4/7 ; 599 parole.
namjoon non era bravo quando si trattava d'incontrare qualcuno. era ancora meno bravo se doveva salutare qualcuno. gli addii non sono piacevoli, ma alcuni sono peggio di altri. namjoon aveva vissuto due addii particolarmente spiacevoli. suo padre non era stato felice di scoprire che si volesse trasferire a seoul, nessun padre lo sarebbe stato. non avevano parlato il giorno in cui era partito, non avevano parlato nei giorni successivi. namjoon non l'aveva più visto, aveva solo osservato la lapide grigia e fredda. le ultime parole pronunciate da suo padre erano state «non buttare via la tua vita e i miei soldi dietro un sogno inutile», le ultime parole di namjoon nei suoi confronti erano state «non voglio sentire la tua voce. tu e le tue cattiverie mi rovinate le giornate da quando sono nato». namjoon non era bravo con gli addii, per nulla. suo padre non gli aveva rovinato la vita, era stata una menzogna, sfuggita in un attimo di nervosismo. quella menzogna era l'ultima cosa che suo padre avesse sentito provenire dalle sue labbra, come un rimprovero era stata l'ultima cosa che namjoon gli avesse mai sentito pronunciare. nonostante il granito non potesse rispondergli, namjoon non era mai riuscito a chiedergli scusa. non aveva mai avuto il piacere di provare un senso di chiusura, di fine. gli sembrava quella discussione con il padre fosse incompleta, si chiedeva perché talvolta gli accadesse ancora di afferrare il cellulare e cercare il suo contatto, solo per ricordarsi che nessuno avrebbe risposto. non poteva più chiedere «scusa», non poteva più rimediare a quel pessimo addio, al suo pessimo carattere, le sue parole, così semplici ma così crudeli. avrebbe voluto essere migliore, avrebbe voluto essere il tipo di persona che immaginava di dover essere, che immaginava di essere. non sapeva mai cosa dire, non sapeva mai chi mettere al primo posto, come non far sentire il prossimo un peso che gravava sulle sue spalle. il secondo addio peggiore della sua vita era avvenuto a seoul, prima che l'abbandonasse. quei bellissimi occhi scuri, che osservavano il fiume han per offrirgli compagnia, perché nessuno dovrebbe perdere la vita in solitudine, colmi di lacrime. namjoon credeva lui avesse ormai compreso che prima o poi se ne sarebbe andato, ma era certo la sua luna non pensasse sarebbe accaduto in quel modo. gli aveva ripetuto di volersi togliere la vita, non di voler fuggire da seoul senza alcuna spiegazione. perché il ragazzo lo avesse guardato con tale sofferenza negli occhi non lo aveva compreso, ma quello sguardo gli era rimasto impresso nella mente. namjoon si era ucciso, in qualche modo, quando aveva voltato le spalle a quegli occhi lucidi ed era salito in sella alla sua bici, in cerca delle risposte che non aveva trovato e, ora, era ritornato a cercare in quella dannatissima seoul. anche quell'addio, incompleto. non aveva dato spiegazioni, non aveva ascoltato la persona difronte a lui, aveva ignorato tutti i sentimenti che non lo riguardavano. seoul aveva rovinato il suo rapporto con il padre, aveva reso terrificante il granito freddo con cui non riusciva a conversare, distrutto il suo sguardo preferito e appesantito il senso d'incompletezza della sua vita. odiava seoul, lo pensò attraversando il parco in fiore, illuminato dai lampioni in quella notte appiccicosa. odiava gli avesse fatto scoprire il dolore e detestava la sua pessima capacità nell'abbandonare le persone. non aveva mai chiesto «scusa», non al granito, non a quegli occhi colmi di lacrime. non a sé stesso, per non essersi mai permesso di volersi bene.
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mono. knj
Fanfiction«ami talmente tanto la vita da credere di odiarla». tw: menzione di suicidio.