𝐌𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐗𝐈𝐕

16 2 1
                                    

𝟐𝟑 𝐃𝐢𝐜𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞 𝟏𝟗𝟓𝟗

Passato un temporale cosa rimane? Una sensazione morbida, umida e pacata, impregnata di silenzio. L'odore del gelsomino mi invadeva le narici, con il suo strato umido mi faceva arricciare il naso a quell'odore pungente di terriccio.
Le dita delicate di Ethan trattenevano le mie, intrecciate con esse quasi con il terrore di spezzare da un momento all'altro.
«Dove stiamo andando?» Domandai al pianista impegnato a camminare tranquillamente in quel placido paesaggio invernale del parco di Kaferberg. Non mi rispose subito, le sue spalle si alzarono e si abbassarono delicatamente, rimanendo con lo sguardo fisso sul terreno, come per studiare i possibili ostacoli che mi avrebbero potuto far cadere.
«C'è bisogno di una meta?», le sue parole mi zittirono ed io mi soffermai a pensarci seriamente, ma scacciai quei pensieri opprimenti e sforzati dalla mia mente.
«No, non credo.» Risposi con un leggero sorriso sulle labbra, si schiuse genuinamente appena mi voltai ad ammirare Ethan al mio fianco, avvolto nel suo cappotto nero.
Mi ricordò la morte, non che io l'avessi mai vista, ma la sua eleganza, il suo silenzio e il suo carisma erano affascinanti e attraenti, tanto da attirare chiunque a se, per quanta pericolosità e paura emanasse la sua persona. Il primo giorno che lo vidi la mia mente lo collegò ad un maestoso corvo nero, pronto ad avventarsi sulla sua preda, eppure, ora che lo conoscevo, che ero abituato alla sua presenza glaciale e profonda, i miei occhi non potevano che vedere una farfalla nera, semplice e delicata, possente solo per i suoi abiti scuri e il loro profondo significato.
«Corvo o farfalla?» Domandai non riuscendo a distogliere gli occhi dal suo viso, dalla sua semplice presenza. Feci quella stupida domanda all'uomo per capire come si sentisse. La bellezza nella sua risposta fu l'assenza della sua sorpresa, si mise a pensare e mi rispose come se fosse una delle domande più comuni dell'universo.
«All'inizio avrei detto un corvo, ma per coprire la delicata farfalla che era adagiata in me, come scudo protettivo.»
«Ed ora invece è cambiato qualcosa?» Domandai incastrando meglio le dita fra le sue, spaventato che potesse allontanarsi anche di qualche passo in più da me e lasciarmi indietro da solo.
«Si, ho conosciuto te.»
I miei piedi si arrestarono affondando lentamente nella terra bagnata, i suoi fecero lo stesso.
«Mi hai accolto e asciugato le lacrime dal viso, estraendone la mia disperazione più pura. Lo hai fatto in silenzio, con eleganza e gentilezza, come la più maestosa delle farfalle. Mi hai concesso l'opportunità di diventare quel corvo di cui tanto parlavo.»
Ethan pronunciò quelle parole con un sorriso devoto, pieno di ringraziamento. Fu uno dei pochi sorrisi così radiosi che vidi sul suo viso e fui felice che fosse uno degli ultimi. Di riflesso, come uno specchio, le mie labbra risposero al suo sorriso nella stessa maniera.
«Io rimango una farfalla da proteggere allora?» Domandai cogliendo quel piccolo senso nascosto nelle sue parole, sotto il quale io ero rimasto lo stesso.
«Sei cresciuto, hai imparato molto con me. Prima eri debole a causa della tua noiosa vita borghese, in quella realtà costruita sui pensieri altrui; ora, Suwoo, sei delicato perché hai assorbito il mio dolore.» Il suo tono divenne basso e serio, la sua espressione si perse in dolore velato, rammaricato. Mi dedicò una leggera carezza sul viso, mi accarezzò tremante, ed eccola lì, di nuovo quella sensazione di terrore nel rovinarmi o spezzarmi. I suoi occhi fini e intagliati straripavano di dolore e rimosso. Sembravano urlare delle scuse, si scusavano di avermi portato alla disgrazia, a quel baratro di infinito dolore.
«E quindi?»
«E quindi doveva solo essere condiviso, questo scambio di pesi non doveva esserci.»
«Credi che non lo sopporterò?», negò.
La risposta di Ethan era onesta, in linea con i miei pensieri e avevo paura.
«Sai che tra poche settimane partirò per tornare a casa.»
«Resta qua.» La risposta di Ethan gli uscì dalle labbra veloce come il vento, ma gentilmente schietta e sincera. Le sue dita strinsero le mie, i suoi occhi si infossarono nei miei e tornammo a quel silenzioso scambio di pensieri, anime e vite.
«Non sopravviverai da solo»,
«Non voglio sopravvivere di fatti.» Ammisi con un leggero sorriso.
Il gelo che vidi negli occhi di Ethan, per un istante, mi ricordò quel lampo folle che vidi al nostro primo incontro, mentre i suoi occhi mi studiavano per la prima volta. Ora, quegli stessi occhi, erano colmi di dolore e terrore.
«A me va bene essere una farfalla. Le farfalle aiutano molto il nostro ecosistema, sopratutto aiutano a salvare la vita di altri animali.»
Ripresi la nostra passeggiata, trascinando il corpo di Ethan con il mio passo leggero e silenzioso. Tutto in quel paesaggio morbido, sotto il nostro sguardo, sembrò ammorbidire le parole di dura verità che uscivano dalle nostre labbra, attenuava l'aria tesa fra noi due e insonorizzava i rumori della città, lasciandoci comodi e liberi in una specie di pacifico piccolo paradiso in cui tutto poteva essere detto.
«Alla fine sono ad un quarto della mia vita e dopo tutto anche le farfalle hanno un tempo limitato a loro disposizione».
Dopo pochi metri venimmo sorpresi da una leggera pioggia. Udimmo le gocce cadere sulle foglie fini degli alberi, scivolare silenziosamente verso il basso e raggiungere i nostri corpi. Sentivo la stoffa bagnarsi, come i miei capelli e infine sentì il viso. Delle piccole gocce si incastravano tra le mie ciglia, cadendo e scivolando poi lentamente lungo la mia guancia, andando a segnare lentamente la mia pelle.
«Tutto questo mi ricorda una poesia.» Intervenne Ethan con una voce delicata, mentre il suo corpo si soffermò dinanzi al mio ancora una volta.
«A inizio secolo un poeta italiano scrisse una poesia su una situazione simile a questo. Si chiamava D'Annunzio e la poesia si intitolava La pioggia nel Pineto
Il suo sorriso sembrò leggermente tremare a quelle sue parole inattese. Perciò rimasi in silenzio ad attendere che continuasse il suo discorso.
«Nella poesia narrava di un'uscita che un giorno fece con la sua amata, in una pineta. Racconta il processo di naturalizzazione, azionato fin dai primi versi e lo fa descrivendo un temporale. Da una certa delicatezza nel suo modo di scrivere, tendeva l'orecchio e usava tutti i suoi sensi pur di riuscire a percepire qualcosa. Il temporale è descritto minuziosamente, musicalmente quasi ed è impressionante come quell'uomo sia riuscito, in pochi versi, a raccoglier l'intero universo.»
Ammiravo in silenzio il viso in penombra di Ethan, non veniva sfiorato da una sola goccia, come se l'acqua avesse paura di rovinare e sfasciare quel viso marmoreo e perfetto,etereo nella sua completezza.
Volli dire qualcosa, ci tentai ma Ethan mi zittì subito.
«Taci.» E con un dito indicò il cielo. Rimasi muto e alzai lo sguardo verso il cielo, la dove il cielo piangeva per me, che liberava la disperazione e la tormenta che richiudevo in me ormai da mesi. Era musicale, ogni goccia aveva il suo rumore specifico, la sua leggerezza e gentilezza. Alcune gocce battevano sulle foglie più forte di altre, dipendeva da dove si andavano ad appoggiare. Sul mio viso avevano come un suono vuoto, come se stessero cadendo su un contenitore vuoto, pieno del nulla cosmico.
«D'Annunzio nella poesia parla del panismo, di una sorta di trasformazione che la sua amata affronta, da umano a natura. Sotto gli occhi del poeta, ella inizia lentamente a farsi corteccia, i suoi capelli diventano una chioma di foglie e il suo cuore una pesca fresca. Gradualmente arrivano entrambi a fondersi con la natura e a sentirsi parte di essa. Il poeta presenta al mondo un tipo di morte diversa, un po' come quella che ti insegnai la prima sera assieme, nel bar, con il pianoforte.»
La mano di Ethan raggiunse il mio viso, accarezzò la mia pelle con le sue dita e il suo pollice asciugò quelle lacrime finte sul mio volto ed io mi abbandonai nel suo caldo abbraccio che mi porse sul viso.
«Oggi il cielo sta piangendo al posto tuo, sembrate così entrati in sintonia che se ti trasformassi sotto il mio sguardo, non me ne sorprenderei.»
«Mi trasformerei in una Buddleja probabilmente.» Osai interrompere quel tenero e profondo discorso che Ethan si stava perdendo a fare mentre i suoi occhi erano incastrati ai miei, aggrovigliati ad essi con troppo terrore celato dietro.
«Si tratta di una morte vegetale, dove si abbandona la propria forma umana per unirsi alla natura, a quel tutto universale che incombe senza sosta sull'uomo. Passerei dalla parte di chi mi ha creato il disagio in vita umana, sarebbe un controsenso.»
«Dimmi una sola cosa che non è un controsenso nel mondo».
Touchè, pensai, ridendo leggermente mentre le mie lacrime si mischiavano con la pioggia.

Danzando come ali di farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora