelli dorati, ma mi era troppo difficile trovarlo in mezzo a tutte quelle persone, così entrai direttamente in classe, approfittando di un'attimo di distrazione del bidello. Prima di entrare in classe gettai alla rinfusa i miei libri nell'armadietto e lo chiusi sbattendolo ed entrai in classe. Mi accasciai sulla sedia e tirai fuori il mio disegno. Avevo già quasi finito, ma mi mancavano un paio di pennellate per aggiustare i riflessi sui capelli del ragazzo. Non mi accorsi che qualcuno stava entrando in classe e stava appoggiando le sue cose sulla cattedra, proprio di fronte a me. Alzai lo sguardo solo quando un'ombra si calò sul mio lavoro. Un uomo alto e magro, sulla trentina, con i capelli tutti arruffati e i vestiti spiegazzati mi sorrise. "Tu sei Nariaki, giusto?" Da dove gli veniva tutta questa confidenza? Annuii. "Io sono il professore di arte. Puoi chiamarmi Masaki." Per la prima volta dopo tanto tempo, sorrisi. Sicuramente mi sarei trovato bene oggi, a scuola. Finalmente qualcosa in cui ero bravo. Lui si avvicinò ancora di più al mio banco. "Che cosa stai facendo?" mi chiese. Avevo una mezza idea di nascondere il foglio in cartella, ma era ancora bagnato a causa dell'acquarello che stavo stendendo, per cui non mi conveniva. Titubante, glielo mostrai. Il professore, malgrado il suo aspetto trasandato e il modo di fare goffo e impacciato, aveva mani delicatissime e me ne accorsi quando prese in mano il foglio, con estrema delicatezza, senza rovinarlo. Masaki lo osservò attentamente. "è molto bello. Mi piace che tu sia riuscito a rendere la paura e l'incertezza nei suoi occhi. Non so chi tu abbia ritratto, ma lo trovo fatto bene." Detto questo, me lo restituì, sorridendomi calorosamente. In quel preciso istante, quando stavo per ringraziarlo, la campanella suonò e i ragazzi, circa 15 secondi dopo, si riversarono confusamente in aula. Il professore tornò al suo posto ed io mi afrettai a nascondere il mio disegno. Le due ore di arte che seguirono furono le più belle della mia vita, fino a quel momento, ovviamente. Il professore ci chiese di disegnare qualsiasi cosa a piacere, per vedere come ce la cavavamo e i nostri stili. Io decisi che gli avrei fatto un ritratto, anche se di solito ne facevo pochi. La fedele riproduzione della realtà è noiosa da riprodurre su di un foglio, basta fare una fotografia, no? Tratteggiai i suoi lineamenti facendo scorrere velocissima la matita sul foglio. Tratteggiai i suoi capelli arruffati e il sorriso caldo appena accennato sulle labbra. Gli disegnai una camicia, tutta spiegazzata, con il colletto piegato, sopra un vecchio maglione beige a quadri. Praticamente davo sfogo alla mia immaginazione, disegnandolo come mi immaginavo che fosse nella vita di tutti i giorni, non solo a scuola. Nel palmo della mano, aperta, teneva in equilibrio un pennellino di vetro, da cui emanavano forti bagliori, che si riflettevano nei suoi occhi verde chiaro. Una volta concluso il bozzetto a matita, tirai fuori le matite colorate e cercai di sfumare un po' i contorni, in modo da confonderlo un po' con lo sfondo, che presentava un mix delicato di tutti i colori usati nell'illustrazione. Il tempo parve volare senza che me ne accorgessi, e, un attimo dopo che avevo tracciato l'ultima riga con la matita e stavo osservando il risultato soddisfatto, la campanella suonò. Il professore raccolse i nostri lavori, qualche ragazzo vide il mio e si mise a bisbigliare. Il professore mi sorrise e prese il foglio. Dapprima sembrò sorpreso di vedere una specie di caricatura di se stesso, poi mi sorrise e mi ringraziò per il ritratto. "Chiederò al Preside se posso tenerlo." disse scherzando, io mi sciolsi un po' e gli sorrisi di rimando. Tutti i ragazzi uscirono e si diressero agli armadietti. Il professore iniziò a disporre in modo ordinato e preciso le cose nella sua borsa. Non mi aspettavo che un tipo "sgualcito" come lui fosse tanto precisino. Lo guardai attentamente mentre riponeva le sue cose nella borsa a tracolla. Aveva delle profonde occhiaie e sembrava molto stanco. Mi sorrise quando si accorse che lo stavo guardando. Il suo sorriso, però, non era spontaneo come quello di prima, bensì tirato e stanco. Camminò fino davanti alla porta, poi, di spalle, si fermò. Si volto solo con la testa e parte del volto, questa volta la sua espressione era seria e stanca. "Cerca la foto. Quando la troverai, vieni da me. Cercherò di aiutarti." Aprì la porta e sgusciò fuori dalla classe. Rimasi un po' intontito, a riflettere sulle sue parole. La foto... di cosa? Pensai a quella di me e Aika, che fu la prima cosa che mi venne in mente con la parola foto. No, sicuramente non si trattava di quella foto. C'entrava con me... forse con la mia infanzia... mentre riflettevo, qualcuno mi urtò, e caddi a peso morto per terra. "Scusami, non ti avevo visto." disse. Sembrava sincero, per una volta. "Cambiati le scarpe e vieni in palestra. Muoviti." Se ne tornò via correndo e lasciandomi lì, per terra. Non avevo portato un cambio di scarpe, per cui cercai di pulire alla meglio con delle salviette inumidite le mie scarpe sgualcite, che appartenevano a mio fratello, tra l'altro. Le tenevo da qualche anno, nonostante mi fossero diventate strette. Non volevo far spendere a Kasuki altri soldi. Arrivai correndo in palestra, che era in fondo ad un corridoio del piano terra. Mi fermai per riprendere fiato sulla soglia, piegato in due e reggendomi la milza dolorante. Cinque piani di scale a piedi correndo per me non sono uno scherzo. Un uomo muscoloso, calvo, con un fischietto attorno al collo, stava radunando tutti i ragazzi in file. Se le ore di arte furono le più belle della mia vita, quelle di ginnastica furono le peggiori. In palestra faceva freddissimo, il professore urlava per sovrastare il casino di ragazzi che chiacchieravano, attendendo qualcosa. Il professore mi notò, sulla soglia, e mi urlò di muovermi. Mi guardò dall'alto in basso, probabilmente perché aveva già capito dalla mia forma fisica che non ero granchè sportivo, infatti, paragonato agli altri compagni, sembravo un fragile ramoscello. "Allora