tokyo - 3:29

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un bicchiere usa-e-getta, il piacere di lasciare che la carta gli scaldasse le dita, una nube lieve che si sollevava, invadendo le sue narici con il profumo artificiale del tè solubile. il cemento sotto la schiena, il suo gelo che trapelava oltre l'impermeabile color terra. una cuffietta immetteva debolmente una sonata che non ricordava di aver scaricato, l'altra giaceva sul suo petto, la mente piena del canto dei grilli e del volare degli uccelli mattutini che, ancora prima che sorgesse il sole, si avventuravano già in città. in cerca di cosa, era un mistero. forse qualcosa da poter riportare al nido, dai cuccioli, forse per tornare al proprio nido, forse per il piacere di volare quando la città era ancora addormentata. magari, pensò, per ritrovare loro stessi. perdersi, era possibile anche per loro? loro volavano sempre, e chissà, forse era il privilegio di poter osservare tutto con una luce differente a premettere loro di essere miti. volare, forse quello gli avrebbe permesso di ritrovare sé stesso. chiuse gli occhi, pensò di volare. un vento dolce lo accarezzava, lo aiutava a ergersi in alto, più in alto dei grattacieli, lo cullava con il suo fischiare scordato, gli faceva rivedere tutte le strade che aveva percorso, tutti i volti che aveva incontrato, tutte le parti che costituivano il suo io. forse solo volare gli avrebbe permesso di trovare il suo io. chi fosse, namjoon non lo sapeva. una malinconia dal retrogusto agrodolce, la mancanza di qualcosa che non conosceva. il vuoto accompagnato dalla ricerca di sé, poteva essere quello. l'incertezza l'unica sua certezza. gli mancava qualcosa, ma cosa? se sarebbe mai riuscito a comprenderlo, quello non gli era dato saperlo. la sua vita era piena, frenetica, colma di emozioni, ma al contempo insofferente, tediosa e seccante. oggi diventava ieri senza che riuscisse ad afferrarlo, e così l'indomani, e la settimana a venire. giorni che si susseguivano, ma la sua vita non sembrava muoversi, cambiare con il tempo. schiuse le palpebre, le dita formicolavano e il tè si era raffreddato. i colori tenui dell'alba illuminavano gli alberi davanti a lui. forse rimorso per una vecchia decisione, forse la mancanza di ciò che era prima, forse la fatidica domanda: era la vita a essere difficile o era lui a non saper vivere? che fosse normale sentirsi un turista della sua stessa vita, come quel corpo non gli appartenesse, e con lui nemmeno il suo passato e i suoi pensieri. il senso d'incomprensione avrebbe potuto assumere senso, la scala di grigi in cui vedeva il mondo avrebbe ritrovato la sua saturazione, se lo avesse compreso? sempre più domande e sempre meno risposte si susseguivano nella sua testa. sentirsi un fantoccio nelle mani di qualcuno - ma chi? - e non sentirsi libero, ma non sapeva cosa gli impedisse di esserlo. non doveva essere l'unica persona che sentiva, in qualche modo, di non essere. come non esistesse o, ancora, fosse privo di una vera volontà, come gli mancasse qualcosa d'importante, fondamentale, per essere umano. come qualcuno lo controllasse, nonostante non ci fosse nessuno a giocare con i fili su cui gravava il suo corpo. forse era comune a tutti quel vuoto, ma la consapevolezza di non essere non lo era. forse namjoon non era. cosa avrebbe potuto affermare di essere? era in fin dei conti un turista sulla terra, tutti sono turisti sulla terra. qualcuno lasciava la propria impronta sul cemento, qualcuno la propria voce, qualcuno solo ricordi in pochi cuori che, una volta spenti, avrebbero spento anche la memoria di quel qualcuno. namjoon, chi era? avrebbe lasciato un'impronta, o la sua voce sarebbe rimasta a riempire le pareti di qualche casa? o ancora sarebbe stato solo custodito in quei pochi cuori che aveva conosciuto, e sarebbe svanito con loro? si fossero spenti prima loro di lui, cosa sarebbe accaduto, cosa sarebbe divenuto? cenere, si torna sempre alla cenere. forse non saprebbe stato ricordato, di lui nulla sarebbe rimasto nei pensieri ma solo cenere nera, scura, rinchiusa in un vaso, una scatolina, o dispersa nel vento. trovare sé, prima che accadesse, prima che di lui non rimanesse altro che cenere. l'alba rischiarava il cielo, la brezza mattutina si innalzava dolcemente, abbracciando i suoni nella città per portarli con sé, fino a raggiungere le strade più isolate, le anime più sole. sarebbe arrivato il profumo caldo della colazione a ricordargli i giorni vissuti in quella città? il tè tiepido sulle labbra, il gusto dolce del limone artificiale gli invase il palato. una mano tremante alla sciarpa che aveva al collo e socchiuse gli occhi, nascondendo il naso nel tessuto morbido, inspirandone il profumo delicato e crogiolandosi nel suo calore. einaudi con nuvole bianche lo accompagnava su quella strada che aveva percorso fino a consumare le suole quando quella città ancora gli apparteneva, l'aria gli carezzava il viso e le sue dita erano ora strette al manubrio della bici, la stessa che gli era stata regalata lì, nel suo bar preferito, il suo luogo sicuro quando tutte quelle domande non gli affollavano la mente. di cosa sentiva davvero la mancanza? di sé, un sé che non era sicuro fosse mai esistito, o di ciò che aveva accompagnato quel sé? era la città a essergli appartenuta, o era lui ad appartenere a lei? lo avrebbe scoperto, ora che vi era tornato? il suo posto sicuro gli avrebbe regalato di nuovo un senso di pace come nei suoi sogni, quando aveva nostalgia di casa, e si rifugiava nel suo ricordo? intonando un fischio smorzato dal vento, namjoon costeggiò il fiume e osservò le automobili che, lentamente, si riappropriavano della strada.

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