Mi sono sempre chiesta quale fosse lo scopo della vita, se tutto quello che avessi fatto avrebbe portato almeno un po' di soddisfazione della mia insignificante vita di fronte a tutte le altre.
Sono da sempre stata nominata la ragazza strana, la ragazza che veniva ignorata da tutti e da tutto, perché era "diversa", la ragazza che nonostante questi pregiudizi queste loro teorie su di me, ha chiuso le orecchie e ha fatto finta che nonostante esse fossero chiuse dalla mie fragili mani si sentisse tutto, di non sentire assolutamente nulla.
Il caos, dentro di me si divagava ogni volta che sorrideva ai miei genitori mentre raccontavo storie di come era andata la mia "ottima giornata" a scuola con i miei compagni di classe, come mi fossi subito integrata, come mi fossi fatta già un sacco di amici.
Ritornavo nella mia piccola stanza, dopo aver raccontato quelle di così tante storie finte che non ricordavo più cosa fosse vero e cosa no, e cercavo di chiudere i miei occhi per allontanarmi dalla realtà, da tutto ciò che faceva male, da tutto ciò che portava solo male.
Anche se, con la mia ingenuità pensavo che il tormento finisse nei sogni.
Povera piccola ingenua.
Ogni mattina appena la sveglia suonava cercavo di ricordarmi il motivo per cui aprivo gli occhi e continuavo a vivere.
E onestamente non ne trovavo nessuno che non fosse ricollegato unicamente ai miei genitori, la mia unica felicità.
Mi guardavo allo specchio, e non riuscivo a vedere oltre che dei capelli indomabili, una faccia tormentata, scavata da occhiaie pesanti dal poco sonno, al tremolio del labbro inferiore, gonfio a causa del continuo morsicare dall'ansia.
Vedevo solamente un piccolo e fragile corpo che continuava a vagare per questa terra senza anima, senza nessun scopo nella vita.
Ogni volta che varcavo la porta di quella dannatissima classe, il battito del mio cuore accelerava come se esso avesse delle ali e anelasse ad andar via.
Cercando di regolare il respiro, mi fermavo su un punto fisso, pensando a cosa avrei fatto fuori di qui, fuori da questo dannato Inferno.
Uno.
Due
Tre.
I respiri piano piano si calmavano e portavano solo calma dentro di me.
Fino a quando altre persone irrompevano in questa pace e portavano solo delirio.
È lì tutto ricominciava.
Come un deja-vu.
Odiavo me stessa per questo.
Il non riuscire ad aver sotto controllo i miei sentimenti.E nuovamente mi ritrovavo davanti ai miei genitori, stesi sul divano mentre guardavano la televisione, che mi chiedevano come fosse andata la scuola.
E tutto continuò così per mesi, per poi diventare anni, senza mai sosta.
Anzi si, c'era una certa di fermata, le vacanze estive, dove nessuno a parte me stessa poteva interrompere la mia pace interiore.
Quei pochi mesi mi fecero capire solamente quanto fossi stupida e insicura di me stessa, di quanto mi facessi male da sola, perché non erano gli altri a farmi del male, no, ero io che lasciavo che gli altri mi facessero male.
Questo era il mio unico pensiero, quando mangiavo, quando ero sotto alla doccia, quando mi riposavo, quando decidemmo di andare in vacanza, quando immersi la testa sotto l'acqua cercando di smettere di respirare, quando capii che avessi cercato di togliermi la vita.
Strano.
La morte non mi faceva paura.
Non mi faceva paura perché non avevo nulla da perdere.
Avevo in gioco solo la mia vita.
La mia miserabile vita, la vita stessa che mi ha portato angoscia per anni.
Ai bambini già da piccoli gli viene insegnato la differenza tra il male e il bene.
E non parlo dei cattivi e dei buoni nei film, dove i buoni vincono sempre.
Perché sono tutte cavolate invente da adulti per far sperare a noi, a noi "bambini" che nonostante tutto il bene trionfa su tutto.
Ma con ciò dimostrano ancora una volta che le apparenze ingannano.
La vita inganna.
La vita è ingiusta, anche se le persone sono realmente buone, la vita li punisce.
Non c'è un motivo preciso, compie questa azione partendo dal fatto che da sempre l'ha compiuta.
Ed è esattamente questo che non capirò mai.
Le coperte coprivano il mio corpo, pieno di piccoli tagli, causati da vari "incidenti" casuali.
Il gatto, Grattastinchi, non era un animale molto calmo e di solito quando cercavo di accarezzarlo mi graffiava.
A causa di ciò avevo tagli nei polsi.
Tutto fattibile.
E anche per questo tutti ci credevano.
Anche se nessuno aveva mai sospettato anche solo per un secondo che quelle piccole e fragili mani potessero prendere un piccolo temperino e incidere dei piccoli graffi, che col tempo diventarono sempre più grandi.
Col tempo, non che anni, realizzai che tagliarmi era ormai diventata una droga e avrei dovuto smettere.
Così presi tutto ciò con cui mi sarei potuta tagliare e le buttai via.
E presi un libro dalla libreria di mia madre.
Finito quel libro ne leggevo un altro, e così via.
Per passare il tempo.
Per togliermi il pensiero di dovermi fare male per mettere fine alle mie angosce.
Facendo ciò, diventai in seguito dipendente dai libri, questo sembrava solo bello, anche ai miei andava più che bene, così tanto che ogni volta che finivo un libro me ne compravano un altro.
Ma.
C'è sempre un ma.
Questo portò ad essere nominata in un'altra maniera.
Secchiona.
Iniziarono a minacciarmi, sul fatto che se non avessi svolto i loro compiti mi avrebbero fatto passare un inferno.
E così ho fatto allora.
Dopo aver finto di fare l'ultimo compito dell'ultima persona, mi sdraiai nel letto e chiusi gli occhi per riposarmi e cercare nuovamente di distaccarmi da questa realtà.
Quando improvvisamente un picchiettio alla finestra mi risuonò nell'orecchio.HOLAAAAAA
scusate l'assenza ma ero in vacanza perciò non ho potuto pubblicare.
New story!
Ho già dieci capitoli ancora perché in vacanza ho scritto.
perciò ci vediamo al prossimo capitolo😩🤚🏻