32 | Epilogo - Il filo conduttore

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Non era quella la fine, era solo l'inizio. E l'avrei dimostrato a tutti chi ero. Avrei dimostrato che Xeni McAdams, la principessa di New York, non perde mai.

Nomi e ancora nomi. Solo nomi.
Karen Warren
The Author's
Il Mancino
Hector Rodriguez
Christopher
Mike De Rossi
Lucius
Toni
E ora anche...

Era solo una questione di tempo. Non ero arrivata fin dove ero, senza una buona dose di fortuna, mischiata ad altrettanta spregiudicatezza. Eppure quel nome non avrei mai voluto leggerlo nel fascicolo che mi fece recapitare l'agente Roberts quella mattina. Era stato uno shock, una vera sorpresa e, nel mio lavoro, essere sorpresi da qualcosa spesso porta anche alla morte. Ed io non ero ancora pronta a tirare le cuoia. All'inizio avevo chiesto l'intervento di un mio vecchio contatto, per indagare su tutti quei nomi che non sembravano minimamente collegarsi tra loro, ma che continuavano ad apparirmi distintamente nella mente. Non poteva essere un caso che tutti loro volessero ciò che era mio. Non poteva essere un caso che io fossi ancora viva, mentre due degli uomini che mi avevano giurato eterno amore fossero sotto metri di terra nel loro sonno eterno. Nulla di tutto quello era un caso e l'aver scelto poi l'agente Roberts per scoprire il filo conduttore era stata un'ottima scelta. Avere un aggancio di un certo livello nella polizia della città era importante in certi casi, in altri ti permetteva semplicemente di non avere regole e sapere quindi i segreti di tutti. E sapere i segreti dei miei nemici mi permetteva di dormire sonni decisamente molto più tranquilli. Lo scheletro nell'armadio di ognuno di loro era il nome della persona che avrei visto a breve e di cui mi sarei presa gioco. Il suo nome era marchiato a fuoco nella mia mente e presto il mio nome sarebbe diventato il suo peggiore incubo.

Stringevo ferrea un coltello a serramanico, rigirandolo tra una mano e l'altra, soppesando attentamente quelle che sarebbero state le mie prossime parole. Non mi spiegavo il perché di quell'ennesimo tradimento, volto solamente a dimostrare un qualcosa che non poteva essere possibile alla mia organizzazione. Fino a quando non avevo compreso chi c'era dietro. Strinsi le mani a pugno, facendo sbiancare le nocche e procurandomi un taglio sul palmo della mano a causa del coltello. Ci avevo impiegato un'ora soltanto a capire chi era l'artefice di quell'assurda ripicca. Il nome che tanto agognavo di avere lo avevo sempre avuto sotto al naso, perché trovavo che fosse impossibile che fosse davvero così, trovavo impossibile che fosse così semplice e banale. Eppure... Non aveva mai fatto dubitare della sua persona, risultando all'apparenza troppo sciocca, troppo trascurabile. Sempre sotto ai riflettori, ma mai nel posto sbagliato al momento sbagliato. C'era chi lo era stato al posto suo.

Chiamai Hector e il Mancino alla villa quel pomeriggio, dovevano esserci anche loro, anche loro dovevano vedere. Kang-Li al mio fianco, mi strinse una mano, prima di uscire e lasciarmi sola. Lucius era morto da appena dodici ore, ma la notizia si era diffusa a macchia d'olio. Per la prima volta, mi sarei presa la briga di pareggiare i conti da sola, senza l'intervento di alcun intermediario. Una goccia di sangue toccò terra, poi un'altra, cadendo su quel lurido pavimento della cantina. Il colpevole era seduto di fronte a me, con un cappuccio in testa e le mani legate dietro alla schiena da delle fascette. Pensai a quante volte avevo incontrato la persona responsabile di tutta quella merda, a scuola, nei freddi corridoi in cui tutto pareva essere il suo regno, almeno prima del mio arrivo all'Olympia High School. Sorrisi appena, ero stata imprudente a sottovalutarla, ma per fortuna, sapevo come essere sempre un passo avanti a chi voleva fottere ciò che mi apparteneva. Hector e il Mancino entrarono in quel momento nella stanza, richiudendo la pesante porta blindata dietro di loro con un tonfo sordo e a tratti inquietante. Con un cenno de capo, invitai uno dei due a togliere il cappuccio dalla testa della nostra ospite, il gioco finale stava per avere inizio.

«Labbra da canotto, alza lo sguardo verso di me.» Scherzai, facendo passare un dito sulla lama del coltello che stringevo. Una voglia frenetica di distruggere quel visetto perfetto mi assalì, costringendomi a rimanere a distanza. Non potevo permettermi alcun errore quel giorno e mai più.
«Avrei da farti qualche domanda, prima di ucciderti.» La schernì, sapendo di star assecondando quello che era stato il suo piano fin dall'inizio. Il nostro primo incontro tornava vivido nella mia mente, facendomi ricordare ogni singola parola detta da entrambe. L'agente Roberts aveva cantato come un usignolo quando gli avevo fatto avere un fascicolo contenente il nome e alcune informazioni della mia nuova amica del cuore Cheryl.
«Prima tra tutte: quanto ti è pesato fingere disinvoltura quando mi sbattevo il tuo ragazzo? O non c'è sempre stato qualcosa tra voi due?» Iniziai a girarle intorno. Lei non aveva paura di me ancora, ma presto ne avrebbe avuta. Molta. La lama fredda passava da una mano all'altra, sotto lo sguardo attento della mia ospite. Sapevo che quel gesto ripetuto ancora e ancora la faceva innervosire, quindi perché smettere?
«Seconda domanda: cosa si prova a pensare di avere tutto, quando in realtà non hai niente?» Mi fermai dietro di lei, facendo scorrere la lama del coltello sul retro del suo collo. Labbra da canotto trattenne un respiro. Non era da lei essere sotto torchio, ma piuttosto torturare gli altri. Sorrisi, alzando lo sguardo verso Hector e il Mancino. I loro sguardi erano già su di me e si domandavano cosa diavolo stessi facendo. Io? Mi stava solo divertendo un po'!
«Terza e ultima domanda: sai vero che questo è solo l'inizio?» Sussurrai al suo orecchio, piantandole il coltello nella coscia. Un urlo di dolore squarciò il silenzio della cantina, facendo sorridere soddisfatti i due uomini nella stanza, ma non me. Non era il dolore ciò che cercavo, era la vendetta per ciò che lei mi aveva tolto. E presto mi sarei vendicata su tutti loro. Tutti quanti, nessuno escluso.

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