29 | Un funerale amaro

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La morte. La morte di una persona a noi cara. Un qualcosa di effimero che pensiamo non ci tocchi mai davvero, fino a quando non capiamo di essere alla fine della nostra vita o di fronte a un qualcosa che è decisamente più grande di noi. Eppure è l'unica certezza che abbiamo, non appena nasciamo. Triste, non trovate?

Prima una, poi due, tre, quattro e poi sempre più lacrime inondarono il mio volto. Tremavo come una foglia in pieno autunno, urlavo anche forse.
«Xeni.» Qualcuno chiamava il mio nome con dolcezza, ma non ci facevo molto caso. Il mio sguardo era fisso sulla pozza di sangue che si allargava a vista d'occhio. La voce gracchiante di Christopher mi graffiava le orecchie, come se stesse cartavetrando il mio timpano. Era ferito, steso a terra e probabilmente entro poco avrebbe anche perso i sensi data l'ingente quantità di sangue che stava perdendo a sua volta. Per sua fortuna ero troppo sconvolta per reagire d'istinto, perché diversamente...
«Xeni.» Quella seconda volta riconobbi la voce di Kang. Era dolce, soffice, come mai era stata prima di allora verso di me. E lì compresi che lo stava facendo apposta, mi stava parlando con gentilezza perché era in pena per me, per ciò che era successo, ma non doveva. Non avrebbe dovuto, io ero Xeni McAdams.
«No.» Fu l'unica sillaba che uscì dalla mia bocca e parve essere anche sufficiente. Non mi sarei ripetuta e lui lo sapeva bene. Con lo sguardo ancora fisso a terra, mossi prima un piede e poi un altro, avanzando verso il corpo esanime del mio mentore. Toni giaceva privo di vita, sul freddo pavimento della sua vecchia palestra, in una lercia pozza del suo stesso sangue, solo a qualche metro di distanza dal corpo dello stronzo che ancora sogghignava. Non era così che doveva andare.

Un sapore amaro, aspro, quasi vomitevole mi comparve in bocca. Ero disgustata da tutto ciò. Nemmeno all'interno della stessa organizzazione ci si poteva più fidare di un patto, di una parola data con una stretta di mano tra due persone d'onore. Nulla valeva più. In silenzio, mentre cercavo di non soffocare nel mio stesso dolore, estrassi il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans. Le mani non tremavano più, l'adrenalina stava iniziando a fare effetto. Lasciai scorrere gli occhi tra i vari contatti della rubrica fino a quando non trovai il nome desiderato, facendo poi partire la chiamata. Nulla valeva davvero più e io ero stanca, così maledettamente stanca di rispettare delle assurde regole del cazzo che nessun altro sembrava rispettare insieme a me. Aspettai pazientemente sospirando a ogni secondo che passava: uno, due, tre fottuti squilli a vuoto e poi una voce roca maschile che si annunciava con il suo semplice cognome per esteso.
«Hai fatto la tua mossa. Ora tocca a me e stai tranquillo che sarò io a seppellire il tuo cadavere.» Chiusi subito la chiamata, dopo aver minacciato senza il minimo terrore il solo ed unico Mike De Rossi, il capo mafia di tutto lo stato di New York.

Gli occhi dei miei uomini e di Kang-Li erano fissi su di me, aspettando una qualche reazione da parte mia. Sembravano anche sorpresi da ciò che era appena successo in quella squallida stanza e sapevo anche io perché. Sospirai ancora e, per un solo istante, mi concessi il privilegio di chiudere gli occhi. Faceva male, cazzo. Faceva un male cane.
«Ripulite questo macello.» Iniziai fredda, riaprendo gli occhi di scatto e fissando uno ad uno i miei uomini.
«Prendetevi cura del corpo di Toni come si deve. Ci sarà un funerale da celebrare.» Continuai apatica, cercando di non piangere più: ero sola. Ero di nuovo sola. Era tutto nelle mie mani e avevo una voglia assurda di fare un macello con tutto. Basta regole, basta rispetto, basta bugie, basta con tutto. Lo avevo fatto fino a quel momento e a cosa era servito? A niente. Avrei giocato con le mie sole regole da quel momento in poi e fanculo alle conseguenze. Ci avevo pensato per così tanto tempo che avevo addirittura perso me stessa.
«A lui ci penserà Rupert. Portateglielo vivo.» Con un cenno del capo indicai il corpo svenuto a terra di Christopher. Non avrei voluto mai più pensare a lui e, presto, sperai vivamente di poterci anche riuscire sul serio. Avrei voluto strangolarlo con le mie stesse mani in quel momento, ma non ne avevo il tempo. Avevo una vendetta apocalittica da organizzare.

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