Capitolo III: un fischio fastidioso

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Quando finalmente riesco distogliere lo sguardo dal suo viso, lui si ferma ed esclama: -Ecco, siamo arrivati- e indica la casa proprio di fronte alla mia.
- Mi sa proprio che siamo vicini di casa - dico io sorridendo e indicando la mia casa dall'altro lato della strada.
-Beh perfetto, non avremmo problemi ad incontrarci per fare il compito!- esclama lui restituendomi il sorriso . Entriamo in casa: è davvero bella. Ha soffitti affrescati e infissi antichi ma l'arredamento è moderno, il che crea un contrasto molto elegante.
-Accomodati pure.- dice lui indicando una poltroncina antica rivestita con un curioso tessuto con la fantasia a fumetto.
-Grazie ma preferisco darti una mano a cucinare.-
-No no no tu stai seduta: sei l'ospite!-
-Proprio per questo! Tu mi ospiti a casa tua e in più io sto qui sul divano e lascio fare a te tutto il lavoro?-
-Ammettilo hai paura che ti avveleni il piatto.- mi provoca lui divertito.
-Beccata!- dico io sghignazzando.
Mi accorgo solo dopo il nostro simpatico battibecco, di quanto sia stata spontanea, per la prima volta con un ragazzo. Sorrido involontariamente. Lui lo nota e con la coda dell'occhio vedo che sorride a sua volta.
-Allora come vuoi gli spaghetti: al sugo, in bianco o al pesto?-
-Mmm come vuoi tu.-
-Non è una risposta accettabile, mi dispiace.-
Mi ammonisce lui scherzosamente.
-Bene allora... un piatto di pastasciutta, grazie-
Lo aiuto a preparare la pasta, poi ci sediamo a tavola e iniziamo a mangiare. -Allora, hai parlato con qualcun altro oltre a me a scuola?-
-In effetti si: con Irma, è molto simpatica .-
-Irma... sì è una a posto.-
Finiamo di mangiare, lo aiuto a sparecchiare e poi lui mi chiede di andare in camera sua mentre carica la lavastoviglie. Io lo faccio. È molto ordinata e elegante ma sembra più un ufficio che una camera di ragazzo: non c'è niente di personale, nessuna foto... o forse c'erano, infatti sul muro ci sono dei segni di scotch come se avesse strappato poster o foto dal muro. Mentre penso a tutto ciò, ecco che Andrea entra nella stanza.
-Non è sempre così ordinata eh.-
-Menomale, pensavo soffrissi di un disturbo ossessivo compulsivo della personalità...-
Dico ironicamente.
-No tranquilla, soffro solo di una patologia detta "madre molto severa ed esigente".-
In quel momento, improvvisamente, l'orecchio mi inizia a fischiare fortissimo. Strizzo gli occhi per il fastidio. Andrea lo nota e mi chiede se vada tutto bene. Sinceramente non lo so, mi capita spesso da una settimana, e sempre più forte. Comunque per farlo stare tranquilla gli dico che non è nulla.
-Ok allora... iniziamo?- dice lui indicando i libri.
-Certo.- così iniziamo a fare la ricerca. Si instaura tra di noi un rapporto di fiducia. Almeno da parte mia, insomma inizio ad essere spontanea, la timidezza svanisce pian piano. Lui è così gentile e simpatico che è impossibile non diventargli amico. Irma aveva ragione.
Ritorno a guardare lo scotch sul muro. Lui lo nota e mi dice - Prima c'erano delle foto.- io colta di sorpresa chiedo -Come?-
-Lì dove ci sono segni di scotch, prima c'erano delle foto. Foto di me con... il mio migliore amico. Dopo la sua morte le ho tolte perché non riuscivo più a guardarle. - probabilmente capisce dalla mia espressione non stupita, che conosco già tutta la storia, perché mi chiede:- Lo sai già eh? Dovevo immaginarlo, Irma è simpatica quanto chiacchierona. Comunque non è un segreto, dopo ben un anno è ancora la cosa di cui si parla di più a scuola.- dice lui con uno sguardo affranto.
-Mi dispiace molto Andrea, è una storia terribile.-
-Già, soprattutto è terribile quello che dicono di lui. Irma te lo ha raccontato? Sai la storia del suicidio...-
-Sì, ma tranquillo ne io ne Irma ci crediamo.-
-Si si immaginavo.-fa una pausa di riflessione e poi dice:- la cosa che più mi fa incazzare non è che se ne parli, insomma è logico: fa notizia la morte di un ragazzo; ma di come sia diventato un pettegolezzo qualunque. Si tratta della morte di un ragazzo cavolo!- gli occhi gli si riempiono di lacrime, e questo mi spezza il cuore.
-Capisco quanto faccia male. Quando mio padre è morto tutti a scuola dicevano che non sapeva guidare e che era stata colpa sua. So come ci si sente quando tu provi solo dolore mentre gli altri si inventano cazzate che ti fanno stare solo peggio ma che non puoi smentire perché sono morti.- dico tutto d'un fiato gesticolando animatamente. Noto il suo sguardo stupito
-Scusami io... mi sono sfogata -
-E hai fatto bene.- dice lui afferrandomi la mano. Immediatamente sento le farfalle nello stomaco. La sua mano calda che stringe la mia mi fa venire i brividi. Mi perdo nei suoi occhi verdi. I nostri visi si avvicinano e...ed ecco che ritorna il fastidioso fischio all'orecchio. È così forte e persistente che sono costretta a ritrarmi e a strizzare forte gli occhi.
-Eva va tutto bene?- mi chiede lui preoccupato.
Io però non riesco a rispondergli perché sono improvvisamente assorbita da un vortice di visioni indistinte. Vedo una luce, anzi tante luci che cercano di dirmi qualcosa.
-Eva! Eva apri gli occhi!- continua a ripetermi Alessandro preoccupato. La sua voce inizialmente mi appare ovattata, poi sempre più forte. Apro gli occhi.
-Eva che succede?-
-Io...io non lo so.-
-Vuoi che chiami il medico?-
-No, non ce n'è bisogno. Solo... potrei andare un attimo in bagno?-
-Certamente. In fondo al corridoio sulla destra.- Così mi dirigo verso il bagno, frastornata. Mi lavo la faccia cercando di schiarirmi le idee, ma ecco che improvvisamente sento un dolore lancinante alla schiena, in corrispondenza delle scapole. Fa così male che mi piego in due, vorrei urlare ma non voglio far preoccupare Andrea o presentarmi come la nuova arrivata problematica. Così emetto solo dei gemiti sommessi. Non ce la faccio più, il dolore cresce velocemente. Mi gira la testa ed inizio a vedere tutto rosso. E poi da rosso diventa tutto nero.

Per un battito di aliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora