𝐌𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐗𝐈𝐈

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𝟏𝟖 𝐃𝐢𝐜𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞 𝟏𝟗𝟓𝟗

Una piccola perla di ghiaccio, addobbata da dettagli unici, cadde sul mio naso, si appoggiò sulla punta in silenzio con i suoi riflessi di luce giocosi che mi fecero sorridere. I miei occhi erano incrociati, abbassati sul piccolo fiocco di neve, impegnati ad ammirare la sua leggerezza, fino a quando un dito avvolto in un guanto nero, non lo schiacciò, sotto una forza inesistente.
«Ethan!» Sbottai appena il dito si levò dal mio naso, dopo aver commesso quel crimine. L'uomo rise di gusto. I suoi occhi divennero fini mentre da sotto la sciarpa potevo ben immaginare il suo sorriso candido da bambino, che si lasciava uscire quella risata giocosa.
«Ah», sospirò con affare leggero,
«Quanto sei melo drammatico, Suwoo. Era solo un fiocco di neve.»
«Ogni fiocco di neve è unico nel suo genere, lo sai, è un peccato distruggerli.»
«Sai quanti ne stai calpestando ora?».
Una voce vivace interruppe il nostro piccolo battibecco, fu improvvisa, come la palla di neve che andò a colpire Ethan sulla spalla, spargendo piccoli cristalli di neve nell'aria e lungo il suo cappotto nero.
«Piccoletto, che fai!» Sbottò il pianista, afferrando dal muretto al suo fianco della neve e lanciandola con una terribile precisione al ragazzo moro che era appena saltato fuori.
Rare volte avevo avuto il piacere di stare in compagnia di qualche amico di Ethan, e altrettante poche volte mi ero trovato bene, solamente con quei due ci ero riuscito.
Uno più alto, ed uno più basso. Entrambi con i lineamenti asiatici e con il loro carisma da artisti. Non sapevo molto, ma lo spilungone era uno scrittore e il piccolino, più grande di me, era un pittore e scultore. Rimasi fermo alla scena dei tre adulti che avevano azionato una guerra di neve, ai miei occhi pareva sconsiderata, alla mia mente un po' penosa, ma in cuor mio volevo unirmi. Le figure snelle e goffe saltavano nella neve, scivolavano sulle lastre di ghiaccio della piazza principale di Zurigo, ed io mi lasciavo sfuggire delle risate con di bambini poco lontano, che si godevano la scena dei tre uomini intenti a riempirsi di neve. Ethan lanciava, Yunho correva e faceva scorrere la neve lungo il colletto degli altri, Luca si nascondeva dietro i cestini e appena veniva dimenticato, attaccava. Ridevo e mi sentivo riempir di gaia gioia e serenità da quelle semplici scene quotidiane.
La neve, soffice e candida si estendeva su tutta la città, il cielo plumbeo e pesante lasciava cadere quei piccoli cristalli di ghiaccio nell'aria, il vento li faceva ballare come farfalle che infine si posavano su oggetti, pavimenti, persone, animali, con eleganza.
«La mia farfalla monarca non si unisce?» Ethan mi chiamò in quel modo spontaneamente ed io sorrisi trovandolo dolce, un'attenzione delicata di cui mi sarei accorto solamente io. Non ero sicuro di partecipare a quella loro lotta, né di essere in forze per sostenerla. Mi ero alzato con un malessere che appesantiva le mie membra e la mia testa. I vari strati di stoffa che rivestivano il mio delicato corpo non mi permettevano molti movimenti, eppure, senza attendere risposta, una palla di neve mi arrivò dritta sul petto, si ruppe e mi sprizzò il viso di fresco ghiaccio.
Scoppiarono in sottofondo delle risate fragorose che si innalzarono in tutta la piazza, raggiunsero i tetti alti dei palazzi e andarono oltre, potei immaginarmi quelle risate ai livelli più alti, immaginabili. La gioia che esplose sul viso di Ethan mi fece piacere, la sua risata era rara e particolare, come un fischio, non l'avrei mai collegata ad un uomo così ombroso. Gli altri, al suo contrario, marcarono le risate con tono maturo, scandendo le vocali e il loro divertimento.