ragazzi, come molti di voi già sanno, quest'anno ci sranno gli handicappati dell'altro istituto con noi nelle ore di ginnastica. Cercate di non distruggerli più di quanto siano già." Feci una smorfia e tirai un'occhiataccia al professore, che, fortunatamente per me, non mi vide. Entrarono, in quel momento, i ragazzi dell'altro istituto: c'era qualcuno in carrozina, qualcuno camminava un po' storto, ma sembravano tutti simpatici e sorridevano. Fra loro riconobbi il ragazzo con i capelli biondi: si guardava attorno incuriosito, e sprizzava gioia un po' da tutti i pori. Il professore ci radunò e assegnò a due ragazzi il ruolo di capitani e il compito di formare le squadre. Il primo ad essere scelto, conteso fra i due capitani, fu Aika, poi seguirono tutti gli altri. Io rimasi per ultimo, dato che nessuno mi voleva in squadra. Sentii Aika sussurrare al capitano della sua squadra: "Dobbiamo già prenderci gli handicappati, pure lui no." Alla fine uno dei due fu costretto a scegliermi, e mi ritrovai nella squadra avversaria a quella di Aika. Il professore diede il fischio d'inizio, e la palla volava da una parte all'altra, colpita con forza. Io non ci capivo nulla, e, quando, per puro caso, capitava che fossi l'unico vicino alla palla, me la lasciavo cadere con tanta facilità che sentii i gemiti dei miei compagni di squadra, che si lamentavano di quanto fossi scarso. Per fortuna il ragazzo dai capelli d'oro era molto bravo a giocare, e ci portò ad un pareggio contro la squadra di Aika. Lui, probabilmente, aveva capito quanto fossi scarso, e , battendo, spedì la palla proprio contro di me. Io, preso dal timore, allungai le barccia e chiusi gli occhi, ed essa mi colpì in piena faccia. Caddi per terra a causa dell'urto, tra i gemiti disperati dei miei compagni e le risate dei miei avversari. Il professore fischiò, e mi urlò di andare a sciaquarmi la faccia e non farmi vedere in giro per almeno venti minuti. Correndo, preso dall'imbarazzo, raggiunsi la mia classe. Mi tamponai un po' il naso con un fazzoletto inumidito con l'acqua della fontanella, all'angolo del corridoio. Mi sedetti sulla mia sedia e presi in mano il mio disegno. Avrei dovuto darlo subito al ragazzo biondo, visto che era lì. Non sapevo quando l'avrei rivisto di nuovo. Mentre scrutavo il mio disegno per vedere se c'erano delle imperfezioni, sentii la porta aprirsi di scatto e una voce esclamare: "Mi ha mandato il prof, vuole sapere se sei ancora vivo." Era Aika. Mi affrettai a nascondere il mio disegno dietro la schiena, ma evidentemente fui troppo lento, perché il ragazzo mi notò. Si avvicinò e mi immobilizzò le braccia, dopodichè mi sfilò il disegno dalle mani. "Che cosa abbiamo qui?" Chiese, osservandolo. Fece una smorfia. "Davvero, hai disegnato quello sfigato handicappato di Hirotaka?" chiese sorridendo. "Senti Aika, non ho tempo per questi giochetti. Ridammi il disegno e basta." dissi fermamente. Aika mi aveva stufato con i suoi giochetti da bambino. "Senti, gay del cazzo, stai un po' zitto." sembrava arrabbiato. "è solo un disegno! Perchè non me lo puoi ridare e basta?" chiesi, con un tono di voce piuttosto alto, in preda all'esasperazione. "Tu mi hai fatto stare malissimo. Adesso, io voglio ricambiarti con la stessa moneta. Così impari a presentarti nella mia scuola." disse. Il suo tono sembrava essersi indurito, ma aveva uno strano sorrisetto sulle labbra. Prese il disegno con due mani, come aveva fatto con la fotografia. Sul mio volto si dipinse un'espressione terrorizzata, sgranai gli occhi. "Ti prego, Aika..." sussurrai. Sapevo che non sarebbe servito a nulla. Guardai il mio disegno nella sua interezza, per l'ultima volta. Aika iniziò a strapparlo, facendone tanti piccoli pezzi, che poi lasciò cadere lentamente a terra. Uscì dalla classe, mentre io cadevo pesantemente sulle ginocchia. Cercai di riunire i pezzi in un'unico mucchietto, mentre sentivo gli occhi prudere e la gola bruciare. Una lacrima calda mi scivolò giù per la guancia. Non sapevo neanche perché fossi così triste per uno stupido disegno, ma tutte le ore che ci avevo passato sopra... In quel momento, la porta si aprì. Entrò qualcuno, con un passo leggero e cadenzato. Si sedette per terra vicino a me. Alzai lo sguardo per osservarlo: era Hirotaka. Mi guardava con i suoi occhi azzurri, caldi e confortanti. Mi fece dei gesti strani. "Scusa, non ho capito." dissi, con la voce un po' rotta dai singhiozzi. Lui indicò le sue orecchie, poi fece segno di no con il dito. "Sei sordo?" chiesi d'istinto, analizzando i suoi gesti. Come risposta, mi sorrise. Aveva un sorriso così carino, dolce e caldo... Che domanda stupida. Se è sordo, ovviamente non mi sente. Prese un foglio di carta, strappandolo dal mio quaderno. Gli porsi una matita. Lui, con un gesto, mi disse che non serviva, e ne prese una sua dalla tasca dei pantaloni. "Sono sordo." scrisse, con una splendida calligrafia. "Che succede?" continuò a scrivere lui. Mi porse la matita. "Un ragazzo della mia classe mi ha strappato un disegno" lui lesse velocemente la risposta. "L'avevi fatto tu e ci tenevi molto?" domandò, scrivendo velocemente sul foglio. Annuii in risposta. "Ricomponiamolo, allora!" mi sorrise. Corrugai la fronte. Lui girò i pochi pezzi che erano al contrario, poi si mise a ricomporre il disegno avvicinando i pezzettini di carta ad una velocità stratosferica, come se sapesse già il posto di ognuno. In meno di dieci minuti, il disegno era lì, davanti ai miei occhi, quasi com'era prima. Hirotaka, quando ebbe finito, guardò il disegno nella sua interezza. Prese il foglio di carta che avevamo usato per comunicare prima. "Bello" scrisse. "Sono io?" Mi passò la matita, ma, prima che potessi rispondere, il professore di ginnastica entrò sbattendo la porta. Calpestò il mio disegno senza ritegno, sparpagliando un po' di pezzi in giro, e mi prese per la manica della giacca. "Muoviti" ringhiò, e mi trascinò fino in palestra. Una volta lì, si allontanò, ma sempre tenendomi d'occhio. Vidi Hirotaka rientrare in palestra, ma non mi si avvicinò. Io mi sedetti per terra e aspettai che la campanella suonasse.

Il resto delle lezioni passò in fretta, i miei pensieri erano occupati solo da Hirotaka. Aika continuava a darmi del gay, e anche alcuni suoi amici iniziarono a chiamarmi così, ma ero troppo preso dai miei pensieri per accorgermene o per prestare attenzione a quei ragazzi. Durante la pausa pranzo fui costretto a rimanere dentro, per pulire l'aula, come punizione per aver saltato una buona mezz'ora di lezione di ginnastica. Non che mi dispiacesse pulire, ma avevo perso l'occasione per vedere Hirotaka. Rassegnato, alle 15:00 in punto uscii da scuola, presi la mia bicicletta e me ne tornai nella mia fredda e vuota casa. Kasuki non c'era. Passai un po' di tempo davanti allo schermo del cellulare a guardare dei video e ascoltare un po' di musica, ma poi la batteria si scaricò. (Ho un cellulare davvero di pessima qualità) Erano quasi le otto, così decisi di uscire e prendermi del sushi, invece di farmelo portare a casa. Avevo bisogno di un po' d'aria fresca per schiarirmi le idee, e non mi importò che Kasuki mi avesse vietato di uscire. Chiusi la porta e presi la bici, nell'aria fresca della sera. Il sole non era ancora tramontato.

My Space

Ed ecco qua, dopo ben una decina di giorni che non aggiorno, il nuovo capitolo. Ho notato solo adesso che Kasuki ha il nome di Bakugou senza una "t", giuro che non l'ho fatto apposta! Vabbè, direi che è tutto, alla prossima!

P.S. Non so chi sia il tipo in copertina, ma adorooo

Grazie a teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora