Chapter 13.

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Camminavo con il cellulare tra le mani aperto su Google Maps.

Il mio cuore batteva così forte che avevo paura che la gente intorno a me potesse sentirlo.

Avevo paura di incontrare Ash.

Per la prima volta ero io ad avere paura di lui, e quella sensazione faceva veramente schifo.

Girai a destra e andai a sbattere contro il para urti di un'auto parcheggiata, imprecai massaggiandomi il ginocchio e continuai il mio tragitto.

-Girare di nuovo a destra tra...- il mio cellulare si spense per la batteria scarica facendomi imprecare in lingue persino a me sconosciute.

Per il resto del tragitto mi orientai chiedendo indicazioni ai passanti e sperando di arrivare entro l'anno successivo.

E poi ero lì, davanti a quella porta con sopra una targetta dorata marchiata con il suo cognome.

Mi guardai intorno come per cercare una via d'uscita, più o meno come faceva lui quando mi mettevo davanti a lui a scuola prima di prenderlo a pugni, cercavo una via d'uscita perchè ero un verme schifoso e sapevo che non sarei riuscito a reggere il suo sguardo, o semplicemente la sua presenza.

Con non so quale coraggio bussai sul legno con mano insicura, rimasi fermo in quella posizione fino a quando non sentì una chiave girare nella serratura.

Sentì tutti i muscoli del mio corpo irrigidirsi, e persi un battito quando una testa riccia fece capolino da dietro la porta.

I suoi occhi arrossati dal pianto si sbarrarono quando incontrarono i miei colpevoli, mi scrutò qualche secondo mordendosi il labbro per poi sbattere rumorosamente la porta.

Mi sedetti con la schiena attaccata alla superficie di legno e posso giurare che lui fece la stessa cosa, il mio petto si alzava e si abbassava più velocemente del solito mentre sentivo i suoi singhiozzi riempire il silenzio tra di noi.

-Scusa- bisbigliai insicuro che lui l'avesse sentito.

Ma per cosa mi ero scusato nemmeno io lo sapevo, per i tre anni d'inferno che gli avevo fatto passare o per avergli mentito?

In entrambi casi uno 'scusa' detto senza nemmeno guardarlo in faccia non sarebbe bastato.

-V-vattene- singhiozzò dando un pugno alla porta che ci divideva.

-Hey, guarda che non è un problema se stai piangendo, ti ho già sentito ricordi?- sorrisi al pensiero della nostra prima telefonata.

-Non è p-per quello- tirò su con il naso e lo sentii alzarsi e aprire la porta.

Io mi alzai velocemente e subito agganciai i suoi occhi ai miei, non riuscivo a reggere il suo sguardo, per la prima volta quello sottomesso ero io.

-Vattene perchè ti odio e se avessi saputo che eri tu non avrei nemmeno aperto la porta, vattene a fanculo Hood e non parlarmi mai più- mi diede qualche spinta per allontanarmi da lui e poi si chiuse la porta alle spalle.

Mi sedetti sul muretto davanti a casa sua con la testa tra le mani e sentii i miei occhi iniziare a pizzicare e diventare umidi.

unpredictable 》cashtonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora