Capitolo 10- J.

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Tastavo il mio pranzo riluttante. Sedevo insieme alla mia nuova compagnia di amici che discutevano animatamente. Carpendo alcune parole della loro discussione potevo sentire che stavano cercando a turno di indovinare il nome del prescelto. Si basavano su voci e pettegolezzi che circolavano in tutto il campo. Solo quando sentii “Jake” provenire dalla voce di Tom, la mia attenzione fu catturata. Lo dichiarò come una legge, una verità inconfutabile. Sapevo che Tom non avrebbe mai azzardato su un argomento così delicato per me. Tutti i miei amici fremevano nel porgli le loro domande. Solo quando si sedette vicino a Bravery iniziò a spiegare:

-”Il suo dormitorio è poco distante dal mio, hanno cercato la stanza più isolata dalle altre ma sentiamo le urla nonostante ciò. Perlopiù è X,che cerca di convincerlo a raccontargli cosa è successo in California ma lui non ha intenzione di parlarne. Ho scoperto il suo nome un pomeriggio. Ero tornato nella mia stanza durante un allenamento per questo non c'era nessuno nel dormitorio maschile, solo io e Jake eravamo lì naturalmente. Mi accorsi che nella sua stanza era presente anche X che esasperato cercava di carpirgli qualche informazione e mentre gli urlava contro si è lasciato scappare il suo nome e in più durante quel litigio il prescelto ha parlato per la prima volta da quando è arrivato e ha mandato a fanculo X. È cazzuto Sophia, un po' come te.”

-”No di certo. Non sono “cazzuta” quanto lui se è di questo che si sta parlando, è ancora vivo dopo tutto quello che ha passato... io non lo sarei. Quindi parla poco?”


-”Si infatti si sa poco su di lui.”

-”Sarà arrabbiato.”

Abbassai lo sguardo, fissando la mia pasta avanzata ormai fredda. Solo quando sentii le porte della mensa aprirsi e un silenzio assoluto rivolsi il mio sguardo alla porta e lo vidi. Era immobile e guardava ognuno di noi con disprezzo; era accompagnato da X,da due infermiere e due guardie. Ogni muscolo era teso, aveva uno sguardo stanco ma che si manteneva minaccioso. Era magro, evidentemente per il digiuno ma conservava una forma fisica perfetta e salda. Era stanco lo vedevo e mi sentivo così in pena per lui. Avrei voluto proteggerlo persino dai più piccoli sospiri di vento che lo avrebbero potuto infreddolire. Sapevo che non avrebbe voluto essere aiutato da nessuno; non lo conoscevo ma sapevo di poterlo capire. Tutti si alzarono in segno di rispetto e si misero la mano sul cuore. Si fidavano di lui, si fidavano di noi e io avrei cercato di aiutarli e confidavo che lo avrebbe fatto anche lui per questo mi alzai come gli altri. Ci continuò a fissare,quasi schifato; a prova di ciò sollevò le mani e ci mostrò il dito medio e girò per la mensa in questo modo; si servì da solo senza l'aiuto delle cameriere che lo guardavano incredule e infine si sedette ad un tavolo vuoto mostrandoci nuovamente il dito. Eravamo tutti esterrefatti ed eravamo impietriti davanti a lui che mangiava con noncuranza. Ci risedemmo pian piano ancora increduli davanti a quello che era successo. Io non smisi di fissarlo da quel momento fino a quando se ne andò. Non mi vergognai di fissarlo con una certa sorpresa in volto,anzi speravo quasi che mi vedesse e mostrasse una qualunque reazione che mi potesse far comprendere cosa provasse. Quando mi vide,finalmente, quello che fece fu posare la forchetta e fissarmi a sua volta. Mi guardava con aria critica e con una punta di disprezzo. Sostenevo il suo sguardo a fatica; mi faceva male vedere l'odio nei suoi occhi e la speranza lasciare il suo corpo. Poi si alzò, lo seguì con lo sguardo, si diresse verso la porta e se ne andò sbattendola. La porta tremava ancora dopo quel gesto così forte e io fremevo con lei dopo aver visto Jake,il secondo prescelto.

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