Avrebbe dovuto dire di no.
...
Avrebbe dovuto?
Non lo sapeva.
Sapeva solo che sotto l'eccitazione per la partenza, e per l'idea di stare 5 giorni a Montecarlo, e per il fatto che avrebbe finalmente rivisto Eli, e sarebbe stato con lei senza fretta, senza coprifuoco, senza telecamere, c'era un altro tipo di eccitazione.
Nascosta.
Indefinita.
Che lo faceva sorridere incontrollabilmente, che lo faceva sentire leggero, che lo faceva diventare nervoso.
Che lo agitava, e un po' lo preoccupava, e che aveva un nome.
Anzi, tre.
Tommaso.
Maria.
Zorzi.
Elisabetta glielo aveva detto subito.
-Ho invitato anche Tommi col suo nuovo ragazzo, Fra. Vengono anche loro. Spero non sia un problema...
Anche questo lo agitava, e un po' lo preoccupava. Il fatto che Eli, dolce, tenera, materna Eli, si premurasse di avvisarlo.
Il fatto che nemmeno l'aver finto che nulla fosse cambiato, e che il loro rapporto fosse sempre lo stesso, sempre unico, sempre profondo, bastasse a non far scattare l'istinto di protezione in chi gli voleva bene.
Avrebbe voluto tantissimo che la cosa gli facesse piacere.
Che non lo spaventasse.
Che non gli facesse venir voglia di rispondere con una battuta fulminante alla Parietti, ma semplicemente di dire che no, non c'era nessun problema, era tutto a posto, lui e Tommaso erano amici, potevano tranquillamente passare 5 giorni sotto lo stesso tetto, anzi, che bello.
Solo che non poteva.
Perché non era vero.
Non che non fosse tutto a posto, certo che era tutto a posto, andava tutto bene, si sentivano, si scrivevano, si vedevano, e quando si vedevano Francesco provava una sensazione di felicità assoluta che gli faceva quasi venir voglia di urlare, una felicità assoluta che non provava con nessun altro.
Che lo tranquillizzava, e lo rassicurava, che gli infondeva un senso di pace, e di completezza.
Che lo rendeva egoista.
Si era ripromesso di parlare con Tommaso dei suoi sentimenti, ma non lo aveva mai fatto, per timore che quella conversazione rovinasse tutto.
Si era ripromesso di frenarsi, di controllarsi, di proteggerlo, ma non ci era mai riuscito.
Non poteva.
Non voleva.
Non riusciva a non abbracciarlo, a non pensarlo, non riusciva a non tremare quando sentiva quegli occhi posarsi su di sé, quegli occhi che lo facevano sentire speciale, e così se stesso.
Quegli occhi che lo rendevano egoista.
Quegli occhi che avevano sopportato, e sopportato, e sopportato, e poi si erano girati a guardare da un'altra parte.
Certo che andava tutto bene.
Certo che non c'era nessun problema.
Doveva solo abituarsi a quella nuova, strana piega che aveva preso il loro rapporto. Al non avere più Tommaso tutto per sé. A quella piccola, piccolissima distanza che aveva interposto tra di loro, che era piccola, e necessaria, ma che a Francesco sembrava incolmabile e abissale e ingiustificata.
Doveva solo imparare a convivere con quel senso di ingiustizia che gli si gonfiava dentro, risalendogli fino alle labbra, cercando di forzarle, e di forzare lui a protestare, a chiedere a gran voce di riavere indietro il rapporto che avevano.
Doveva imparare a sopportare come Tommaso aveva sopportato con lui.
Doveva adattarsi.
Ogni tanto gli pareva di avercela fatta.
Di esserci riuscito.
Ma bastava poco, pochissimo, per rendersi conto che non era così.
Bastava una foto di loro due in cui lo taggava qualche fanpage. Bastava una canzone alla radio, o una battuta stupida. Bastava una giornata malinconica, o un pensiero triste. Bastava un pomeriggio di pioggia.
Bastavano 5 minuti, e Francesco ritornava sui suoi passi.
Francesco ritornava egoista, ritornava a pretendere, Francesco si ritrovava a fissare il cielo fuori dalla finestra, e a pensare che gli mancava Tommaso.
Che gli mancava il modo in cui lo faceva sentire, la serenità che gli dava.
Che gli mancavano loro due assieme.
E che non voleva ritornare a quel mondo grigio, e limitato, in cui viveva prima di incontrarlo.
Quel mondo in cui non c'era complicità, non c'era intimità, non c'era quella scintilla che gli si accendeva dentro ogni volta che erano assieme, quella scintilla che vedeva riflessa nei suoi occhi quando lo guardava, quella scintilla che lo faceva sentire vivo.
Ed egoista.
Tommaso faceva un passo indietro, e Francesco ne faceva cinque in avanti, irruento, incapace di resistere, ignorando la voce nella sua testa che gli faceva notare quanto fosse irrispettoso, quanto fosse egoista, ignorando l'agitazione che lo afferrava quando Tommaso indietreggiava ancora, e la paura di aver esagerato, e di averlo perso, la paura che quell'allontanamento fosse l'ultimo, che fosse definitivo.
Ogni volta Tommaso lo smentiva.
Ogni volta ritornava.
Ogni volta gli dimostrava di essere più forte di lui.
Ricompariva all'improvviso, con una di quelle piccole cose che per Francesco erano tanto importanti.
Una cartolina volgare che aveva trovato in un negozio di souvenir in piazza Duomo.
Un regalo inaspettato.
Una parola buttata in mezzo alle sue storie di Instagram.
E quei messaggi.
Quei messaggi lapidari, che arrivavano di colpo in risposta a decine di chiamate e note vocali ignorate, quei messaggi piccoli, ma che venivano da Tommaso, e allora diventavano giganteschi.
Ti ho sognato stanotte.
Stai bene?
Non stava mai bene quando glielo chiedeva. Mai. Quando Tommaso gli scriveva, chiedendogli se fosse tutto a posto, Francesco era sempre immerso nella pece più nera e collosa, sempre.
Non sapeva come facesse a capirlo. A percepirlo. Eppure era sempre così. Sempre.
E sapere di non essere solo, sapere di avere qualcuno, sapere di avere Tommaso, bastava ogni volta.
Bastava a farlo sentire di nuovo felice.
Bastava a renderlo egoista, e a farlo ricominciare.
Bastava a farlo sentire tremendamente in colpa.
A volte si sentiva in colpa anche nei confronti di Cristina, o dei suoi amici, ma minimizzava.
Erano adulti, gli volevano bene, dovevano essere contenti per lui, contenti che avesse trovato quella persona, quella persona meravigliosa che lo faceva sentire completo.
Solo che.
Appoggiato allo stipite della portafinestra, Francesco aveva dovuto ammettere con se stesso di essere un ipocrita.
Un ipocrita che chiedeva ai suoi affetti di non essere gelosi, e poi si metteva in competizione con un ragazzino che aveva, quanti?, 15? 20 anni meno di lui?, solo perché poteva prendere Tommaso per mano. Solo perché poteva guardarlo quanto voleva, e abbracciarlo la notte se faceva un brutto sogno. Solo perché godeva della sua attenzione.
Un ipocrita che chiedeva ai suoi amici di essere felici per lui, ma che non riusciva ad essere felice per Tommaso.
Riusciva solo a pensare al tempo che gli veniva tolto, alle attenzioni che gli venivano tolte, a Tommaso che gli veniva tolto.
Ipocrita.
Ipocrita e egoista.
Ipocrita, egoista e confuso.
Lui non era così. In balia dei suoi bisogni, in balia delle sue emozioni, in balia di quella sensazione di vuoto allo stomaco che gli impediva di pensare.
Non era così.
Non lo era mai stato.
O almeno, non lo era da tanto, tantissimo tempo.
Da quando era giovane, e irresponsabile, e procedeva nel mondo seguendo i propri istinti, mettendosi al primo posto, senza riflettere, senza fermarsi.
Non riusciva a fermarsi, con Tommaso.
Bastava poco, così poco, bastava uno sguardo, un mezzo sorriso, bastava che i loro occhi si incrociassero, e scattava qualcosa.
Quel qualcosa.
Di colpo erano solo loro due, e il resto del mondo tagliato fuori.
Francesco era andato a sedersi vicino a Cristina, sorridendole, provando ad ignorare lo sguardo di Tommaso fisso sul suo ragazzo, provando ad ignorare la tentazione forte, fortissima di attirare la sua attenzione, di dire o fare qualcosa che lo facesse voltare verso di lui.
Ma Cristina leggeva, Elisabetta dormiva, e Tommaso sorrideva al suo ragazzo che giocava in piscina con Nathan, guardali, più coetaneo del figlio di Eli che loro, come poteva Tommaso stare con lui, certo, era molto dolce, e buffo, e sorprendentemente a suo agio, ma come poteva reggere il confronto, come poteva essere abbastanza, abbastanza speciale, abbastanza interessante, abbastanza per quell'intelligenza, quella sensibilità, quel lampo di genio e cattiveria e presunzione, abbastanza da catturare la sua attenzione, e tenerla ben stretta, abbastanza da aver sostituito Francesco.
Lo sapeva anche lui che non aveva senso.
Che quei pensieri erano folli, e irrazionali, che non avrebbe dovuto farli, che erano pericolosi, e lo riempivano di dubbi.
Cristina non lo smuoveva così tanto.
Cristina non lo faceva impazzire così, non lo faceva dubitare di se stesso, non lo rendeva insicuro come un adolescente e allo stesso tempo saldo e fiducioso come l'uomo che avrebbe voluto essere.
Cristina era solo Cristina.
Non dipendeva da lei, non era colpa sua, non se lo meritava. Meritava un fidanzato attento, premuroso, felice, meritava il fidanzato attento, premuroso e felice che aveva aperto quella porta rossa quasi un anno prima.
Il fidanzato attento, premuroso e felice che dietro a quella porta aveva scoperto di poter essere molto più attento, molto più premuroso, e molto più felice, ma non con lei.
Francesco aveva sospirato, facendole sollevare gli occhi dal libro.
-Che c'è? Che succede?
Dietro di lei, Tommaso che si voltava.
Tommaso che lo guardava.
Tommaso che gli sorrideva appena dietro gli occhiali da sole, Tommaso che lentamente si faceva sempre più a fuoco, sempre più nitido, mentre Cristina scivolava in secondo piano.
Tommaso che mimava con la mano uno shot bevuto a collo, e indicava impercettibilmente la cucina con la testa, un'espressione interrogativa sul viso.
Francesco che si alzava, che diceva a Cristina che andava tutto bene, e le chiedeva se voleva qualcosa da bere.
Francesco che rallentava mentre aspettava che Tommaso si alzasse con noncuranza dal lettino, ridacchiando, e lo seguisse in cucina.
-Vodka, tequila o... Questo cos'è? Jagermaister?
Era in piedi davanti al bar e lo guardava, aspettando una risposta.
-Quello più forte.
Tommaso si era messo a ridere.
-Ottimo criterio di scelta, Oppini!
Aveva versato due dita di tequila in due bicchieri per l'acqua, porgendogliene uno.
-Salute!
-Alla nostra!
Avevano buttato giù la tequila tutta d'un fiato, sogghignando come ragazzini.
Senza bisogno di parole, Francesco aveva allungato il bicchiere a Tommaso, già pronto a versargli il bis, la bottiglia in mano.
Aveva sentito l'alcol salirgli lentamente al cervello e scendergli rapidamente nello stomaco e nelle gambe, facendolo sentire leggero, e stupido.
-Dici che se ne accorgeranno?
Tommaso lo aveva guardato, serio, e poi lo aveva preso per un braccio, trascinandolo davanti al frigo di alluminio.
-Guardati. Tu che dici??
-Che dico? - Francesco in quel riflesso riusciva a notare solo che erano vicini, e che sembravano incredibilmente simili a com'erano una volta - Non lo so che dico. Tu cosa dici?
Tommaso aveva riso.
-Dico che sei ubriaco! Guardati... Guarda che faccia... Hai la faccia da tre di mattina fuori da un locale!
Francesco si era girato verso di lui, sorridendo, adorava quella risata, il ragazzino non riusciva a scatenarla, quella risata, quella risata era solo sua.
-Tu invece hai le lentiggini... - Gli aveva sfiorato il naso con l'indice, una, due volte, sentendolo irrigidirsi, sentendolo smettere di ridere.
Sembrava così giovane, e così fragile, eppure anche in quei momenti Francesco sapeva che era lui il più forte dei due.
-Mi abbracci? Per favore?
Tommaso aveva annuito, e non aveva detto nulla, si era lasciato stringere, e gli aveva accarezzato piano la schiena.
-Ti voglio bene, Tommi.
Aveva percepito il suo sorriso contro la pelle.
-Mamma se sei ubriaco, Oppini...
Francesco si era tirato indietro, guardandolo negli occhi, sentendo di colpo il pavimento premergli contro la pianta dei piedi, e il cervello smettere di galleggiare.
-Non sono ubriaco. Solo... Ti voglio bene.
Tommaso aveva sorriso appena, guardando in basso.
-Ti voglio bene anche io, Franci.
Gli aveva dato un bacio sulla guancia, piccolo, delicato, ed era scivolato via, verso il giardino.
Con un sospiro, Francesco aveva afferrato una bottiglia d'acqua, e si era trascinato in camera, buttandosi a corpo morto sul letto, chiudendo gli occhi, cercando di non pensare, non pensare, non pensare, solo dormire.
Il suono si era insinuato nel suo sonno con gentilezza, riscuotendolo appena, scandendo il ritmo del suo respiro.
Toc. Toc. Toc.
Era attutito, morbido, e Francesco gli si era abbandonato, rannicchiandosi su un fianco, affondando la faccia nelle lenzuola fresche, lasciandosi cullare dal frinire delle cicale e da quel ritmo in lontananza, che sembrava quasi un battito cardiaco.
Dopo qualche minuto, mentre si sentiva sprofondare nuovamente nel materasso, il corpo che sembrava appesantirsi e alleggerirsi allo stesso tempo, la consapevolezza di cosa fosse quel rumore di sottofondo lo aveva attraversato come una scarica elettrica.
Si era riscosso di colpo, i muscoli tesi, i nervi arricciati, il cuore che pareva scoppiargli nel petto, gli occhi spalancati.
Quasi a sbeffeggiarlo, il suono si era fatto più forte, più scandito, accelerando, appaiandosi al pulsare delle sue tempie.
Tonf. Tonf. Tonf. Tonf.
Francesco avrebbe voluto tapparsi le orecchie, avrebbe voluto alzarsi, e uscire dalla stanza, avrebbe voluto muoversi, ma non poteva, non ci riusciva.
Paralizzato, era rimasto lì disteso, immobile, ascoltando la testiera del letto di Tommaso che sbatteva contro al muro, sempre più forte, sempre più veloce.
Paralizzato, era rimasto lì disteso, immobile, ascoltando Tommaso che scopava.
...o che si faceva scopare.
Aveva cercato di scacciare quell'immagine dalla mente, l'immagine di Tommaso che affondava dentro il suo ragazzo, o peggio, l'immagine di Tommaso che si chinava, e si apriva, e...
Il primo gemito gli si era conficcato nel cervello come un punteruolo per il ghiaccio.
Era lui, era Tommi, eppure non lo era, o forse sì, forse era Tommi all'ennesima potenza, o Tommi ridotto alla sua essenza più pura, non lo sapeva, sapeva solo che era lui, lo aveva riconosciuto, lo riconosceva sempre, eppure non lo aveva riconosciuto affatto, o forse sì, forse lo aveva riconosciuto, forse, semplicemente, non erano state le sue orecchie, a riconoscerlo.
Coperto da uno strato sottile di sudore freddo, Francesco aveva sentito i gemiti farsi sempre più forti, e più lunghi, aveva sentito la voce di Tommaso salire, impennarsi, spezzarsi, l'aveva sentito mugolare, l'aveva sentito.
-Sì... Cazzo, SÌ!, ancora... Ancora...
Ogni parola, ogni suono, sembrava rimbombare nella stanza, sembrava rimbombare in Francesco, scivolandogli dentro, aumentando di volume, acquisendo un'eco che gli si riverberava in tutto il corpo, nel torace, nello stomaco, lungo le gambe.
Un altro gemito, quasi disperato, un rantolo, Tommaso che implorava, e Francesco, disteso nella propria ombra, nel proprio sudore, i denti scoperti come un animale braccato, a lottare, forte, fortissimo, contro se stesso.
Quella voce, la sua voce, la voce di Tommaso, sembrava viaggiare su frequenze che Francesco riceveva più chiare e nitide di qualunque altra cosa, come se la sua testa, il suo cuore, le sue viscere fossero gli unici destinatari.
Come se il suo cazzo fosse l'unico destinatario.
Tommaso ansimava, e l'intero corpo di Francesco reagiva.
La pelle gli si ricopriva di brividi che rotolando lo scuotevano tutto.
Bolle di acqua calda scoppiavano scendendogli lungo le gambe.
Impotente, le mani che artigliavano le lenzuola, nel panico, Francesco aveva osservato quelle sensazioni prendere il controllo, togliendogli ogni capacità decisionale, ogni possibilità di scelta.
Pietrificato su quel letto.
Eccitato.
In balia delle proprie sensazioni, il sangue che pulsava a ritmo con i tonfi contro alla parete, a ritmo con i mugolii di Tommaso, Francesco si era ritrovato duro, duro come non gli succedeva da anni, duro come da ragazzino, duro come dopo il primo lento ballato con la compagna di classe che gli piaceva, duro come quando si risvegliava da quei sogni confusi, e bagnati, dei suoi 13 anni, duro, durissimo, eccitato.
Duro nelle mutande ascoltando Tommaso che si faceva scopare.
Il cervello imbizzarrito, Francesco si era visto muovere una mano, alzarla, Tommaso gemeva e la mano di Francesco non rispondeva ai comandi, Tommaso gemeva e Francesco si eccitava, Tommaso gemeva e Francesco guardava con gli occhi sbarrati la mano infilarsi nei boxer.
Tommaso gemeva, e Francesco non avrebbe dovuto, non avrebbe voluto, ma doveva, e voleva, voleva tantissimo, non aveva mai voluto qualcosa così tanto, non doveva, non voleva, ma non poteva fermarsi.
-Più forte...
Tommaso gemeva, e Francesco non avrebbe dovuto, non avrebbe voluto, ma era eccitato, era così eccitato, gli era mancato il fiato quando aveva sentito la sua mano iniziare a muoversi, a scorrere lungo la propria erezione, mentre Tommaso gemeva.
Mentre Tommaso si faceva scopare.
Mentre ogni singolo rumore proveniente da quella stanza sembrava stringergli le dita ancora più forte sul cazzo.
Era il suo amico, quello. Quello che gemeva, quello che si faceva scopare, quello che lo faceva eccitare, era il suo amico, il suo amico, ma quelle parole sembravano di colpo prive di significato, non contavano più nulla, contavano solo quei gemiti, contava solo la voce di Tommaso che godeva, contava solo quel bisogno, forte, fortissimo, di chiudere gli occhi, e lasciarsi andare, chiudere gli occhi e ascoltare, ascoltare Tommaso, chiudere gli occhi e toccarsi.
Francesco aveva lasciato che quei suoni lo riempissero, che lo invadessero, che la sua mano si muovesse a ritmo, a ritmo con i colpi del letto contro al muro, a ritmo con i colpi dentro Tommaso. Tommaso gemeva, gemeva forte, più forte, sempre più forte, una serie infinita di sì che parevano guidare la sua mano, non avrebbe dovuto, non avrebbe voluto, ma era eccitante, così eccitante, ogni lamento, ogni parolaccia, ogni mugolio sembravano scorrergli lungo il ventre, ingrossandogli il cazzo, era talmente eccitante che Francesco si era ritrovato ad abbassarsi i boxer, ad allargare le gambe, a piantare i talloni nel materasso, sollevando il bacino, duro, così duro, durissimo.
-Più forte... Più forte...
Era Tommaso e non era lui, era Tommaso come non lo aveva mai sentito e come lo aveva sempre intuito, e Francesco non avrebbe dovuto, non avrebbe voluto, ma quella voce aveva iniziato a disegnargli dietro le palpebre delle immagini, immagini precise, dettagliate, di Tommaso, Tommaso nudo, Tommaso nudo piegato sul letto, la schiena inarcata, Francesco non si era mai segato pensando a una schiena, e non avrebbe dovuto, ma lo voleva, lo voleva così tanto, voleva quella schiena, voleva Tommaso nudo, Francesco aveva aumentato il ritmo, masturbandosi sempre più velocemente, abbandonandosi completamente alla voce di Tommaso che saliva, e gli si conficcava nella pancia, e gli colava dentro, e lo riempiva.
Tommaso nudo, Tommaso inerme, costringerlo a piegarsi in avanti, premergli la faccia contro al materasso, Francesco non avrebbe dovuto, non avrebbe voluto, ma non riusciva a pensare ad altro, solo ad afferrargli il culo tra le mani, a sprofondargli dentro, gli pareva di riuscire a sentire la pelle dei suoi fianchi sotto le dita, il suo odore, la sensazione di muoversi dentro di lui, di sentirlo attorno, Francesco si era lasciato sfuggire un grugnito, e poi un altro, sentendoli fondersi con i gemiti di Tommaso.
Non avrebbe dovuto, non avrebbe voluto, ma riusciva solo a pensare di averlo nudo davanti a sé, e di scoparlo, scoparlo forte, fortissimo, così forte da farlo urlare, così forte da farlo pregare, la sua mano si muoveva sempre più veloce, ma non era la sua mano, era Tommaso, era Tommaso, era dentro Tommaso, era lui che Tommaso implorava, era lui che scopava Tommaso, era lui che lo faceva godere in quel modo, era lui che gli spezzava il fiato, che gli impediva di parlare, era lui.
Gli occhi chiusi, Francesco si era masturbato a due mani, immaginandosi Tommaso nudo, piegato sul letto, Tommaso che lo guardava da sopra una spalla, Tommaso che si mordeva le labbra per non urlare, Tommaso che veniva, Tommaso che emetteva quei suoni strozzati, Tommaso che lo stringeva dentro di sé, ancora, e ancora, fino a farlo esplodere, immaginandosi l'eco delle loro voci che si perdeva negli angoli della stanza.
Non avrebbe dovuto, non avrebbe voluto, ma immaginandosi dentro di lui, ancora dentro di lui, ancora dentro Tommaso, a baciargli dolcemente la schiena sudata, Francesco aveva sorriso piano.
Aveva sorriso felice.
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Tutt'al Più
FanfictionQualche volta penso di tornare da te, e se non l'ho ancora fatto non è perché l'amore sia finito. Io ti amo ancora. Non l'ho fatto solo perché... Perché ho paura di trovarti cambiato.