Prima parte- Anima punk, occhi di Peter Pan

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Appoggiò la testa al finestrino di quel trabiccolo che i suoi genitori si ostinavano a chiamare auto, quell'affare era vecchio di dieci anni come minimo, e non era per nulla invecchiato bene. L'automobile continuava a dare segni di cedimento ogni istante che passava, ad iniziare dall'orribile rumorino metallico che si faceva mano mano sempre più forte ad ogni buca o dosso che prendevano, la strada non era delle meno accidentate, forse era lui viziato e abituato a strade perlopiù lisce. I sedili posteriori erano duri come pietra, e poteva contare due buchi grandi nel rivestimento, dai quali uscivano pezzi di spugna gialla un po' strappati, come se qualcuno prima di loro oltre ad avere provocato gli strappi avesse anche continuato a peggiorare il danno strappando pezzettini di spugna. C'era un ultimo buco, più piccolo e meno evidente, questo era posizionato proprio fra le sue gambe e, forse imitando chi aveva abitato quell'auto, preso dalla estrema noia di quel lungo viaggio iniziò a giocherellarci ed a strappare delle piccole palline di spugna che gettava attentamente ai suoi piedi.
Ulteriore difetto di quell'auto che pregava solamente di essere rottamata era che proprio il finestrino posteriore del lato destro, ovvero il suo, non si poteva aprire, quindi doveva soffrire il caldo e i raggi del sole pomeridiano amplificati dal vetro che non si sarebbe mai abbassato. Aveva pensato che suo fratello sapendo questo dettaglio di proposito avesse scelto l'altro lato, ma aveva abbandonato ogni congettura, non aveva né la voglia né le forze di pensarci. Quell'auto verde abete suo padre l'aveva noleggiata con assai entusiasmo, spinto dal bassissimo prezzo, ma con il senno di poi quel prezzo era più che giustificato.
I raggi del sole gli bruciavano quasi sulle gambe che erano coperte solo dai dei pantaloncini che quando si sedeva gli arrivavano un po' più sopra il ginocchio. Era conscio che il sole fosse un'unica stella, uguale per tutti e ovunque, ma era più che certo che il sole dell'Italia fosse dannatamente forte, almeno in quei mesi, e forse Mikey aveva davvero scelto di proposito quel posto a sedere dato che lui era l'unico a cui arrivava il sole mentre suo fratello se ne stava a sonnecchiare all'ombra.
Sua madre stava canticchiando una canzone italiana con parole che arrancavano un po', il suo italiano era un po' arrugginito ma continuava a cantare, magari inventando parole nuove, perché era di buon umore. Tornare nella sua Italia e passare le vacanze qui con una sua grande amica era quello che chiedeva ogni anno, e quest'anno, merito delle lunghe ferie prese da suo marito era riuscita finalmente a partire, seppur in disaccordo con i due adolescenti che si portava dietro. Gerard voleva solamente passare la sua estate come sempre: casa, disegni, lavoro estivo in fumetteria, musica e magari uscire un po' con quel paio di amici che aveva. Invece a Mikey più che altro non importava, certo viaggiare in Europa era sicuramente qualcosa che tutti i suoi coetanei avrebbero apprezzato, ma a lui bastava che gli amici di sua madre non fossero invadenti e gli lasciassero fare quello che preferiva.
«Non vi capisco» annunciò Gerard nei confronti di entrambi i genitori, ma in particolare di sua madre, la vera responsabile di quel viaggio. «Cosa c'è ora?» domandò con fare troppo esasperato, Donna sapeva già cosa avrebbe detto suo figlio però sperava che si riferisse ad altro. «Vi sareste potute vedere ogni volta all'anno, facendo solo poche ore di auto, eppure no, dovevamo per forza venire da loro in Italia per passarci l'estate» disse continuando a tenere la testa corvina poggiata all'unico finestrino rotto. «Te l'ho già spiegato, lo sai il perché e non te lo ripeterò» era sorprendente quanto suo figlio, sebbene dall'aspetto calmo e a tratti schivo, potesse diventare così fastidioso e infantile. Quelle due donne, sua madre e Linda, avevano il più pessimo dei tempismi, secondo Gerard. Avevano vissuto per anni a poche ore di distanza ma avevano scelto di passare delle settimane di vacanza insieme solo quando la famiglia Iero si era dovuta trasferire in Italia, lì dove appartenevano, così come ci apparteneva sua madre.
«Io non capisco te Gee» esordì Mikey che si era messo dritto sui sedili e aveva aperto gli occhi, «Tutti i nostri amici ci invidiano per questa vacanza e tu non fai altro che lamentarti». Gerard voleva controbattere dicendo che non era vero perché non avevano amici, e comunque quei pochi presenti nella lista erano rimasti piuttosto indifferenti secondo lui, ma non ne ebbe il tempo. «E non provare a smentirmi, sai benissimo che ci invidiano almeno un po'», doveva ammettere che non aveva tutti i torti, «Continua a lamentati e lo apro con la tua testa quel finestrino» detto ciò tornò a sonnecchiare incrociando le braccia al petto e scivolando leggermente sul sedile. Calò il silenzio nella macchina escludendo la radio che continuava ad andare con parole sconosciute a tutti a parte che alla signora Way. Donald nel frattempo, alla guida, mentre cercava di ignorare i soliti battibecchi, continuava a pensare che in fondo avesse fatto un affare con quell'auto.
Miracolosamente arrivarono a destinazione senza fare alcun incidente e con il trabiccolo ancora tutto intero, o almeno non avevano perso pezzi durante la strada. Il loro non era stato un viaggio breve, ci era voluto un bel po' di tempo per raggiungere quel paesino dimenticato da Dio che tutto sommato era vicino alla città, però ne era valsa la pena. Appena scesero dall'auto tutti rimasero affascinati dalla bellezza dell'ambiente circostante. La casa che gli Iero avevano per le vacanze era una villetta su due piani piuttosto antica, ma tenuta in maniera superba. Era completamente bianca ad eccezione per le finestre e per le porte, queste erano in legno dipinto di giallo. Il tetto spiovente aveva delle tegole di terracotta che sicuramente all'inizio doveano essere di un bel rosso acceso, ma col tempo questo si era trasformato in un marroncino piuttosto triste, era l'unica cosa che cozzava. L'intera villetta era contornata dal verde, si trovava lontana dalle altre abitazioni, e con pochi passi si poteva raggiungere sia la pineta che la spiaggia. Gerard si perse ad ammirare quella casa e il bizzarro colore scelto per porte e finestre. Notò come una pianta rampicante di un verde acceso si impossessava di una piccola parte della facciata principale e come questa non risultava fuori luogo, ma perfetta posizionata lì. A guidarli alla porta d'ingresso c'era un vialetto di ciottoli che dovevano essere sicuramente dolorosi da attraversare a piedi scalzi, ma risultavano piacevoli sotto le suole di un paio di scarpe. La porta gialla si aprì di scatto quando ancora distavano qualche passo dal suonare al campanello. Ne sbucò una donna dai capelli corvini legati in una crocchia disordinata, c'erano ciocche che fuoriuscivano. Quella acconciatura, unita all'outfit piuttosto casalingo, dava l'impressione che fosse stata interrotta nel bel mezzo delle faccende. La donna, sicuramente Linda, si trovò a pensare Gerard, li accolse con un enorme sorriso in volto e abbracciò con foga Donna, la quale non esitò neanche un attimo nel ricambiare l'abbraccio. «Entrate, prego» disse la donna appena l'abbraccio si fu sciolto, e iniziò a fare strada dentro l'abitazione, questa volta il colore predominante era il marroncino dei mattoni che in qualche modo veniva riflesso nelle pareti bianche, il mobilio era antico, e la maggior parte dei mobili erano in legno. «Scusate le condizioni» Linda indicò il modo in cui si era vestita, cercando poi di sistemare le ciocche ribelli, «Ma stavo sistemando la vostre camere da letto» fece un cenno col capo al piano superiore. Gerard insieme a Mikey guardò in direzione delle scale e sperò di non condividere camera sua con nessun altro oltre Mikey; Mikey invece sperava in un bagno personale, ma constatando l'anzianità della struttura non ci mise neanche la mano sul fuoco. «E Anthony, che fine ha fatto?» domandò Donald mentre continuavano a seguire il breve tour della casa. Avevano visto tutto quello che c'era da vedere al piano inferiore, in fondo non c'era poi molto: una cucina ampia e ariosa, sala da pranzo, salotto che fungeva anche da ingresso, bagno di servizio di cui avevano visto solo la porta e non ci erano entrati, e la porta finestra che dal soggiorno portava al giardino posteriore. «È andato in paese a fare la spesa per la cena e si è portato insieme Frank» disse la padrona di casa mentre li invitava a salire le scale. Negli occhi della signora Way si accese una luce che era fatta di ricordi «Come sta il piccolo Frankie?» domandò mentre visitavano le varie camere da letto e scoprivano dove erano posizionate le proprie. «Non più tanto piccolo» ridacchiò, «Ha la stessa età di Mikey, sedici anni». A Gerard tornò in mente l'immagine di un bimbo di cinque anni, mentre lui ne aveva sette, con il quale aveva passato, insieme a Mikey, molti pomeriggi, quando ancora le due donne si incontravano regolarmente. Si ricordò dei suoi capelli molto scuri perennemente spettinati, di un sorriso che la prima volta aveva trovato inquietante, della vita e voglia di giocare che aveva in corpo, il che lo rendeva un casinista di prim'ordine; e del fatto che l'ultima volta che si erano visti, Gerard avrà avuto intorno ai nove anni, gli aveva rubato un pupazzetto di Batman. Gerard non era un tipo rancoroso, alla fine andava avanti per evitare di farsi il fegato amaro per ogni stupidata, ma quel pupazzetto non l'aveva mai dimenticato, sua madre gli aveva sempre detto di averlo perso, ma lui sapeva chi era il responsabile dalle mani lunghe. «Questa è la vostra camera, purtroppo la dovrete dividere in tre, però è molto grande, quindi non credo sarà poi un gran problema, giusto?» domandò Linda guardando i due fratelli i quali vennero investiti da un severissimo sguardo della madre che diceva chiaramente "Non provate neanche a lamentarvi! Siamo ospiti, e a voi la stanza va benissimo!". I due annuirono sorridendo e Linda gli informò che l'unico letto a stare solo era di Frank, che quindi gli altri e due singoli posti di fronte a quello erano i loro. Uno era vicino alla finestra e l'altro vicino alla porta, entrambe via di fuga, pensò Gerard che stava valutando di quale dei due rivendicare la proprietà, ma in caso di caldo estremo la finestra sarebbe stata più utile.
Linda una volta finito il tour abbandonò lui e Mikey a sistemare le loro cose mentre lei tornava al piano inferiore per parlare dei vecchi tempi con i suoi genitori difronte ad un buon caffè, anche Gerard aveva chiesto un po' di caffè per rendersi più attivo, ma la richiesta venne bellamente ignorata dagli adulti, presi com'erano dalle chiacchiere.
Mikey se ne stava sul suo letto ai piedi del quale giaceva una valigia sfatta per metà. Il giovane aveva davvero tutta la buona volontà di disfare le valige e riporre in maniera ordinata gli indumenti nella parte dell'armadio riservata a lui, ma il caldo, la stanchezza dovuta al viaggio, e un Gerard che tra una maglietta e un costume da bagno borbottava su come non gli andava di dividere la stanza con uno sconosciuto che da piccolo gli aveva rubato il suo Batman gli avevano fatto passare la voglia. Così era finito sul suo letto a fissare svogliatamente il soffitto, sapendo che sua madre l'avrebbe ammonito per non aver sistemato e aver lasciato tutto in mezzo. Gerard la valigia l'aveva completamente disfatta pur di distrarsi dato che non aveva neanche ottenuto una misera tazza di caffè. Ora stava seduto sul letto, chino sulle sue ginocchia a disegnare sul suo blocco quello che la musica del suo walkman gli suggeriva. Stava disegnando una cattedrale in quello che provava ad essere uno stile gotico. I tratti decisi mostravano guglie altissime e imponenti, un rosone posto al centro della facciata con i disegni delle vetrate abbozzati, ai lati della cattedrale troneggiavano dei gargoyle; Gerard non era sicuro che quella cattedrale avesse tutti i particolari di un solo stile, aveva scelto di rappresentare solo quello gotico, ma d'altronde tutto fa brodo. Le cuffiette ben serrate sulle sue orecchie, lo faceva ogni volta che voleva migliore il suo umore, un po' di musica, una matita fra le dita e un foglio bianco pronto ad essere imbrattato da segni di grafite. Era talmente chiuso nel suo piccolo mondo di felicità momentanea che non si era reso conto di nulla finché non vide una mano bussare sul suo blocco da disegno. Gerard, certo che quella non fosse la mano di Mikey, alzò di scatto il volto e si rimise dritto sulla schiena, due occhi che giocavano tra il verde e il nocciola stavano spalancati mentre cercavano di catturare più informazioni possibili dalla bassa figura. La figura stava facendo segno al più grande di abbassarsi le cuffie mimando il gesto lui stesso. Gerard colse il suggerimento dopo un istante, e ancora dopo vide che Mikey mancava nella stanza, si sfilò le cuffie ma lasciò la canzone andare avanti. «Bei gargoyle» gli disse con un sorriso stampato in volto, aveva entrambe le mani infilate nelle tasche dei jeans strappati, fece un cenno col capo al suo disegno. «Ti ricordi di me? Sono Frank», continuava a tenere il suo sorriso ampio che iniziava a infastidire Gerard. L'unica cosa che gli voleva dire era che sì, si ricordava di lui, ma ancora meglio del suo dannatissimo Batman, ma si trattenne, per il quieto vivere avrebbe anche aspettato qualche ora, ma prima o poi avrebbero fatto i conti. «Sì, all'incirca» lui non aveva ricambiato il sorriso, oltre a non averne voglia, non era un tipo che sorrideva così tanto a gente che a stento conosceva. La conversazione si concluse lì, non sembrava che Gerard avesse ucciso il buon umore del giovane, semplicemente aveva fatto a pezzi e sventrato come un vero serial killer la conversazione dando una risposta secca e fredda. «È pronto!» la voce di Linda riuscì ad arrivare forte e chiara persino al piano superiore, Gerard iniziò a pensare a quanto tempo fosse passato perché avessero preparato la cena con il cibo che in teoria aveva portato Frank con suo padre, però non ci pensò molto dato che in fretta si alzò e seguì Frank per raggiungere il piano inferiore. «Prima gli ospiti» disse Frank con il solito sorriso che stava dando sempre più sui nervi a Gerard.
La cena si stava svolgendo all'aperto, nel giardino nel retro della villetta, un altro piccolo angolo di paradiso adornato da alcune candele che davano atmosfera. A capo tavola si trovava il signor Iero che aveva accanto sé da un lato Donald con il quale stava parlando di roba inerente allo sport o forse al lavoro, stavano parlando troppo fitto tra di loro per riuscire a penetrare nella conversazione. Accanto a Donald c'era Donna con al suo fianco Linda con la quale stava rievocando vecchi ricordi ormai passati da anni ma ancora vividi nella memoria di entrambe, ogni volta che riuscivano a vedersi di persona passavano una grande prima parte del loro tempo a ricordare, poi il restante a creare nuovi ricordi. All'altro capo del tavolo c'era Frank che non stava parlando con nessuno, dato che accanto a lui era capitato Gerard e che questo preferiva di gran lunga rivolgergli delle occhiate furtive e poi parlottare con Mikey; questo non gli dava fastidio, sapeva che era solo questione di tempo e anche Gerard si sarebbe aperto con lui. Il Più grande dal canto suo scambiava delle parole con suo fratello solo per non destare sospetti, perché si era reso conto lui stesso di stare letteralmente fissando Frank, ma era più forte di lui, voleva cogliere ogni dettaglio, voleva vedere cosa era cambiato e cosa era rimasto uguale in circa dieci anni in cui non l'aveva visto. I capelli continuavano ad essere spettinati, cercavano di dare un parvenza di ordine sul davanti ma la nuca era un insieme unico di scompiglio e caos; il sorriso che a tratti da piccolo lo aveva inquietato era rimasto tale, sempre fisso sulle sue labbra rosee e dall'aspetto morbido; la pelle era candida, e gli occhi restavano del solito color nocciola. Il suo non era più un volto infantile anche se ne conservava alcuni tratti, come la spensieratezza e l'allegria, oppure lo sguardo che sembrava essere rimasto intrappolato in una eterna fanciullezza. A tratti gli ispirava tenerezza, e doveva proprio ammetterlo, era cresciuto bene, era davvero bello. Anche Frank si era concesso di guardare Gerard ed era rimasto così come lo ricordava, un po' chiuso, una pelle pallida da far invidia ad un vampiro, gli occhi che sfumavano tra il verde e il castano, della labbra sottili; l'unico aspetto che era cambiato erano i suoi capelli, ora li portava più lunghi e corvini. Nel complesso era sempre lo stesso, era rimasto sempre bello come se lo ricordava da piccolo. Una forchetta tintinnò su di un bicchiere pieno per metà di vino, era Donna che cercava di attirare su di sé l'attenzione di tutti. «Volevo solo ringraziarvi» si stava rivolgendo principalmente agli Iero, «Per la vostra ospitalità, davvero grazie, non voglio neanche pensare a quando dovremo ripartire» aveva decisamente bevuto più del solito, e la teatralità in occasioni del genere non le mancava affatto. «E voi» indicò i due figli, «Comportatevi bene con Frank, soprattutto tu Gee» lo indicò minacciosa con la forchetta che aveva ancora in mano. Frank rise ascoltando quelle parole e Gerard arrossì un po'. Linda cercò di farla sedere prendendola per un braccio dacché si era messa in piedi per farsi ascoltare bene da tutti. «Aspetta!» disse nel tentativo di restare in piedi, «Ti ricordi come erano carini da piccoli che giocavano tutti insieme? Perché non possono tornare così, davano meno problemi ed erano così amici e sorridenti», in quel momento sembrava che la donna stesse per entrare in quella che era conosciuta come la "sbornia triste". «Amore su, andiamo a letto, hai bevuto abbastanza», la rassicurò suo marito prendendola in un abbraccio e poi iniziando a scortarla all'interno della dimora salutando gli altri commensali. Linda guardò la sua amica divertita poi iniziò a raccogliere i piatti vuoti, o quasi, dal tavolo impilandoli uno sopra l'altro. «Se volete potete andare a vedere un po' di televisione» disse ai ragazzi che erano rimasti seduti con le mani in mano. Anthony si alzò ed iniziò ad aiutare sua moglie appoggiandola nella sua affermazione, «Sì, non preoccupatevi, andate pure». Gerard li guardò un po' poi scambiò uno sguardo d'intesa con suo fratello e disse: «In realtà preferisco andare a letto». «Anch'io» disse Mikey alzandosi da tavola, suo fratello fece lo stesso e con un sorriso di circostanza ringraziò per la cena e per tutta l'ospitalità in generale. I due si avviarono all'interno della casa su per le scale, invece Frank si fermò un po' di più a tavola per scambiare un paio di parole con sua madre. «Sono cresciuti bene, vero? Sembrano molto a modo» disse mentre piegava tutti i tovaglioli e li metteva insieme, suo marito nel frattempo stava portando le stoviglie in cucina per metterle nel lavandino. «Sì, sono proprio cresciuti bene, sarà una bella estate» disse pensando al fatto che avrebbe potuto passare un'intera vacanza accanto a Gerard, era sempre rimasto nei suoi pensieri come quel bambino simpatico e tanto carino. «Lo spero, questa vacanza serve proprio a questo» disse, «Ora vai a letto anche tu, non restare l'unico sveglio».
Nella camera dei tre ragazzi regnava un silenzio che veniva spezzato solo dai loro respiri. Mikey si era addormentato presto, appena aveva trovato una posizione comoda era subito caduto fra le braccia di Morfeo, stanco com'era dal viaggio non voleva fare altro che dormire da tutto il giorno. Gerard invece aveva dovuto lottare un po' di più, nonostante avesse sonno, sentisse le palpebre pesanti e gli occhi bruciassaro, il cervello macinava troppo per consentirgli di riposare. Pensava a tutta la giornata, a partire dal viaggio fino ad arrivare all'incontro con la famiglia Iero che non vedeva da anni, in particolare modo con Frank. Gli era parso particolare dal primo istante in cui l'aveva rivisto e poteva giurare che lui lo guardasse in modo strano, diverso. Nonostante questi pensieri di un adolescente che da poco aveva scoperto il suo orientamento sessuale la stanchezza ebbe la meglio e dopo poco la mezzanotte si era addormentato. Ora Gerard era in quella fase del sonno in cui era facile svegliarsi. Frank invece non aveva voglia di dormire, voleva parlare con qualcuno, Mikey o Gerard, molto più preferibilmente Gerard. Gli era sempre piaciuto, però non pensava che lo avrebbe mai rivisto, quindi i suoi erano solo pensieri e speranze che aveva messo da parte. Ma ora che lo aveva a vivere con sé per delle settimane pensava che quei suoi desideri forse si sarebbero potuti avverare. Ragionando perché non avrebbe potuto avere delle possibilità? C'era il cinquanta percento di possibilità che fosse etero, ma anche il cinquanta percento che fosse gay, e poi aveva visto come gli aveva tenuto gli occhi addosso per tutta la cena. Lo guardò un attimo, il suo volto era leggermente illuminato dalla luce della luna, abbracciava il suo cuscino con un'aria calma in volto. Ci pensò un attimo, il letto era vicino a quello di Gerard quindi anche con una mira pessima difficilmente l'avrebbe mancato. Si sfilò la maglietta di dosso, l'appallottoló fra le mani e miró il volto di Gerard e la lanciò. Accompagnò il suo tiro sussurrando il suo nome, non voleva svegliare anche Mikey. Il maggiore si voltò mugolando dei versi infastiditi, cercò di non svegliarsi e di ignorare ogni fastidio, ma Frank non si diede affatto per vinto. «Gerard» disse mentendo lo stesso tono, ma nulla, «Gee svegliati» alzò un po' la voce e il ragazzo alzò di poco la faccia guardandolo assai contrariato, «Stavi dormendo?» domandò facendo il finto tonto. Si beccò un'occhiataccia da Gerard che si era messo lentamente con fatica seduto, tanto era addormentato che neanche aveva notato che l'altro stava a petto nudo. «Stavo» disse con la voce impastata dal sonno, «Cosa vuoi?». Frank sorrise, questo avrebbe infastidito Gerard forse, ma era troppo assonnato per farci caso, «Nulla, volevo solo parlare, come ti pare l'Italia per ora?» domandò. Lo guardò per un attimo contrariato, se prima di addormentarsi ai suoi occhi aveva acquisito qualche punto ora li aveva persi tutti, a chi diavolo veniva in mente di fare certe chiacchiere frivole a mezzanotte e mezza? «Sei serio?» lasciò una breva pausa alla sua domanda retorica, «Bella, mi sembra bella» affermò scontroso, ma sempre a bassa voce, «Seriamente mi hai svegliato per questa domanda?».
«Mi andava di parlare un po'» si scusò, non voleva fare arrabbiare Gerard anche se era divertente vederlo un po' alterato. «Va bene» si calmò, non valeva la pena perdere le staffe. Frank approfittò di quel silenzio per porgli una domanda: «Ti ricordi di quando da piccoli giocavamo insieme? Era davvero bello e divertente». Gerard prese subito la palla al balzo per risolvere una questione che si portava dietro da troppi anni, «Sì, mi ricordo una giornata in particolare. Stavamo giocando a casa tua, io avevo portato il mio Batman e da quella casa non è mai più uscito» affermò mentre si toglieva quel peso di dosso. Sul viso del minore si formò un sorrisetto divertito, quel Batman se l'era tenuto lui perché prima di tutto Gerard si era dimenticato e poi gli piaceva tenere qualcosa che gli ricordava il suo amico preferito. «Te lo ricordi ancora? Ce l'ho a casa in città, se vuoi un giorno di questi andiamo e te lo restituisco» rise leggermente sotto i baffi. «Lascia perdere» mandò via il discorso con un cenno della mano. Per un lasso di tempo non decifrato i due stettero in silenzio a guardare il nulla. Con lo sguardo fisso nel vuoto Gerard pronunciò: «Posso farti una domanda?» visto che si trovavano tanto valeva sfruttare quel momento di "insonnia". Frank acconsentì con un cenno del capo e allora Gerard disse: «Ti manca New York?». Frank era pronto a rispondere, non era una cosa su cui pensarci su, sapeva perfettamente la risposta.
«La finiamo con queste confessioni? Sto cercando di dormire. Domani avrete tutto il giorno, buona notte», Mikey non diede possibilità di replica dato che si girò dall'altro lato e si mise con la testa sotto il cuscino. I due ancora svegli si guardarono scambiandosi uno sguardo imbarazzato ma divertito. Il primo sorriso sincero che Gerard gli aveva rivolto, pensò Frank. «Domani ti rispondo, buona notte», il maggiore era pronto a replicare quando venne interrotto, «Domani si va al mare, quindi svegliati presto» gli raccomandò, si voltò e si mise disteso a dormire, lo stesso fece l'altro poco dopo. L'intera casa finalmente era addormentata.

It's a Good Day // FrerardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora