I.

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Il sole stava pigramente tramontando dietro gli alti alberi che circondavano il campo di atletica e irradiava di una calda luce rossastra la pista da corsa, tramutandola in una distesa di lava infuocata.
O almeno, Thomas la percepiva così.
Ormai era quasi al suo ventesimo giro di campo e, neanche a dirlo, la stanchezza iniziava a farsi sentire dopo un pomeriggio intero passato ad allenarsi assieme al Club di atletica. I suoi compagni erano già andati via da un pezzo, ma lui era rimasto per esercitarsi ancora un po': dopotutto era l'ultimo arrivato e sentiva il bisogno di mettersi in pari con gli altri.
"Ancora 5 giri Thomas," pensò cercando di farsi forza, allungando il passo per lo sprint finale. Ad un certo punto però, una morsa di dolore gli trafisse la gamba, facendolo arrancare ed inciampare sui suoi stessi piedi: il ragazzo fece un volo di mezzo metro e ruzzolò faccia a terra, sfregando la guancia sul terriccio da corsa.
"THOMAS!"
Ebbe giusto il tempo di sentire un voce urlare il suo nome, prima che tutto intorno a lui si facesse buio.

Qualche settimana prima...

"Ragazzi, vi presento il vostro nuovo compagno di classe: Thomas Edison."
Thomas era un ragazzo come tanti altri: fisco nella norma, capelli e occhi scuri, alto il giusto. Sarebbe potuto passare inosservato tra mille, ma qualcosa nel suo modo di fare lasciava intendere che lui non era affatto uno dei tanti.
Newt alzò svogliatamente gli occhi dagli appunti che aveva sul banco e rimase ad osservarlo, soffermandosi sul suo viso. Percepì da subito un moto di simpatia verso il nuovo ragazzo che non riuscì a spiegarsi, né allora né in seguito.
Thomas rimase in silenzio per qualche secondo, indeciso sul da farsi. Avrebbe dovuto presentarsi? Forse i suoi nuovi compagni si aspettavano che raccontasse qualcosa di sé? Passò velocemente in rassegna ai loro visi: tutti lo stavano squadrando da capo a piedi.
"Ehm..." si schiarì la voce, poi iniziò a parlare incerto, "piacere di conoscervi. Mi chiamo Thomas, mi sono appena trasferito in città con i miei genitori e..."
"Via, via... per ora basta così. Potrai fare conoscenza con i tuoi compagni durante il tempo libero," lo interruppe il professore, facendoli segno di prendere posto, "non abbiamo tutta la mattina e la chimica non può aspettare! Ora prendi posto, in modo che tu e i tuoi compagni possiate aprire il libro a pagina 294."
Thomas cercò con lo sguardo un posto libero e notò che un ragazzo dai tratti asiatici gli faceva segno di sedersi accanto a lui.
"Piacere di conoscerti, Thomas," lo salutò in un sussurro, quando lui ebbe preso posto, "io mi chiamo Minho...e quello alla tua sinistra è Newt."
Il ragazzo si voltò a guardare l'altro suo vicino di banco: era un tipo alto e snello, dai capelli biondicci. I suoi penetranti occhi scuri erano fissi su di lui e gli stava rivolgendo un sorrisetto ironico. Thomas sostenne per un po' il suo sguardo, cercando di decifrare che tipo di persona fosse, poi decise di ricambiare il suo sorriso.
"Ciao, piacere di conoscerti... Conoscervi," si corresse, tornando a guardare Minho.
"Voi tre laggiù, silenzio! Thomas, non costringermi a metterti in punizione il primo giorno!"

La prima settimana di scuola passò lentamente.
Dopo i primi giorni, la curiosità verso Thomas da parte dei nuovi compagni di scuola andò affievolendosi. Anche Minho e Newt, che erano stati così gentili da farlo sedere tra di loro, sembravano freddi e disinteressati a fare nuove amicizie. Minho era il capitano del Club di atletica e passava tutto il suo tempo libero al campo d'allenamento: sembrava non facesse altro. Newt, invece, faceva parte del Club di artigianato ed era impegnato in un progetto che lo costringeva a passare in laboratorio persino le pause pranzo. A parte loro due, con cui Thomas aveva avuto occasione di scambiare a malapena qualche battuta durante le lezioni ("Minho, puoi prestarmi il temperino?" "Certo, tieni"), gli altri suoi compagni di classe sembravano già aver formato diversi gruppetti e nessuno aveva voglia di includerlo.
Così, Venerdì pomeriggio, Thomas si ritrovò seduto al tavolo della mensa tutto solo. Stava finendo il suo piatto di spaghetti sfogliando svogliatamente un libro di letteratura, quando una voce attirò la sua attenzione: "Ciao, è libero questo posto?".
Una ragazza dai lunghi capelli corvini e la pelle candida come la neve, lo stava fissando titubante con due grandi occhi color zaffiro.
"Oh, certo... prego," rispose, spostando lo zaino dalla sedia accanto alla sua, "io sono Thomas."
"Grazie Thomas. A quest'ora la mensa è sempre piena zeppa," la ragazza prese posto accando a lui, sistemando il vassoio con il cibo "io mi chiamo Teresa, piacere di conoscerti. Sei nuovo? Non ti avevo mai visto prima."
"Sì, sono...beh, ho iniziato lunedì. Mi sono trasferito qui con la mia famiglia."
"Anche io sono nuova... relativamente. Abito qui da poco più di sei mesi. Ma, come puoi notare, nonostante sia qui da più tempo di te, sono nella tua stessa situazione: non ho nessuno con cui condividere la pausa pranzo. Evidentemente le persone socievoli scarseggiano da queste parti," rise, "però è bello avere qualcuno con cui parlare, ogni tanto."
Thomas la trovava già simpatica.
La pausa pranzo passò in modo piacevole, Teresa spiegò lui varie cose della scuola, lo informò sugli ultimi pettegolezzi e lo mise in guardia sul brutto caratteraccio del prof di chimica.
"Con lui non si scherza. Mai."
Rise, muovendo la forchetta a mezz'aria, "Signor Edison, la chimica è una cosa seria!" lo imitò con voce seccata.
"La prenderò in parola, Signor White," rise anche lui, stando al gioco.
"Ehi voi due," un ragazzo seduto dietro di loro alto e muscoloso, dalla carnagione scura, li interruppe, con un'espressione accigliata, "se dovete imitare i prof, assicuratevi almeno che loro non siano nei paraggi," li ammonì, accennando poi al prof in questione, seduto dalla parte opposta della mensa.
"Altrimenti poi chi lo sente quello. Non sapete quante volte viene a lamentarsi con noi membri del Consiglio di Istituto" borbottò afferrando il proprio vassoio vuoto e alzandosi.
"Certo Alby, faremo più attenzione," si scusò Teresa, versandosi un po' d'acqua, "devi ammettere però che è un tipo di prof facile da prendere di mira".
Alby non rispose e si limitò ad accennare un sorriso sbilenco, prima di andarsene.
"Chi era quello?" domandò Thomas, seguendolo con lo sguardo.
"Ah! Alby, un ragazzo dell'ultimo anno, presidente del Consiglio d'Istituto... Un pezzo grosso insomma," rispose lei, "Allora, Tom, credo dovremo sbrigarci, la pausa pranzo è già finita da dieci minuti."
"...Cosa?!"

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