«Te la sei cercata Mr. Meir!» Esclamai a tono più che alto, mentre con una mano afferravo una piccola montagnetta di neve pallida nelle mie mani nude.
«Non sono stato io, lo giuro su Dio!» Ethan alzò le braccia con affare tragico mentre i piedi indietreggiavano scivolando sul pavimento ghiacciato della piazza, il pianista continuò a scuotere il capo chiedendomi di risparmiarlo fino a quando, dalla sua destra, una palla di neve non si scontrò con la sua guancia.
«E questa sarebbe la fiducia fra voi due?» Sghignazzò una voce lontana. Mi voltai assieme agli altri per identificare il colpevole di quel gioco subdolo fra me e Ethan: appena sopra ad una piccola scalinata riconoscemmo una figura amica, della mia stessa età, che se la rideva di gusto.
«Dannato Noah!» Urlò Ethan, lasciandosi scappare quell'esclamazione in coreano, al che tutti ridemmo e ci armammo di neve contro il traduttore, già pronto a tremare sotto il nostro attacco.
Un fischietto da tutt'altra parte della pizza ci bloccò, mostrandoci una coppia di vigili pronti a bloccarci e a mandarci in questura per una freddura. Eravamo pur sempre cinque giovani uomini impegnati in una guerra di neve, un affare che non poteva venir interrotto in quel modo brusco, ma lo dovemmo fare.
«Beh, buona fortuna.» Ci cantilenò Yunho, prima di dividerci in direzioni diverse per sfuggire ai poliziotti. I due agenti non sembrarono vedere Noah, che si nascose agilmente dietro a due cespugli imbiancati, ma anzi, si divisero e si buttarono alla caccia di noi quattro, che a nostra volta ci dividemmo a coppie. Mi lasciai guidare da Ethan per le vie innevate della grande città di Zurigo. I nostri piedi corsero incessantemente nei grandi viali principali, sviando persone e cani in mezzo al nostro percorso creato passo dopo passo. I piedi agili di Ethan e i suoi occhi fugaci riuscivano ad individuare dei vicoli niente male per sviare quel poliziotto tenace, ci rincorreva come se avesse fiato costante, mai interrotto come il mio.
«Bisogna scivolare ora, tesoro.» Ethan si tolse velocemente la giacca, poco interessato al freddo, appena lo raggiunsi. Il fiato che rilasciavo nell'aria componeva delle nuvole di fumo bianco interrotte, mi portai un amano alla milza per massaggiarla. Ah! Quanto mi maledii quel giorno per non essermi mai allenato in vita mia, o per non aver mai avuto un minimo interesse nella corsa.
«Che vuoi fare?» Chiesi dopo qualche respiro profondo, ma Ethan non mi diede la risposta, né tempo per cercare un'altra soluzione.
«Scivola per la via!» Urlò lasciandosi trasportare giù, lungo la strada ghiacciata sulla quale la sua giacca perse ogni tipo di attrito ed accompagnò il pianista giù per la discesa sgombra. Guardai innamorato e ammaliato quella scena, i miei occhi erano incollati alla figura di Ethan, così slanciata e libera, avvolta dal suo colore scuro che ai miei occhi apparve come l'elegante corvo del nostro primo incontro. Sentii di nuovo il fischietto, questa volta più vicino, difatti l'agente era a pochi metri da me. Mi tolsi al volo la giacca, mi ci sedetti sopra e mi slanciai a volare con il mio innamorato, sfuggendo per un soffio al poliziotto malvagio. Risi come un bambino, mi lasciai andare qualche urlo liberatorio, concludendo la scivolata fra la braccia di Ethan, che mi attendevano aperte alla fine della strada.
«Divertito?», annuii.
«Bene, ora dobbiamo nasconderci,» la sua mano afferrò agilmente la mia e la trascinò con sé. Vidi solo con la coda dell'occhio il poliziotto intento a scivolare per la lunga strada.
«Dove andiamo ora?» Chiesi con il fiato corto, correndo ancora dietro all'uomo. Ethan non mi rispose ed io potei solo che arrendermi a rincorrere la figura longilinea e slanciata che si tuffava nel paesaggio bianco, sgattaiolando per i vicoli e svanendo, alla fine, dentro alla sua solita locanda.
«Nessuno ci ha visto!» Esclamò ai baristi e ai pochi presenti nel salone, prima di trascinarmi con sé dietro l'angolo del corridoio che portava alle stanze, in cui per nostra fortuna ne trovammo una aperta. Entrai con il pianista e bloccai la porta con il mio peso, mentre Ethan catturava me fra sé e il legno. Ci fissammo per qualche istante, con espressioni divertite ma silenziose. Ero pronto a scoppiare in una fragorosa risata quando la voce di quel poliziotto intervenne nella sala principale; non sembrava solo, anzi, probabilmente si era riunito con il suo collega che era tornato a mani vuote dalla caccia degli altri due, per fortuna.
Trattenemmo il fiato per sentire cosa volevano, lo facemmo non riuscendo a staccare gli occhi l'uno dall'altro, commentando gli interventi di quei due agenti con qualche sguardo eccentrico che sottolineava un nostro mentale commento.
La conversazione fu più meno questa:
«Cerchiamo due uomini asiatici sui trent'anni, coperti di neve che stavano fuggendo.»
«Non sono qua.»
«Siete sicuro?»
«Vede per caso qualche asiatico?» Il barista zittì così il primo poliziotto.
Soffiai una risata a quella risposta abbastanza nervosa e stufa del barista, dopodiché i due agenti si dileguarono in un modo un po' impacciato e goffo, scusandosi per il disturbo arrecato all'intero locale, che aveva iniziato a farsi sentire.
Passarono un paio di minuti di silenzio dopo una porta chiusa, tornammo entrambi a respirare appena il barista annunciò ad alta voce: «Se ne sono andati.»
Una fragorosa risata, mi dissero, si sentì nell'atrio e fu la nostra. Fuoruscì vivacemente dalla stanza, ancora chiusa dal nostro peso contro la porta. Nessuno dei due si mosse, rimanemmo inchiodati in quella posizione ancora per alcuni istanti, accompagnati dalle nostre risate leggermente isteriche a causa dell'ansia che in quei ultimi istanti ci era salita, scaricammo l'agitazione di essere scoperti in quel modo.
Mentre concludevo la mia risata, Ethan mi lasciò qualche bacio sul viso, stringendomi a sé, come per congratularsi per il mio strappo alle regole, per essermi lasciato andare ed essermi fidato di lui.
Uscimmo poco dopo, andandoci a sedere al bancone e ordinando i nostri soliti drink. Ci eravamo tolti i cappotti fradici ed ora ci stavamo riscaldando con il tepore del piccolo bar, sempre ben protetto dalle temperature esterne.
«Dannati! Allora gli siete sfuggiti! Appena abbiamo visto i poliziotti entrare qua vi davamo già una notte al fresco.»
Yunho entrò nel locale esclamandoci contro con voce allegra, ancora carica dalla fuga a cui lui e la coppia di seguito, erano fuggiti.
Si sedettero con noi al bancone e rimasero ad intrattenerci fino a tardi. Passai raramente in quel periodo un momento sereno come quello, non mi sentii per almeno un giorno dimenticato dal mondo, da Dio e dall'universo; riuscii a far parte di un gruppo di amici con cui potei scherzare, mi sentii nuovamente parte della società, anche se dalla parte sbagliata, ma mi andò bene.
Quel giorno è il ricordo più felice e spensierato che abbia mai posseduto.

Danzando come ali di farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora