1. Tommaso

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Avrebbe dovuto dire di no.
...
Avrebbe dovuto?
Non lo sapeva.
Sapeva solo che sotto l'eccitazione per la partenza, e per l'idea di stare 5 giorni a Montecarlo, e per il fatto che avrebbe finalmente rivisto Eli, e sarebbe stato con lei senza fretta, senza coprifuoco, senza telecamere, c'era un altro tipo di eccitazione.
Più sottile.
Più subdola.
Che gli faceva tremare le gambe, e lo stomaco, che gli faceva sentire la testa leggera, e il cuore pesante.
Che lo agitava, e lo preoccupava, e che aveva un nome.
Anzi, tre.
Francesco.
Maria.
Oppini.
Elisabetta glielo aveva detto subito.
-Ho invitato anche Fra con Cristina, Tommi. Vengono anche loro. Spero non sia un problema...
Anche questo lo preoccupava. Il fatto che Eli, dolce, tenera, materna Eli, si premurasse di avvisarlo. Il fatto che nemmeno l'aver trovato un ragazzo, un ragazzo vero, con cui iniziare una storia vera, bastasse a non far scattare l'istinto di protezione in chi gli voleva bene.
Avrebbe voluto tantissimo che la cosa gli facesse piacere.
Che non lo irritasse.
Che non gli facesse venir voglia di rispondere con una battuta acida, ma semplicemente di dire che no, non c'era nessun problema, era tutto a posto, lui e Francesco erano amici, potevano tranquillamente passare 5 giorni sotto lo stesso tetto, anzi, che bello.
Solo che non poteva.
Perché non era vero.
Non che non fosse tutto a posto, certo che era tutto a posto, andava tutto bene, si sentivano, si scrivevano, si vedevano, e quando si vedevano Tommaso ignorava con tutte le sue forze quella sensazione di felicità assoluta che gli montava dentro, e che non provava con nessun altro.
E anche quella sensazione di disperazione totale, e la voglia di buttarsi a terra e piangere, e il dolore fisico di sapere che c'era qualcun altro che lo abbracciava, e che lui voleva abbracciare, e la rabbia sorda che provava per tutta quella storia.
Il senso di ingiustizia.
L'incomprensione.
Il significato, il motivo, la cazzo di ragione per cui aveva incontrato la persona perfetta, perfetta, perfettissima, senza essere ricambiato.
Certo che andava tutto bene.
Certo che non c'era nessun problema.
Doveva solo abituarsi al fatto di essere disperatamente innamorato di qualcuno che non lo voleva. Così innamorato da non poter semplicemente farsela passare, ma da doversi abituare. Da dover imparare a convivere con quella consapevolezza, e con quel sentimento. Da dover trovare un modo per metterlo in prospettiva, e fare sì che non lo bloccasse. Da dover capire come poterne tirare fuori solo le cose belle, senza che quelle brutte lo gettassero in una spirale di lacrime, alcol e oh, guarda, bono quello, begli occhi, ah!, nel tempo libero picchi le vecchiette? Ma sì, ma chi se ne frega, scopiamo.
Ogni tanto gli pareva di avercela fatta.
Di esserci riuscito.
Ma bastava poco, pochissimo, per rendersi conto che non era così.
Bastava una telefonata inaspettata, o un messaggio. Bastava una foto nel feed di Instagram. Bastava un giorno di pioggia, o un pomeriggio di noia. Bastava una canzone.
Bastavano 5 minuti con lui, e Tommaso si ricordava improvvisamente di quello che poteva provare. Di come poteva sentirsi.
Di quanto grigio, e limitato, fosse stato il suo mondo prima di incontrarlo.
Prima di conoscerlo, e di innamorarsi di lui.
Con un sospiro, aveva fissato le magliette sul letto, cercando di scegliere quelle più adatte, finendo per prenderne a caso una decina e schiaffarle in valigia senza pensarci troppo.
Si era acceso una sigaretta, cercando una playlist di sottofondo che non gli ricordasse il GF, che non parlasse d'amore, che non contenesse alcun tipo di riferimento a Francesco, imprecando nel ritrovarsi a scorrere This is Tecno, praticamente l'unica lista di canzoni sicura, finendo per lanciare il telefono sul divano, e restare in silenzio, con Gilda che gli leccava una caviglia.
Quando aveva recuperato il cellulare, tre sigarette e svariati esercizi di respirazione dopo, era quasi riuscito a ritrovare un equilibrio.
Quasi.
Sepolti sotto 2000 notifiche di Instagram, decine di mail, qualche chiamata persa di sua madre e un paio di minacce di morte di Lazzaro, due messaggi.
Che bello amore, non vedo l'ora di partire 💖️ a tra poco!
Tommaso aveva sorriso.
Era tenero. Era dolce. Era giovane, e adorante, e innamorato, e pompava il suo ego, e lo faceva stare bene, e si preoccupava per lui, e poi era bello da guardare, ed era...
La foto di un accendino.
Con Britney Spears sopra.
Non potevo non prendertelo. Non ti dico la vergogna quando sono arrivato in cassa, e la tizia si è messa a urlare alla collega QUANTO COSTA L'ACCENDINO CON BRITNEY?!?
Le cose che non faccio per te, Zorzi...
Con un gemito, Tommaso si era lasciato scivolare contro al muro e per terra, venendo immediatamente assalito da Gilda e Priscilla, troppo impegnato a sbattere piano la testa contro la parete per preoccuparsene.
-Ma io cosa devo fare, con lui? Cosa? Come?
Era un accendino, solo un accendino, certo che era solo un accendino, il punto era che anche Francesco era solo Francesco, il solo a fare certe cose per lui, il solo ad aver colto le certe cose di Tommaso, il solo a coglierle ogni singola volta, il solo che fosse riuscito a capire quanto quei piccoli gesti fossero importanti, il solo per cui fosse lo stesso.
Gilda gli aveva leccato la faccia, comprensiva, era sempre comprensiva, lei, ma piuttosto inutile. Priscilla invece non comprendeva niente. A Priscilla non interessava. Priscilla gli mostrava il culo e cercava di farsi le unghie sulle sue scarpe.
Ma doveva accontentarsi, perché erano le uniche valvole di sfogo che aveva.
Le uniche a cui non avesse dovuto mentire, a cui non avesse dovuto raccontare la favola del nuovo innamorato, e del siamo solo amici, e del mi è passata, e del lì tutto è amplificato.
Non gli aveva risposto.
Gli rispondeva raramente.
Lui non ci rimaneva mai male. Mai. Ci rideva sopra, e faceva comunella con sua madre quando lei si lamentava di non sentirlo abbastanza spesso.
A volte, quando gli pareva di aver esagerato nel percularlo con Armanda, aspettava un suo whatsapp, o un dm, uno qualunque, per tranquillizzarlo.
Tommaso gli girava un meme del cazzo sui boomer, o un articolo di gossip su qualcuno di cui avevano parlato, e tra le risate e le battute Francesco infilava una di quelle frasi che piegavano Tommaso in due.
Ero di cattivo umore e poi sei arrivato tu. Ma come fai?
Pensi sempre a me quando ho bisogno di sentirti...
Come poteva rispondergli?
Cosa avrebbe dovuto scrivergli?
Si era ripromesso di non mentirgli mai, di non dirgli mai nessuna bugia.
Ma ometteva, ometteva in continuazione.
Censurava, sceglieva le parole con cura, in modo da poter continuare a raccontargli tutto, e a chiedergli consiglio, a chiamarlo quando era triste, o in preda all'ansia, senza dovergli dire una cazzata.
Era diventato bravissimo a farlo.
Ma alcune volte, in alcune situazioni, ad alcuni messaggi, non c'era omissione che tenesse.
Solo silenzio.
Aveva inviato un 💖 in risposta al suo ragazzo, e si era acceso un'altra sigaretta, sospirando.
Pensi sempre a me quando ho bisogno di sentirti.
No, Francesco, no. Io penso a te sempre.
Punto.
Anche col suo ragazzo ometteva.
A volte, a dirla tutta, gli mentiva pure.
Ma erano le bugie che raccontava anche a se stesso, le bugie che gli servivano per andare avanti, a testa bassa, in modalità sopravvivenza.
Si giustificava così.
Ma la realtà era che si sentiva in colpa, si sentiva in colpissima, e che a volte il panico gli serrava la gola talmente forte da spaventarlo sul serio.
Perché era perfetto.
Era bello, era gentile, era buffo, era premuroso, a Tommaso piaceva, a Tommaso piaceva tanto, ma non si sarebbe mai potuto innamorare di lui. Mai. E se non poteva innamorarsi di lui, di quegli occhi che lo guardavano adorante, dei messaggi sdolcinati che non si vergognava di inviargli, del sorriso che gli spuntava sul viso quando lo vedeva, se non poteva innamorarsi di lui, allora di chi?
Fake it 'til you make it.
E Tommaso fingeva.
Fingeva di essere perfettamente felice. Fingeva di starsi innamorando. Fingeva di non pensare a niente di particolare quando l'altro lo trovava con la testa appoggiata alla mano a guardare un punto fisso, fingeva di non provare irritazione nel rendersi conto che non si accorgeva del suo stato d'animo, fingeva di trovare dolci i suoi commenti in quelle situazioni, i suoi dirgli che era bello quando si imbambolava.
Francesco, Francesco capiva. Francesco vedeva 10 secondi di storia e gli scriveva.
Ti vengono gli occhi più grandi del mondo quando sei malinconico, e oggi sono enormi.
A cosa pensi?
A lui. Pensava sempre a lui. A lui, a loro, a quanto male facesse ritrovarsi ingabbiato nei suoi sentimenti.
E allora sì, fingeva, fingeva, mentiva, faceva quello che doveva fare per tirare avanti, sperando che il giorno dopo sarebbe andata meglio, che sarebbe stato più facile.
In questa situazione specifica, aveva omesso.
Francesco lo aveva chiamato in preda all'eccitazione più totale per il viaggio, su di giri come un liceale prima di una gita scolastica, offrendo loro un passaggio.
-Dai, venite con noi! Facciamo il viaggio assieme. Ho anche fatto una playlist apposta!
Tommaso aveva ignorato quel noi, lo aveva ignorato con tutte le sue forze, istintivamente, per poi rendersi conto che invece doveva pensarci, a quel noi, doveva ricordarselo, imprimerselo ben bene nel cervello, e allora ci aveva fatto caso, a quel noi, e aveva ignorato invece la pugnalata poco misericordiosa che gli aveva inferto allo stomaco, cercando di mantenere un tono neutro, cercando di non mettersi a piangere e allo stesso tempo di non sorridere, sorridere tutto, con ogni centimetro del corpo, nel sentire la sua voce, e quel tono elettrizzato, amava quel lato di lui, lo amava così tanto, amava il fatto che sembrasse così contento ogni volta che dovevano vedersi, o passare del tempo insieme, lo amava, mannaggialcazzo, e doveva ignorarlo.
Aveva cercato di non fargli capire quanto facesse male sentire quel noi, e quanto fosse felice all'idea di vederlo, e poi aveva rifiutato, cavoli Fra, grazie, ma ho già preso i biglietti del treno, ci vediamo lì, poi aveva riattaccato e l'aveva detto al suo ragazzo, cavoli, che peccato, sarebbe stato carino andare tutti insieme.
Quello che aveva omesso di dire, era che lo conosceva.
Lo conosceva come le sue tasche.
Cavoli se lo conosceva.
Avrebbe potuto scrivere lui il copione di quella telefonata almeno 2 giorni prima di riceverla.
Per questo aveva comprato i biglietti del treno il secondo dopo che Elisabetta li aveva invitati.
Perché sapeva.
Sapeva che Francesco non avrebbe perso l'occasione di guidare fino a Montecarlo. Sapeva che gli avrebbe offerto un passaggio.
Lo sapeva.
Lo conosceva.
E conosceva se stesso.
Non sarebbe mai sopravvissuto a 4 ore di macchina con Francesco e con lei. Mai. E probabilmente nemmeno la sua relazione sarebbe sopravvissuta, perché 4 ore in uno spazio ristretto erano troppe per riuscire ad evitare la bolla che si creava ogni volta che erano assieme. Erano troppe per riuscire a fingere di non odiare Cristina con tutte le sue forze. Ed erano troppe per riuscire a nascondere i suoi sentimenti.
E così aveva omesso.
Si era limitato a fare quello previdente e un pelino ansioso che aveva comprato i biglietti del treno con troppo anticipo, e adesso doveva solo resistere 5 giorni.
No, non resistere: divertirsi.
Doveva solo trovare il modo di divertirsi.
Di godersi quei 5 giorni.
Di godersi la vacanza.
Il modo di godersi Montecarlo, e le cene, e lo shopping, di godersi Eli, il modo di godersi Francesco per quello che era, e il suo ragazzo per quello che era.
Cristina no.
Cristina non voleva godersela.
Cristina che se ne andasse a fare in culo.
Fino a quel momento era stato più facile del previsto, e più difficile di quanto avrebbe mai ammesso.
Punto numero 849 della lista delle cose che aveva imparato di sé grazie a Francesco Maria Oppini: aveva una resistenza da maratoneta e una capacità di sopportazione che Madre Teresa levate.
E in quei giorni resisteva, e sopportava, e resisteva, e sopportava.
A voler essere del tutto sinceri, doveva ammettere che gran parte del merito andava dato a lei. A Cristina.
Innanzitutto era l'unica di loro ad essere a disagio tanto quanto lui. Fingeva, e fingeva anche piuttosto bene, ma Tommaso era ormai un professionista della disciplina, e non bastavano un paio di tacchi alti e di sorrisi per ingannarlo.
Era in soggezione con Elisabetta, tanto, tantissimo, da pazzi. Non sapeva bene cosa dire, come dirlo, sembrava così fuori luogo che ogni tanto Tommaso aveva perfino provato un moto di simpatia per lei.
...va beh, quasi.
E poi riusciva a tirar fuori quel lato di Francesco che Tommaso non riconosceva.
E che non gli piaceva granché.
L'aveva già intuito, quel lato.
Nelle prime settimane dopo il GF, quando Francesco era l'unica cosa che lo tenesse in piedi, il suo unico punto di ancoraggio, l'unico contatto con la realtà che aveva, quella versione di lui era apparsa al limite del suo campo visivo, sfocata, tremolante, indefinita, come tutto quello che si trovava al di fuori della loro bolla.
Ogni tanto, in quella visione periferica, come una comparsa con molte scene tagliate in fase di montaggio, appariva Cristina. Ai margini.
E Francesco non c'era più.
Ma erano pochi secondi, pochi attimi, gli unici momenti in cui Francesco non era concentrato su di lui, e comunque Tommaso riusciva a malapena a restare a galla dopo 6 mesi di mondo parallelo, era tutto strano, tutto distorto, tutto appare privo di importanza quando ti sembra di dover reimparare a vivere la tua vita.
Tutto appare privo di importanza quando ti sembra che la persona di cui ti sei innamorato ti ricambi.
Disteso a bordo piscina a prendere il sole, in attesa che Nathan tornasse con qualcosa che voleva mostrargli, Tommaso si era quasi messo a ridere di una risata isterica, a ripensarci.
A ripensare a quel mese e mezzo in cui tutto era surreale, e nuovo, in cui la sua vecchia vita sembrava andargli ora stretta ora larga, in cui non riusciva a riconoscersi negli occhi delle persone a cui voleva bene.
E poi c'era Francesco.
Francesco lo guardava, e di colpo Tommaso si sentiva di nuovo se stesso.
Francesco lo guardava, e il mondo ricominciava ad avere senso.
Francesco lo guardava, e nient'altro importava.
Tommaso ci aveva creduto.
Ci aveva creduto davvero.
Per il modo in cui sorrideva quando lo vedeva entrare nella stanza. Per il modo in cui i suoi occhi cambiavano quando si posavano su di lui. Per il modo in cui lo cercava, e lo trovava, sempre. Per come si era inserito nella sua vita, nella sua famiglia, tra i suoi amici. Per come sapeva leggergli dentro anche dopo mesi di lontananza. Per come lo stringeva, così, dal nulla, senza motivo, solo perché poteva farlo, lo stringeva forte, fortissimo, come se ne dipendesse della sua stessa vita, e Tommaso ci aveva creduto.
Aveva creduto che Francesco provasse le stesse cose che provava lui, perché sembrava dimostrarglielo ogni giorno.
Aveva creduto di essere importante, la persona più importante, e aveva creduto di essere una buona ragione per stravolgergli la vita.
Se fosse stata una brutta serie Netflix per adolescenti, probabilmente sarebbe finita così davvero.
Con quel lungo abbraccio sulle scale della piscina in diretta, e quello a telecamere spente, in albergo, durato minuti, minuti interi, minuti di frasi balbettate, di parole sussurrate, di lacrime, di sorrisi.
Con le telefonate che duravano ore, e i messaggi in qualunque momento della giornata.
Con gli sguardi al posto delle parole, e le battute che capivano solo loro, e i silenzi.
Con i secondi interminabili di quel venerdì, troppo alcol in corpo, la playlist che si era stoppata, loro fermi sul divano, vicini, vicinissimi, le mani che si sfioravano, e la muta, disperata richiesta negli occhi di Tommaso.
Francesco che gli accarezzava il viso.
Francesco che lo bloccava prima che potesse parlare, mettendogli un dito sulle labbra, e lo abbracciava.
Francesco che restava abbracciato a lui per tutta la sera, e la notte.
E poi era arrivata lei, di prepotenza, a richiamarli all'ordine, a mettere in chiaro le gerarchie.
Poi era arrivata lei, e lo aveva rimesso al suo posto.
Quando c'era lei, quel Francesco non esisteva.
Quando c'era lei, Francesco diventava la versione a basso costo di se stesso.
Sembrava lui, ma non lo era.
Scherzava, ma le sue battute non facevano ridere. Parlava, ma gli argomenti erano banali. Era un po' presuntuoso, e un po' scontato, e un po' noioso, e provinciale.
Lei riusciva a renderlo meno divertente, meno interessante, meno unico, meno perfetto.
Meno Francesco.
Il problema arrivava quando lei se ne andava.
Era come un interruttore che scattava.
Si accendeva la luce, ed ecco Francesco.
A volte, si spegneva la luce, ed ecco i pensieri inopportuni di Tommaso.
La sua schiena.
Le sue mani.
Gli occhi, il collo, la linea della mascella, i polpacci, la sua voce.
Il modo in cui gli parlava, e gli sorrideva, e lo toccava, e lo guardava.
Nudo.
Tommaso si sentiva nudo davanti a lui. Completamente nudo. Senza difese, senza ripari, senza scampo.
Era terrificante e bellissimo allo stesso tempo. Era adrenalina, e brividi, e una strana sicurezza nonostante tutto.
Perché anche quando c'era lei, bastavano pochi minuti, a volte pochi secondi, una sola frase, un solo gesto, e di colpo erano di nuovo loro due nella bolla, il resto del mondo tagliato fuori.
Di colpo Francesco tornava Francesco.
Il suo Franci.
Era questo, che Tommaso non riusciva ad accettare. Era questo che non riusciva a capire.
Vinceva ogni singola battaglia.
Sempre.
Quando c'era lei, Francesco diventava un estraneo, ma bastavano pochi minuti, a volte pochi secondi, una sola frase, un solo gesto, e di colpo Cristina tornava sullo sfondo, un dettaglio sfuocato e tremolante che Francesco non vedeva.
Francesco vedeva solo lui.
Guardava solo lui.
E lo guardava in quel modo, con quegli occhi.
Tommaso vinceva ogni singola battaglia.
Sempre.
Eppure la guerra la vinceva lei.
Miss Palonelculo.
Personificazione del voglio ma non posso, voglio così tanto che mi sento morire dentro ma non posso, voglio solo lui, soltanto lui, anche se vicino a me ho un ragazzo bello e innamorato voglio lui, ma non posso.
Era un continuo saliscendi, un'altalena emotiva che non avrebbe augurato neppure al suo peggior nemico, nemmeno a lei, l'avrebbe augurata, nemmeno a lei avrebbe augurato di dover combattere così strenuamente contro i propri desideri, e i propri bisogni, di dover rinunciare in continuazione alla cosa più bella che gli fosse capitata, di incontrare lo sguardo del suo ragazzo e sentirsi la merda delle merde, di costringersi a controllare ogni sentimento, ogni emozione e ogni reazione, e di doverlo fare da solo.
Sempre da solo.
Senza poter dire a nessuno quello che stava passando.
Senza poterlo dire all'unica persona che avrebbe capito, alla sola persona a cui avrebbe voluto dirlo.
A cui avrebbe voluto urlarlo.
Punto numero 850 della lista delle cose che aveva imparato di sé grazie a Francesco Maria Oppini: anche lui, a volte, voleva fare a pugni.
Seduti a tavola, un argomento qualsiasi, una battuta qualsiasi, lo sguardo di Francesco, la risata di Francesco, la sua mano che lo cercava mentre gli rispondeva, i suoi occhi che brillavano mentre iniziavano a parlare tra di loro, e diventavano sempre più grandi, e intensi, mentre scivolavano nella bolla, allora, ecco, proprio allora, Tommaso avrebbe voluto colpirlo.
Dritto in mezzo alla faccia.
Secco.
E poi allo stomaco. Allo sterno. Alla schiena.
Com'è, Francesco? Come ci si sente? Perché io mi sento così ogni volta. Ogni cazzo di volta.
E avrebbe voluto baciarlo.
Avrebbe voluto baciarlo così tanto che le gambe gli diventavano molli.
Avrebbe voluto baciarlo e smetterla di sentirsi così solo, solo e stronzo, stronzo perché non era innamorato del suo ragazzo, stronzo perché nemmeno sapeva se si sarebbe mai potuto innamorare di lui, o di chiunque altro, e solo, così solo, perché chi lo vorrebbe, qualcuno che non può amarti perché ama un altro?
E chi vorrebbe passare tutta la vita a fingere di essere diverso, a fingere che i propri sentimenti siano diversi, a controllarsi, a trattenersi, chi mai avrebbe voluto?
Lui no.
Lui no di certo.
Lui non l'avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico.
Non lo avrebbe augurato nemmeno a miss Palonelculo.

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