forever rain - 4:31

89 14 3
                                    

7/7 ; 1170 parole.

pioveva. c'era qualcosa, nella pioggia. era piacevole, con il suo scroscio costante ma, al contempo, era snervante. donava un senso di compagnia, ma al contempo enfatizzava la propria solitudine. la pioggia di seoul era lenta, ma incessante. accarezzava la città, stringendola in un abbraccio caldo e umido, con qualche nuvola a offuscare le poche stelle che riuscivano a farsi breccia nella coltre di smog per risplendere su una città che non le meritava. accarezzava anche namjoon, seduto sul ponte, con le gambe sospese nel vuoto. si era domandato più volte se qualcuno l'avrebbe pianto. la madre avrebbe trovato le forze per perdonarlo e piangerlo? i suoi vecchi amici, con cui aveva perso ogni contatto ma di cui si ricordava ogni peculiarità, avrebbero pianto? e jimin, che insisteva sempre nel fargli compagnia con stoicismo, senza far trasparire alcuna emozione, l'avrebbe pianto? avrebbe voluto qualcuno avesse pianto per lui anche quand'era in vita. aspettare la morte di qualcuno per piangerlo faceva rabbrividire. si sentiva egoista, con le mani strette alla ringhiera, ma sperava qualcuno avesse pianto per lui, che non stessero tutti aspettando quel fatidico salto. che qualcuno avesse pianto per ciò che aveva raccontato, per il suo sguardo ormai vacuo anche al pensiero della musica, per il suo errare o, ancora, per il suo fuggire. aveva pianto i suoi amici, non vederli più. loro avevano pianto lui? sembrava solo la pioggia piangesse con lui, lasciandogli credere di non essere solo. bussava alle sue finestre quando era solo, gli forniva un rifugio per la strada, lo coccolava durante la notte. era più di quanto meritasse, tutto ciò che voleva essere. quanti, come lui, accoglievano la pioggia come una vecchia amica, con le braccia e il cuore aperti, con amore, con piacere? avrebbe bussato a mille finestre namjoon, come lei, chiedendo a tutti di confessargli i loro problemi, di lasciarsi ascoltare per ascoltare poi lui. avrebbe bussato a mille e più finestre, fino a trovare forse un abbraccio, qualcuno che aprisse la finestra e lo lasciasse entrare, nonostante l'aspetto sciupato. la vita gli sfuggiva ancora. si sentiva suo ostaggio, non padrone. era lei a prendere le decisioni per lui, era sempre stata lei. lui s'era lasciato calpestare dalla vita. non l'aveva seguita, no. le era strisciato dietro, come un verme, lasciando che fosse lei a guidarlo, a spingerlo dove voleva, come un burattinaio sadico che prova piacere nello spingere i propri burattini allo stremo, vedere quando si sarebbero rotti, lanciarli nelle fiamme ed estrarli appena prima che si disintegrassero, solo per reiterare quel comportamento. namjoon non riusciva più a strisciarle dietro come il verme che era, che era sempre stato. lui stesso il tarlo che divorava e dilaniava la sua esistenza. le sue braccia erano stanche di dover reggere il peso d'un corpo troppo grande, le sue ginocchia scorticate tra asfalto e terra, il suo animo svanito. voleva cercare il senso del dolore, prendere in mano le redini della sua vita, ma sentiva d'essersi solo fatto schiacciare da esso. aveva girato e girato, trovando solo altro da aggiungere al suo zaino già troppo pesante. gli avvenimenti dimenticati, ciò che non aveva fatto, ciò che avrebbe potuto fare. ciò che mai s'era degnato di capire. «non mi hai detto di essere tornato». era lì, come tutte le volte. con i capelli bagnati lontani dalla fronte, gli avambracci sulla ringhiera vicino alle gambe di namjoon, lo sguardo volto all'orizzonte. la sua voce, priva di risentimento. namjoon non rispose. la pioggia li aveva portati insieme la prima volta. incessante, tale che namjoon s'era trovato a detestarla per la prima volta in vita sua. un ragazzino con l'ombrello colorato s'era poi avvicinato a lui, offrendosi di accompagnarlo alla stazione. jimin aveva sempre l'ombrello quando pioveva, anche se era per fare compagnia a namjoon sul ponte. quel giorno era azzurro ma, posato sulla sua spalla, era troppo lontano dal suo capo per impedirgli di bagnarsi. «non hai trovato le risposte che cercavi?». namjoon scosse il capo. non stava vivendo, stava semplicemente non morendo. eppure, le sue mani stringevano con vigore la ringhiera. voleva i colori, voleva le emozioni, ma voleva trovarle nell'incontro con l'acqua? jimin guardava il cielo, namjoon guardava lui. cosa voleva davvero al suo fianco per sempre? la pioggia? o la luna, che teneva fargli compagnia sul ponte? «perché vieni qui?» «nessuno merita di morire da solo». la stessa risposta, non era ancora cambiata. forse namjoon desiderava cambiasse. desiderava che jimin aprisse la finestra e lo lasciasse entrare nella sua stanza come fosse pioggia, che gli offrisse un pasto caldo e una spalla su cui piangere. che gli insegnasse la gentilezza, l'altruismo che lo spingeva a sopportare la vista di una persona su un ponte, in procinto di lanciarsi nel vuoto. «non sei il primo, sai?». namjoon si sorprese. era la prima volta che jimin parlava, senza limitarsi alla sua classica frase. «a cui faccio compagnia qui, non sei il primo. avevo quindici anni per il primo. volevo mettermi io sulla ringhiera, ma poi ho visto una mia compagna di scuola. allora le ho fatto compagnia. mi ha ringraziato, e ho deciso di passeggiare qui ogni notte, per fare compagnia a chi era rimasto solo». namjoon aveva freddo, la pioggia lo appesantiva. «sei il primo che non si butta e torna sempre qui, però. mi rattristi. ami talmente tanto la vita da credere di odiarla». era sempre stata la pioggia a portare namjoon consiglio. ma jimin, la luna, gli aveva lasciato l'impronta della mano sul viso. «scusa?». ma non aveva bisogno di alcuna spiegazione. non voleva però accettare quella spiegazione, non aveva alcun senso. lui, che non l'aveva vissuta, che non l'aveva capita, come poteva amarla? cosa amava di lei? «ti saresti già buttato. preferiresti vivere in un mondo in bianco e nero per sempre, piuttosto che trovare i colori nell'acqua. è solo una pillola troppo amara da ingoiare». la sua fragilità, la transitorietà. la vita non era per sempre, era fragile, come le persone che la vivevano. voleva il freddo, i colori incontrati con violenza, o sperava di ritrovare il calore, riscoprire i colori? perché non si era ancora lasciato scivolare, e perché con ogni secondo che passava si stringeva più alla ringhiera, temeva più di scivolare? non voleva sapere se l'avrebbero pianto, non voleva lo piangessero. «perché tu non ti sei più buttato?» era una domanda insensibile, ma jimin continuò a guardare il cielo. namjoon voleva divenire come la pioggia, o come jimin. fremeva al pensiero di cercare delle risposte, tremava al pensiero di incontrare il fiume. era un burattino, o sentirsi un burattino era solo una scusa, un modo per decolpevolizzarsi, per non ammettere di essere lui il burattinaio. lo sguardo di jimin incontrò il suo, e si allontanò dalla ringhiera. «andiamo sul tetto. scopriremo perché la vita ci tratta così». insieme. jimin non lo aveva detto, ma namjoon lo aveva sentito. sotto il suo ombrello, verso il giorni che desiderava vivere con troppo ardore per concedersi la pace, namjoon si domandò se amare la vita avrebbe mai perso il suo retrogusto amaro.

mono. knjDove le storie prendono vita. Scoprilo ora