𝐌𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐗𝐕

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𝟏 𝐆𝐞𝐧𝐧𝐚𝐢𝐨 𝟏𝟗𝟔𝟎

Per capodanno decidemmo di passarlo nel solito bar, lo stesso dove ci eravamo conosciuti, in mezzo alla baldoria e ai festeggiamenti nessuno si sarebbe accorto di noi, perciò perché trattenerci? Quella notte era l'ultima che avrei passato con Ethan, l'ultima perché poi sarei partito. Gli studi si erano conclusi prima di Natale e per me era tempo di tornare alla mia patria dove la mia famiglia, una graziosa fanciulla come futura moglie e un lavoro mi attendevano, dove la mia vita futile mi aspettava. Non avevo voglia di pensare al viaggio e al mio futuro, quasi mi disperavo e bramavo la morte più del solito a quei pensieri tristi. Non riuscivo neppure a scegliere da solo la mia vita e questo mi scoraggiava parecchio.
Volevo passare una notte viva con Ethan, ballando con lui, chiacchierando con i nostri amici, ascoltando semplicemente l'uomo suonare i suoi pezzi al pianoforte, ma non andò così.
Dopo la mezzanotte Ethan iniziò a comportarsi come spesso faceva da ubriaco: diventava insostenibile, schietto, appiccicoso e non solo con me, ma anche con altre donne e ragazzi. Si era rovinato così il nostro capodanno, dopo che passammo ore immersi nei festeggiamenti, a ballare assieme come se a nessuno importasse, mentre ci baciavamo per le ultime ore della nostra vita assieme, dopo che vivemmo un po' di più la libertà in quelle prime ore del nuovo anno che nel resto della nostra vita passata.
Ma il fardello era successo tutto verso l'una di notte, mentre mi ero spostato un momento in bagno. Al mio ritorno avevo visto Ethan baciare una donna ma non gliene avevo mai fatto un crimine, Ethan era una persona più che libera da sbronza, non rifiutava una avance e la riproponeva a me più tardi, non mi aveva mai dato fastidio perché più volte quell'uomo mi aveva rivelato ed espresso il suo amore profondo senza timidezza né falsità. Quella notte, grazie all'alcol, credetti pure io di poter far qualcosa di più, ma probabilmente mi sbagliavo.
C'era un ragazzo che fin dall'inizio della serata aveva gli occhi puntati su me e Ethan, pieni di viscidume e dei peggio desideri sconci. Da quando mi ero allontanato dal mio ragazzo, il giovane mi aveva seguito con lo sguardo, inchiodato i suoi occhi sui miei e visto che Ethan era impegnato in altro, perché evitarlo? Anche a me serviva un po' di compagnia infondo. Scivolai tra la folla impegnata a ballare agilmente, raggiungendo il bel sconosciuto, probabilmente aveva qualche anno in meno di me, per scoprire curioso cosa avesse in serbo per me quella sera. Non mi ero mai aggirato così libero tra quelle mura, soprattutto in mezzo a tanta gente, ma i litri di alcol in corpo non mi permisero di fermarmi tanto facilmente.
«Cosa hai da fissare tanto intensamente?» domandai appena raggiunsi il giovane appoggiato comodamente al muro.
«Scusami, non è facile staccare lo sguardo da un bel ragazzo come te» mi disse senza timidezza, con un sorriso gentile in viso che spazzò via i un attimo tutto quel viscidume che avevo osservato a distanza poco prima.
«Ho visto che il tuo accompagnatore è ben preso, non ti dispiace?»
«Chi? Ethan? Ah no, capita più spesso di quello che credi e va bene così, è di sua natura e si diverte.»
«Avete un rapporto profondo se ti fidi così tanto di lui.» Ci pensai per un istante e realizzai di come io e Ethan ci fossimo conosciuti poco più di tre mesi prima, sembravano passati anni dal nostro primo incontro, dall'intensità con cui vissi quel periodo d'amore con il pianista.
«Si, molto.» Sorrisi al pensiero di quanto avessimo costruito un rapporto così stretto nel giro di breve.
«Ma lui si fida di te»", mi voltai verso il ragazzo che ora beveva dal suo bicchiere di vetro, era una domanda interessante ma credevo di si, insomma, gli avevo mai dato motivo di non farlo? Stavo per domandare il perché di quella domanda quando il giovane mi si avvicinò all'orecchio.
«Mi piacerebbe tenerti compagnia in questo momento di solitudine.» Mi sussurrò languidamente, avvolgendomi un braccio attorno alla mia vita. L'alcol in corpo prese il sopravvento sull'ultima briciola di razionalità in me e mi lasciai cadere in balia della morsa amorosa di quel ragazzo. Mi lasciai baciare, toccare tranquillamente contro il muro freddo del bar, mentre immaginavo che tutto quello venisse fatto dal pianista, troppo impegnato in altro per pensare a me. Ero così preso bene da quelle labbra che baciavano fin troppo bene che, quando si staccarono da me, tornai bruscamente alla realtà: Ethan era intervenuto tra di noi, con quel suo sguardo furente e omicida che gli avevo visto solamente durante il periodo degli abusi. Mi staccò dalle grinfie del ragazzo e per poco non iniziò una rissa nel vecchio bar. Riuscì, per fortuna, a portarlo in una delle stanze al piano di sopra, volendo cercare di chiarire la situazione, fargli sbollire la rabbia in corpo e farlo calmare del tutto. Rimasi chiuso in quella stanza con lui per quasi un'ora di cui non ebbi nessun ricordo vivido dopo. Probabilmente mi parlò e si arrabbiò ma io non ascoltai nulla, troppo ubriaco e preso da quel momento di svago per concentrarmi realmente sulle parole di Ethan e quindi risposi a tono, sentendomi il potere e il permesso di farlo per una buona volta.
«Perché ti sei lasciato toccare?» chiedeva urlando, allora rispondevo a tono con:
«Perché se lo fai te va bene, ma se lo faccio io no?», semplicemente non si fidava abbastanza di me.
«Sono protettivo»,
«No, sei solo geloso e non hai fiducia in me di quanta io ne abbia in te e se questa è la verità allora non credo sia possibile continuare una relazione così. Forse tanto meglio visto che domani parto.»
«Ti sto proteggendo», continuava a gridare con le lacrime agli occhi ma, per qualche motivo, quella notte non gli credetti.
«No, Ethan, te mi stai limitando e comandando a tuo piacere, come tutti gli altri.»
Le parole mi uscirono cattive e taglienti dalla lingua ma ero stufo di quel suo comportamento. Per la prima volta, i suoi occhi colmi di lacrime e il suo tono tremante dalla frustrazione, non mi addolcirono, anzi, mi irritarono.
La nostra litigata si consumò in privato in una delle stanze sopra al bar, le stesse in cui una volta ci eravamo nascosti per fuggire dalla polizia. Non so quanto urlammo, se ci sentirono da fuori, se qualcuno si fermò ad origliare, ma finì con io che me ne andai lasciando Ethan in quello stato di molesta ubriachezza. Sbattei in faccia al pianista la porta dopo aver esploso la mia rabbia verso di lui, verso il dolore per la vita, verso il suo amore.
Come potevo pretendere di star bene se ormai vivevo con il suo dolore dentro?
Se ormai ero consumato è destinato ad una fine tragica e lui se la faceva con qualcun altro? Lui poteva e io no?
Non mi accorsi di nulla fino a che non urlai il mio dolore in faccia a Ethan, mi resi conto allora di quanto si fosse raddoppiato il mio male, con quelle sue semplici azioni sciatte avevo raggiunto il limite di sopportazione. Il dolore mi stava esaurendo velocemente, con così tanta fretta che non riuscivo a stargli dietro, nessuno ci riusciva ed ora tanto meno Ethan, invaghito della sua nuova vita leggera e felice, ottenuta solo grazie a me.
E così me ne andai a zonzo per la città prima di tornare nel bar. Restai a vagare per la città un paio di ore calmandomi e provando a tornare lucido per fare mente locale ma il dolore, questa volta, non scendeva, non trovava pace e il mio cuore chiedeva a gran voce pietà. Tutto di me urlava di avere una pausa, di potersi fermare: il cuore, la mente, il corpo, i miei occhi, tutto.
Verso l'alba, attorno alle quattro di mattina, decisi di tornare al bar. Mi ero calmato in qualche modo, grazie all'aria gelida del nuovo anno, ed ora volevo chiarire con Ethan la lunga litigata.
Volevo provare a parlargli un'ultima volta sulla realizzazione del mio immenso dolore che non potevo più sopportare. Avevo bisogno di chiarirmi con lui prima di sfogare tutto quel dolore per una volta per tutte, ma non ero sicuro potesse più capirmi come prima.

Danzando come ali di farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora