Le imprecisioni linguistiche

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I fenomeni linguistici della vaghezza, dell'ambiguità, della genericità, della polivocità e dell'omonimia possono fra di loro intrecciarsi, possono addirittura sovrapporsi; nel linguaggio ordinario possono essere usati come sinonimo; ma in ambito accademico presentano differenze importanti.

La vaghezza

Il problema della vaghezza emerge quando si tenta di mettere in relazione il linguaggio e il mondo, presupponendo che ogni elemento del linguaggio corrisponda perfettamente ad un elemento del mondo, o ad un preciso significato inequivocabilmente circoscritto.

Se il predicato è un'espressione che, applicata ad un soggetto, produce un enunciato, e se l'estensione di un predicato è l'insieme degli oggetti a cui il predicato si applica, si noterà che non tutti questi insieme possono essere ben definiti, che non sempre c'è la certezza che un predicato si possa applicare ad un soggetto, o che a un soggetto possa inerire un certo predicato.

Per esempio, "essere elettrico" è un predicato. La sua estensione è l'insieme di tutte le cose elettriche: cellulari, computer, casse, cuffie, e così via. "Essere alto", invece, è un predicato vago. Non c'è una quantità precisa di oggetti a cui questo predicato può essere applicato, e ci sono oggetti per i quali non è determinato se cadono o non cadono all'interno dell'area concettuale espressa dal predicato. Un termine è vago, cioè, quando non ha confini netti.

Lo stesso vale per moltissimi aggettivi quali giovane, ricco, calvo, molto, e i loro contrari (se un termine è vago, è vago anche il suo opposto). Neonato, bambino, adolescente, ragazzo, adulto, anziano: sono tutti nomi o aggettivi dai confini vaghi. È proprio in riparazione a questa vaghezza che tutte le società, quelle avanzate come quelle primitive, sentono il bisogno di regolamentare la transizione dell'età, di istituire riti di passaggio o cerimonie.

Un predicato è vago quando presenta dei casi borderline, «possibili oggetti che non sono chiaramente nella sua estensione, né chiaramente al di fuori di essa» generando quindi delle contraddizioni e paradossi. Un classico esempio è il paradosso del sorite (da soros, "mucchio"). Cos'è un mucchio? Cos'è che noi chiameremmo mucchio? Qual è la quantità al di sopra della quale un accumulo di oggetti uguali o simili prende il nome di mucchio, e al di sotto della quale non lo prende? Sarebbe ridicolo vedere due foglie ed esclamare: «C'è da pulire un mucchio di foglie!». La questione non cambia se queste foglie sono tre o quattro o cinque: non si tratta di un mucchio. Ma qual è il numero di foglie necessario a costituire un mucchio?

Wittgenstein critica Hegel per aver scritto che le nuvole sono vaghe: non sono le nuvole ad essere vaghe, ma è il termine "nuvola" ad esserlo! Si tratta dunque di una fallacia categoriale, la realtà non c'entra, è il nostro linguaggio ad essere imperfetto. Dove inizia e dove finisce una nuvola? Quand'è che una quantità sospesa di vapore acqueo si può chiamare nuvola? Quella è una grande nuvola strana o è l'insieme di due nuvole?

Lungi da essere una sottigliezza accademica, un'artificiosità intellettuale lontana dalla pratica, la questione della vaghezza ha implicazioni gravissime. Si pensi al termine "essere vivente". Quando si comincia a considerare un insieme di cellule "essere vivente"? Dopo tre mesi dal concepimento? Novanta giorni o novantuno? All'ottantanovesimo invece quell'insieme di cellule è un "essere non vivente"? Ma poi che cos'è un essere vivente? Un'entità (termine assai generico) che si nutre, cresce e si riproduce, certo. Ma allora si deve categorizzare un virus come un qualcosa di intermedio tra un essere vivente e un essere non vivente, dato che possiede alcune caratteristiche dell'uno e altre dell'altro.

Si pensi alla definizione di "morte", definizione che specialmente nello scorso secolo ha subito un'evoluzione, da quella classica e fenomenologica di "assenza di respiro", a "arresto del battito cardiaco", o "blocco della circolazione di gas e fluidi", eventi né equivalenti né tantomeno simultanei. Nel 1968 fu istituita la Commissione di Harvard, un gruppo di filosofi, medici e scienziati con l'obiettivo specifico di trovare una definizione di morte. Prevalse, non senza esitazioni e discussioni, l'opinione di Beecher: "cessazione dell'attività dell'encefalo". Io chiedo: e se non esistesse nulla di preciso denotabile con il termine "morte"? E se la morte fosse in realtà un processo graduale, e questo termine esprimesse soltanto l'esigenza umana di chiarezza e categorizzazione?

Forme di vaghezza nel linguaggio della sessualità - Tesi MagistraleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora