𝟐𝟖 𝐍𝐨𝐯𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞 𝟏𝟗𝟓𝟗
La prima volta che mi parlarono di dissociazione non compresi a pieno ilsuo significato, ma alla fine fa parte della nostra quotidianità. È normalevivere questi piccoli momenti, può essere anche leggere un brano senza peròprestarci realmente attenzione e quindi ritrovarsi a rileggerlo. Perciòall'inizio non mi diede troppo fastidio, ma con il lungo andare divenne insopportabile. Il pensiero che della gente avesse abusato di me e che io nonricordassi nulla mi creava disagio, per quanto fosse leggero da sopportaresotto un certo aspetto. Mi capitava di risvegliarmi dopo un pomeriggio o unanotte di abusi in luoghi o posti diversi e non ricordare nulla. Il mio corporeagiva da solo a determinati commenti o parole, ma io non conoscevo il perchée il mancato controllo del mio corpo mi faceva sentire abbandonato ed inutile.La natura di certi miei ematomi mi era sconosciuta e lo sarebbe stata persempre finché avessi avuto memoria.
L'ultima volta che mi successe mi risvegliai avvolto da un tepore amorevole,caldo e familiare. I miei occhi si sentivano appesantiti e la mente rinnegavadi farmi ricordare dove fossi, con chi e perché. Il polso mi era trattenuto dauna stretta gentile, mentre una spugna accarezzava la pelle della mano. Losguardo si fermò proprio sull'oggetto: strisciava sulla mia pelle senzacattiveria, scrostava del sangue secco lungo le mie dita, le quali mossiappena, accennando quel movimento leggero per avvisare che mi ero risvegliato,per farmi lasciare andare, ma la mano non si degnò di fermarsi.
«Questa volta li hai menati.» mormorò una voce profonda dietro di me.
Mi accorsi solo allora di essere immerso in una vasca, appoggiato al petto delpianista, colui che mi stava pulendo dolcemente le dita intorpidite, le mielabbra erano bloccate nello stesso modo.
«Pensavo li avessi ammazzati quando ti ho trovato ricoperto di sangue. Se fossiarrivato poco prima sarei riuscito a coglierli in flagrante, perdonami.»
Di nuovo quella voce gentile che mi chiedeva scusa mentre mi coccolava la pelleferita, desideravo domandare come fossi giunto li, come mi avesse trovato, seero certo di essere rimasto in camera. Mi ricordai l'inizio di quel giorno ebasta, poi un mal di testa mi assalì, chiedendomi di fermarmi, di nondesiderare oltre a quel doloroso frammento di ricordo.
«Come mi hai trovato?» Domandai dopo lunghi istanti di silenzio, riempiti solodalle mani del ragazzo che accarezzavano il mio corpo con il sapone. Lo stessocorpo che, alle mani di Ethan, reagiva in modo diverso, non cercava di sfuggireo nascondersi; il tocco delle sue dita non scatenava nessuna reazione disperatae dolorosa, era gentile, mi accoglieva e lasciava che i miei muscoli sifidassero di lui, del suo profumo e morbidezza.
«Volevo portarti al museo.» Iniziò a raccontare con una motivazione innocua edun sorriso altrettanto innocente comparve sul mio viso.
«Quando sono arrivato alla tua porta però l'ho trovata socchiusa. Quando sonoentrato avevo già inteso cosa fosse accaduto, la condizioni in cui ti avreitrovato. Mi sono sorpreso a vedere del sangue, si vede che hai reagito e li haimenati un po'.» Mi lasciai sfuggire una risata a quella sua conclusione,assieme ad un paio di lacrime veloci.
«Scusami...» chiesi con voce fiacca, azzerata dal fiato corto che il dolore aipolmoni mi imponeva.
«Perché?»,
«Mi hai visto in quelle condizioni disgustose.»,
«Sono felice di averti visto così. Ho potuto controllare di persona le tueferite senza che mi nascondessi nulla, ti ho potuto curare. Sono felice tu nonabbia ferite gravi od ossa rotte.» Un bacio si adagiò sulla mia spalla, comesegno di consolazione e rassicurazione.
«Perché mi odiano?»
La domanda mi uscì a tono rotto, disperato quasi, accompagnato dalle primelacrime che uscivano da sole, come se niente fosse. Non ero più capace dicontrollare nulla nella mia vita.
«Perché fanno tutto questo? È forse il mio amore meno valido del loro? Chi loha detto...» il tono lamentoso iniziò a spezzarsi a causa dei singhiozzi, orail dolore si era espanso anche nell'aria della mia mente che controllavo.
«Quando odiamo qualcuno, odiamo nella sua immagine qualcosa che è dentro dinoi. Ciò che non è parte di noi non ci disturba.»
Le braccia del pianista avvolsero il mio petto e mi trattennero in un piccoloabbraccio. La mia schiena ricurva, appena tirata su, divenne l'appoggio per ilpetto di Ethan, il suo capo si sistemò di peso sulla mia spalla mentre le suemani restavano a consolare il dolore ancora intrappolato nel petto,fuoriuscente per dolorosi singhiozzi.
«Una volta mi hai detto che eravamo il riflesso l'uno dell'altro. Perciò proviodio verso di me?», la domanda era dolorosa da chiedere, non sarei mai riuscitoa sopportare il suo odio, il pensiero che lui potesse provare quel sentimentosgradevole verso di me.
«No, non direi.»,
«È un controsenso.»
«No. Siamo il riflesso l'uno dell'altro, vero, ma riflettiamo le nostremancanze, ciò che vorremmo scoprire più profondamente o che semplicementepotrebbe completarci. Siamo diversi in molti aspetti e va benissimo così. L'undall'altro possiamo solo che imparare alla fine, no? Non abbiamo nulla datemere.»
«Si teme lo sconosciuto.» E non poteva ribattere quell'affermazione universale,ne portavo i segni sul corpo e lui pure aveva conosciuto quella paura.
«Ma ancora di più ciò che si conosce. Si sa come reagirà e perciò si cercanosoluzioni, si ha l'ansia in molti casi perché si sa di non poterlo cambiare. Sottoquesto aspetto è meglio lo sconosciuto secondo me.»
Non volli discutere oltre, la testa mi faceva male assieme al resto del corpo enon ero nella forma migliore per discutere con Ethan di quelle questionisoggettive e importanti. Il fatto che l'odio rimaneva era una veritàintoccabile.
«A che museo volevi portarmi?» Sviai il discorso stufo, ma stranamenteriposato, scoprì solamente più avanti che, durante la mia dissociazione erostato in grado di muovermi e parlare, tanto da tornare a casa con Ethan, con lemie valige per vivere da lui, immergermi nella vasca e li riposare perun'oretta. Al mio risveglio avevo ripreso coscienza di me totalmente.
«Al Kunsthaus, ovviamente.»
«Ci sono già stato.» Interruppi la sua risposta troppo euforica.
«Beh, non credi che faccia bene rivedere alcune cose? È un po' come leggere unlibro dopo molto tempo, serve sempre perché mai si ricorda tutto.» Unpolpastrello di Ethan mi premette contro la fronte e potei percepire un suosorriso nascere sul viso.
«D'accordo.» Mormorai con un leggero broncio in viso, tale e quale ad unbambino infastidito da un'uscita costretta.
Non mi accorsi di quanto tempo spendemmo nella vasca da bagno, ma fuun'esperienza piacevole che mi allietò lo spirito per quel breve giorno.
Ci trovammo davanti all'elegante palazzo verso pomeriggio inoltrato, a detta diEthan ci sarebbe voluto poco per mostrarmi quello che desiderava ed io nonvolevo controbattere, il mio corpo in quel momento non era in una delle suecondizioni migliori e desideravo sedermi al più presto.
«Forse a questo quadro non ci avrai fatto molto caso. Chagall è un artistaparticolare che solo tramite lo studio si può apprezzare seriamente. È unadelle sue opere migliori, ha una ventina di anni e per me è la sua creazionepiù geniale.» Ogni parola che Ethan mi rivolgeva alle mie orecchie suonava comequalcosa di estraneo, troppo lontano e incomprensibile. Non mi ero maiinteressato vivamente all'arte, se non quel poco alla musica, e lo dimostravoquando Ethan suonava brani famosi che ormai mi erano quotidiani.
Ci fermammo dopo aver attraversato poco meno di una decina di stanze davanti adun quadro che era centrato in una parete, singolo sul muro scuro, con ilfaretto puntato sopra per far risplendere i suoi colori sgargianti.
«Non è magnifico?», volevo sinceramente di cuore trovarmi d'accordo con Ethan,ma i miei occhi vedevano solo una confusione di colori, immagini e significatia me ignoti.
«Perché c'è una capra con le ali?» Sussurrai all'orecchio del pianista,sporgendomi verso di lui e Ethan di risposta si avvicinò a me, fino a toccarmila spalla con la sua. La leggera differenza di altezza era minima, ma tale dapoterlo considerare più alto di me.
«Chagall è stato colpito molto dalla corrente dei surrealisti quando si trovò aParigi, ma non volle indagare la propria psiche; preferiva pensarlo come unviaggio nel suo mondo interiore affrontando e rappresentando così immaginifantasiose, innocenti e macabre della sua mente. Preferiva raccontare unafavola fuori dal tempo invece di rappresentare realmente i racconti dellabibbia o la sua vita.»
«Questo non mi spiega la capra con le ali» ripresi soffiando una risata, masotto uno sguardo severo di Ethan mi zittì e tornai ad ascoltare la suaspiegazione.
«Chagall era un pittore russo, perciò a lui rimasero sempre cari i temitradizionali, delle sagre di villaggio e quei racconti tramandatiincomprensibili. Si trovò molto vicino anche ai musicisti, come pianisti diviolinisti, per questo per me è un artista a cui devo pieno rispetto. Per tuttala vita ha amato una sola donna, l'ha amata con così tanta passione che,secondo lui, per rendere qualunque cosa colorata bastava l'amore.»
Soffiai una risata un po' scettico, ma Ethan mi diede una leggera gomitata perfarmi tornare con l'attenzione e lo sguardo sul quadro.
«Questo quadro è del 1944, un anno dopo la morte di sua moglie e uno hiatus diun anno a causa della profonda depressione che il lutto gli aveva scaturito.
Il quadro è diviso in due scene: a destra si vede la sua città natale con unbaldacchino e due giovani sposi, preceduti nel loro cammino da un suonatore diviolino e violoncello.
A sinistra invece ha raffigurato l'inconscio, il lato spirituale del momento.C'è un cerchio blu principale da cui emerge una figura fantastica alata, con latesta di capra che sta bevendo una coppa di vino rosso in saluto agli sposi. Inbasso c'è un uccello che porta sulle spalle una coppia di innamorati; fra leali si nota un tamburino che si sporge e in alto c'è un flautista che suona pergli sposi della prima scena.
In alto, nella scena centrale, si trova quel lampadario con le candele cheillumina tutta la scena di destra.»
Ethan ebbe la pazienza di illustrarmi ogni singolo dettaglio, la sua manodivagava nel nulla, indicando punti inventati ma ben chiari, tanto che ioriuscì a individuare ogni singolo dettaglio da lui citato.
«Che cosa significa per te Suwoo?» Domandò a tradimento.
«Non saprei, che una capra è felice per i due sposi?» Ethan rise di gusto,attirando qualche sguardo della sala su di noi.
«Riprovaci, questa volta seriamente.» Chiese dolcemente invitandomi con uncenno del capo a tornare a guardare verso la maestosa tela. Fissai intensamentela pittura per una decina di minuti, scuotendo il viso alla fine.
«Beh, la sposa potrebbe raffigurare sua moglie defunta e questo mi sembra moltoun ricordo legato al loro matrimonio.»
«Ottimo, ma pensi troppo, Suwoo.» Il mio nome, detto dalle labbra di Ethan,appariva sempre morbido e gentile, lo pronunciava pieno d'amore.
«Guardalo e lasciati ispirare dai sentimenti che ti fa provare.»
Ci provai, questa volta seriamente, volendo correre a braccia aperte verso ilpunto di incontro tra me e Ethan. Ci riflettei con calma con il pianistaaffianco, immerso nella soave musica di sottofondo che riempiva la stanza ormaivuota, con solo noi all'interno. Le dita snelle di Ethan iniziarono adarrampicarsi sulla mia schiena, giungendo sulla mia spalla sinistra e,delicatamente, iniziò a picchiettare su essa, muovendo le dita come se fosserosui tasti di un pianoforte, ripassandosi in mente lo spartito della musica checi avvolgeva.
Sorrisi a quel gesto innocente, un po' presuntuoso forse, visto che aveva cintole mie spalle con il suo braccio.
«È una scena felice, gioiosa e piena di festa quindi potrebbe essere il ricordoche ha il pittore della vita felice spesa con sua moglie. Ma il blu da unasensazione di triste presagio, come se Chagall si portasse appresso ancora ildolore del lutto.»
«Bene..» mi incitò Ethan a continuare.
«La capra potrebbe essere la rappresentazione di qualche divinità, chefesteggia al loro amore o al ricordo di quel gioioso momento, magari è proprioil dio che ha con sé sua moglie.»
«A me piace interpretarlo come un umile spettatore al ricordo del pittore, comese sua moglie, nell'aldilà, avesse parlato molto di quel momento, ed ora il dioè curioso di ammirarlo con i suoi occhi, brindando ai novelli sposi felici.»
Sorrisi annuendo con il capo, trovando tutto quello stranamente familiare esimile alla nostra realtà.
«Il gallo cosa significa?» Domandai indicando il piccolo uccello alla base delquadro, portava su di sé una coppia di innamorati.
«È simbolo di speranza. Chagall lo ha inserito nella speranza di poterrincontrare sua moglie dopo la morte e tornare ad amarsi come prima.»
Quel piccolo dettaglio mi colpì più dell'intero quadro. Poteva realmentesuccedere? I miei occhi rimasero fissi sul piccolo volatile blu e i due amanti,così fragili che sembravano svanire nello sfondo scuro, inghiottiti da quellaplacida sensazione di abbandono alla vita e alla morte.
«Secondo te è fattibile rincontrarsi dopo la morte?»
«No.»
«Perché?»,
«Perché se ti dicessi di sì, saresti più propenso alla morte. Moriresti con ilpensiero che io possa ritrovarti nell'aldilà o in un'altra vita e amartiliberamente e incondizionatamente.»
«Qua non potresti farlo.»
«È vero. Ma ci è stata questa vita, questo amore ed entrambi lo desideriamo persempre.» Rimasi colpito da quel suo pensiero, ma Ethan era sempre statoattaccato alla vita, in modo particolare e penoso, ma non aveva mai dimostratouna vera voglia di morte concreta.
La sua mano ora scese lungo il mio braccio e prese la mia con tranquillità,come se fosse naturale e libero quel piccolo gesto.
«Che fai?» Mormorai ridendo, ma il mio sguardo divenne serio appena incrociaiquello di Ethan: mi guardava con un amore triste e così divenne anche il mio,iniziando a capire la profondità di quelle parole.
«Se lo desideriamo veramente per sempre, che senso avrebbe saltarne un pezzo epassare alla prossima vita? Approfittiamone, no?»
«Credi che potremmo ricontrarci in una prossima vita?», il pianista annuì allemie parole e mi sentì sollevato da quella sua credenza.
«Anche io, sono sicuro che ci riconosceremo facilmente.»
«Ah sì? E come faremo?», alzai le spalle pensandoci, posando il mio sguardogentile sulle nostre dita intrecciate le une nelle altre.
«Non lo so, probabilmente ci sarà un dettaglio che ci aiuterà aricongiungerci.»
Sentì una lieve risata lasciare le labbra di Ethan e mi piacque moltissimo,amavo quando rideva grazie a me. Alzai il viso per osservare quella espressionedi felicità e la vidi, mista a soddisfazione.
«Che romantico che sei diventato, Jung. Non vedo l'ora di scoprire come tifarai riconoscere.» soffiai una risata al suo commento, evitando il continuodella discussione, non volendo approfondire oltre, e rimasi ad ammirare con luiil quadro caotico ancora davanti a noi.
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Danzando come ali di farfalla
RomanceZurigo primi anni '60. La vita di un pianista tormentato e di uno studente annoiato si incroceranno riempiendo le mancanze l'uno dell'altro, condividendo momenti preziosi e le parti più oscure di loro stessi. Suwoo inizierà a scoprire attraverso l'i...