Capitolo 4: Riappacificazione

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Attenzione: questo capitolo contiene scene di violenza. Lo sconsiglio a chi è sensibile.

Nell'aria fredda della sera mi sentivo più libero. Pedalai velocemente, lasciando volare al vento pensieri e preoccupazioni. Mi sa che dovrei stare più attento quando giro per strada, infatti è miracolo se non mi hanno ancora investito, o, come in questo caso, che io non abbia investito qualcuno. All'incrocio non mi accorsi che il semaforo era rosso e nemmeno di una figura sulle strisce pedonali. Frenai appena in tempo, e il ragazzo cadde sull'asfalto umido. Scesi in fretta dalla bicicletta, lasciandola cadere per terra, e corsi ad aiutare il ragazzo a tirarsi su, riversandolo di scuse e inchini. Quando si tirò su, sorridendomi, mi accorsi che era Hirotaka. Presi il mio telefono, quasi scarico, e aprii una pagina word. "Scusami, non guardavo dove stavo andando, mi dispiace così tanto!! Stai bene?" Lui fece un cenno d'assenso con la testa, senza smettere di sorridere. "Per farmi perdonare, ti va di prendere del sushi al takeaway? Offro io." Lui tirò fuori il suo telefono, scrisse un messaggio a qualcuno, poi mi mostrò lo schermo: il contatto, sua madre, aveva scritto che andava bene, purché fosse a casa per le 22:00. Lo feci salire sul portapacchi e partimmo. Lui si teneva stretto alla mia vita, probabilmente per paura di cadere, visto che stavamo andando piuttosto veloci. Sentii una strana sensazione allo stomaco, ma non ci feci caso. Ora che avevo qualcuno dietro, dovevo guidare con responsabilità. Non volevo che Hirotaka avesse un incidente per colpa mia. Una quindicina di minuti dopo eravamo arrivati al mio takeaway preferito. Aiutai Hirotaka a scendere, entrai, presi un menù e uscii velocemente. Glielo porsi. Dopo un'attenta lettura, mi indicò i ciò che voleva e io entrai ad ordinare. Poco dopo uscii con delle borse di carta, che emanavano un buonissimo profumino, soprattutto per me, che ero a stomaco vuoto da stamattina (la pausa pranzo l'avevo passata a pulire). Hirotaka mi tirò per la manica per attirare la mia attenzione e mi indicò la collina che sovrasta la città, da cui si ha una magnifica vista. Lo aiutai a salire sulla bici e partimmo, velocemente, alla volta della collina. Pedalai per le strade umide e un po' deserte, vicino ad insegne dai colori vivaci e negozi chiusi. Dico un po' perché c'erano ancora delle automobili o alcune persone che camminavano nel fresco della sera, con in mano pacchetti di cibo caldo o alcune borse piene di vestiti. La scuola era cominciata da poco ed eravamo ad aprile, quindi si stava discretamente bene la sera, non faceva ancora troppo caldo. Arrivammo alla base della collina e lì mi fermai. Procedemmo a piedi fino in cima, Hirotaka che mi precedeva correndo e io che arrancavo con le borse di cibo in mano. Una volta arrivato, mi buttai sull'erba, e Hirotaka mi rubò il cibo dalle mani. "Ehi!" esclamai. Lui tirò fuori i suoi nigiri e i miei uramaki, e si sedette sotto ad un ciliegio, che era in fiore, e che faceva cadere i suoi petali sui biondissimi capelli di Hirotaka. Mi sedetti accanto a lui, a gambe incrociate, e condividemmo la cena. "Scusa se non ho potuto comprare molto" digitai sul mio cellulare. "Questioni di budget." Arrossii. Mi imbarazzava parlare dei miei problemi finanziari davanti a Hirotaka. Lui annuì, e mi sorrise. Mi sentii un po' confortato. Mentre mangiavo, mi accorsi che Hirotaka mi stava guardando. Alzò una mano verso il mio volto. Io, istintivamente, mi ritrassi. Notando il mio comportamento, Hirotaka si fermò, la sua mano a pochi centimetri dal mio naso, e mi sorrise. Con la seconda mano si toccò una guancia e mi sorrise di nuovo. Mi risedetti diritto e lo lasciai fare. Lui mi scostò un ciuffo di capelli dagli occhi e mi sorrise. La sua mano era calda e il suo tocco era delicato, al contrario dei miei goffi movimenti e delle mie mani gelide. Gli sorrisi di rimando. Dopo aver finito di mangiare guardammo il tramonto. Da sotto il ciliegio, l'atmosfera era magica: i petali rosa e bianchi che ci cadevano addosso si scontravano con la luce rossa che faceva brillare i capelli di Hirotaka e luccicare i suoi occhi. Era bellissimo, sarei rimasto lì per sempre. Hirotaka si appoggiò su di me. Sentii che il suo naso, a contatto con l'incavo del mio collo, era freddo, così mi tolsi la giacca e gliela appoggiai sulle spalle. Appoggiai la mia mano sulla sua testa e gli accarezzai un po' i capelli. Mia madre faceva sempre così quando, durante i lunghi viaggi in macchina, mi stancavo e mi appoggiavo su di lei. Rimanemmo così per molto tempo, ad un certo punto Hirotaka chiuse gli occhi e credetti che si fosse addormentato. Lo guardavo alla luce della luna, i suoi capelli brillavano e la luce si rifletteva un po' sul suo viso candido. Ad un certo punto mi assopii un po' anche io. Il rintocco di un campanile mi riportò alla realtà. Erano le 21:30. Di questo passo non sarei mai arrivato a casa in tempo, e Kasuki mi avrebbe ucciso. Svegliai dolcemente Hirotaka e scendemmo dalla collina. Lui non sapeva perché io avessi tutta questa fretta, ed io non glielo comunicai. Lo aiutai a salire in bicicletta, dopo avergli chiesto la via di casa sua, visto che sarebbe stato da maleducati lasciarlo andare a casa da solo. Poi, non volevo che gli accadesse nulla. Lui si tenne stretto alla mia vita, visto che stavo andando ancora più veloce per fare in tempo. Dopo poco tempo raggiunsi una casa molto grande, con un bel giardino. Due adulti erano seduti accanto ad una lampada, uno leggeva un libro e l'altro sfogliava il giornale, fumando una sigaretta. Nonostante fosse buio, erano seduti accanto ad una lampada, attorno alla quale c'era qualche falena e insettini vari. La donna si alzò quando sentii il rumore della mia bici sul vialetto di ghiaia davanti al cancello. Ci raggiunse e lo aprì, il figlio corse ad abbracciarla. Hirotaka fece vari gesti, lei gli rispose. Mi sentii un po' a disagio, visto che non potevo prendere parte alla conversazione, così rimasi a guardarmi la punta delle scarpe, d'altro canto, non potevo capire nulla di ciò che si dicevano. La donna si avvicinò a me, mentre il figlio correva ad abbracciare il padre. "Grazie per aver accompagnato a casa mio figlio, Nariaki." disse. Non mi ricordavo di aver detto il mio nome a Hirotaka, ma forse, pensai facendo mente locale, quando aveva strappato il foglio dal mio quaderno la prima volta che ci siamo visti aveva letto il mio nome sulla copertina, o forse l'aveva letto sulla firma in basso a destra del mio disegno. Io le sorrisi. "Di nulla." Volevo tagliare corto, ero già in ritardo. Il campanile rintoccò le dieci. Sgranai gli occhi. "Sono in ritardo, mi scusi!" esclamai, già in sella alla mia bicicletta. Partii a tutta velocità, lasciando una polverina grigia sulla ghiaia dietro di me. Per fare prima, presi una scorciatoia in mezzo ai campi. La mia dannata bicicletta non aveva le luci, per cui non vedevo quasi nulla della stradina si cui stavo passando. Andavo velocissimo, in condizioni normali sarei stato più prudente, ma queste non erano condizioni normali. Purtroppo, forse sarei dovuto passare per la strada normale. A causa della scarsità di luce non vidi una radice davanti a me, la bici si capovolse e io caddi. Feci un volo in avanti di parecchi metri, cadendo sul terreno umidiccio. Ero tutto sporco di terra, pieno di sbucciature e dolorante, nonostante ciò ripresi la mia pazza corsa verso casa. Arrivai a casa e mi fiondai all'interno, sperando che Kasuki fosse in ritardo. Purtroppo lui è un'orologio svizzero. Me lo trovai di fronte appena aperta la porta, con le braccia incrociate e uno sguardo furente. Era.. diverso dalle altre volte che si era arrabbiato con me. I suoi occhi erano... diventati talmente simili a quelli di... ero terrorizzato. Feci un passo indietro. "Dov'eri." chiese lui, più che chiedere affermò, con un tono di voce duro e freddo, praticamente uguale a quello che Lui usava con me quando si arrabbiava. Feci un altro passo indietro, ancora più spaventato. "C-con un mio a-amico." Ero talmente terrorizzato che stavo balbettando. Deglutii. "Che hai fatto in faccia." disse lui, usando lo stesso tono. Effettivamente doveva sembrare strano, ero tutto sporco di terra e pieno di graffi. "S-sono ca-caduto... tornando a casa." Acquistai un po' di sicurezza. Dopotutto, stavo dicendo la verità. Lui non disse nulla. All'improvviso mi tirò un pugno sull'occhio. Caddi a terra. "Non mentirmi!" Questa volta stava urlando. Non avevo mai visto Kasuki così fuori di sé. Cercai di andare indietro, ma sbattei contro la porta. Lui mi guardò negli occhi. Respiravo affannosamente, guardando mio fratello terrorizzato. Non dissi nulla. Avevo troppa paura, le parole mi si fermavano in gola e tremavo come una foglia. Kasuki mi colpì di nuovo. Poi una terza volta. Sputai un po' di sangue sul pavimento. Kasuki, malgrado io fossi molto più alto della media, era ancora più alto di me, e la sua figura troneggiava su di me. Si preparò a colpirmi di nuovo. Quando il suo pugno si avvicinò pericolosamente al mio naso io, istintivamente, lo bloccai con la mia mano destra. Tenendo salda la presa, chiusi gli occhi, terrorizzato. Sentii Kasuki ritrarre il braccio. Sembrava essersi ripreso da uno strato di trance. Io, ancora più terrorizzato di quello che mi avrebbe potuto fare, approfittai di questo momento di distrazione per fuggire in camera mia. Chiusi la porta a chiave, le mani che mi tremavano, e iniziai a metterci davanti quante più cose potevo. Sentii Kasuki cercare di aprire la porta, poi sbattere i pugni su di essa urlando furente il mio nome. Io, ancora più terrorizzato, mi sedetti, portando le ginocchia al petto, la schiena poggiata contro quella catasta di oggetti poggiati contro la porta. Delle lacrime mi scivolarono sulle guance, il respiro affannato scosso da singhiozzi di terrore. Rimasi così, in quella posizione, per ore, singhiozzando e tremando. Kasuki, da un po' sembrava essersi calmato. L'avevo sentito singhiozzare contro la porta. Non riuscivo a togliermi, però, il ricordo dei suoi occhi furenti, e le parti del corpo dove mi aveva colpito mi dolevano. Avevo troppa paura di uscire dalla stanza, terrorizzato che mio fratello potesse essere lì, a braccia conserte, davanti alla porta della mia stanza, esattamente com'era quando avevo aperto la porta di ingresso. Il mio respiro, con il passare del tempo, diventò sempre più regolare, finché non smisi di singhiozzare. Caddi in una specie di sonno agitato verso le due, ma, appena mi assopivo, riaprivo subito gli occhi, terrorizzato dall'immagine di mio fratello. Rimasi tutta la notte seduto, le ginocchia strette al petto, ogni parte del corpo mi doleva, ma non osavo cambiare posizione, nel buio profondo della mia camera.

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