uhgood - 3:14

34 12 2
                                    

5/7 ; 851 parole.

non andiamo mai bene. l'uomo, come specie, non va mai bene. si sopravvaluta sempre. o forse si sottovaluta? sono gli standard che si pone troppo alti, o sono talmente bassi che persino lui può raggiungerli? provano tutti quella fastidiosa sensazione di non raggiungere mai le proprie aspettative, o c'è chi riesce a raggiungere uno stato di soddisfazione in sé stesso? non andiamo mai bene, in fin dei conti. poco magri, poco formosi, troppo muscolosi, troppo bruschi, poco divertenti, troppo egocentrici ma al contempo troppo altruisti, poco consapevoli, poco belli, troppo critici, poco pretenziosi - verso noi stessi, non verso gli altri. talvolta meno pretenziosi nei confronti di noi stessi, più pretenziosi nei confronti degli altri. ci si aspetta sempre qualcosa. quando si vede un bel viso, ci si aspetta che sia consapevole della propria bellezza, che sia altezzoso. se qualcuno è più giovane, deve per forza di cose essere rispettoso e, possibilmente, accomodante. ci si aspetta di essere ciò che si pretende dal prossimo, o per lo meno d'incontrare quelle aspettative che noi stessi poniamo sulle sue spalle. namjoon aveva sempre voluto essere un po' di più e un po' di meno. più alla moda, più forte, più disponibile, più competente. meno complicato, meno egoista, meno indeciso, meno sfuggente. era tutt'altro che perfetto, tutt'altro che la persona che avrebbe desiderato essere, che credeva di dover essere. non riusciva a raggiungere le aspettative di nessuno: non le sue, non quelle della società, eppure non credeva di essersi sopravvalutato. aveva forse alzato troppo la sbarra, ora irraggiungibile? si guardò intorno, in quel piccolo bar che era stato il suo posto sicuro per anni. nuove persone continuavano a entrare e uscire, chi leggeva seduto a un tavolo da solo, chi parlava sottovoce con la persona di fronte a lui, chi ancora guardava il telefono. i baristi camminavano dietro il bancone con fluidità, come tutti i loro movimenti fossero calcolati, gli stessi, ogni giorno. però poi si voltavano verso un collega, riconoscevano la voce di un cliente abituale e sul loro viso si dipingeva un sorriso. la catena d'interrompeva, ma nessuno sembrava preoccuparsene. sembravano tutti essere a proprio agio, trovarsi nel posto giusto ed essere consapevoli di vivere un privilegio tale. namjoon li osservava con invidia. avevano tutti raggiunto quello standard, parlavano animatamente, ridevano, felici di chi fossero e dove fossero. namjoon si sentiva nel posto sbagliato al momento giusto, o forse a quello sbagliato. si era aspettato di trovarlo lì, la sua luna, e chiedergli come stesse, se si rifugiasse ancora sul tetto o attraversasse ancora il ponte in piena notte, anche se lui non c'era più. se aveva trovato una risposta alle domande che rendevano il suo sguardo cupo, scoprire se il suo sorriso gli illuminasse finalmente gli occhi. ma non era lì e namjoon, che già non si credeva all'altezza di seoul, si era sentito ancora più a disagio, ancora più solo. non aveva raggiunto le sue aspettative: non era divenuto una persona migliore, pensava ancora troppo a sé stesso, non riusciva a comprendere il senso di ciò che lo circondava. ancora non aveva compreso il senso di quanto viveva, di quel senso d'inadeguatezza che lo pervadeva ogni volta che prendeva consapevolezza di sé, della propria presenza nel mondo. i colori erano spenti, le domande gli affollavano la testa, si sentiva di essere nulla se non un inetto, in balia di quanto il mondo gli avrebbe offerto, eppure non voleva ancora tornare sul pote. voleva sentirlo ancora. voleva sentire il senso di disagio, sentire quel bisogno di diventare meglio, essere meglio, tentare tutto pur di raggiungere le proprie aspettative e potersi sentire un vincente. voleva sentire l'aria umida della notte che gli incollava gli abiti al corpo, godersi il sapore dolce del caffè troppo zuccherato e accorgersi che lo aveva fatto raffreddare per l'ennesima volta. voleva guardarsi allo specchio e ricordarsi come, tra mille fallimenti, fosse riuscito a vincere anche quel giorno: era vivo, aveva sorriso almeno una volta, aveva osservato la città attraverso le sue lenti monocromatiche e, anche quel giorno, aveva trovato qualcosa che lo aveva spinto a tornare in quel minuscolo monolocale, seduto sul terrazzo troppo stretto, a chiedersi che senso avesse. non aveva raggiunto le proprie aspettative, dubitava ci sarebbe mai riuscito, ma forse era migliorato. aveva incontrato il produttore discografico che aveva abbandonato senza una parola, nonostante stessero lavorando insieme, e si era scusato. non avrebbe pensato di riuscire a farlo, di accettare di aver sbagliato, che i propri bisogni non potevano venire posti su un piedistallo, non se alle spese di altri, e aveva chiesto scusa. per la prima volta, aveva portato una chiusura a quella discussione che aveva inizialmente aveva avuto troppo timore di affrontare. namjoon non era perfetto, era ben lontano dalla eccellenza. con gli occhi lucidi, le guance calde e il sapore dolce del caffè freddo sulle labbra, sul sellino della sua bicicletta cigolante, namjoon attraversava la notte consapevole di non aveva raggiunto l'obbiettivo che si era posto, di non essere quanto pretendeva, quanto lui voleva. ma, evitando il ponte anche quella sera, namjoon era consapevole di non essere perfetto, ma comunque abbastanza.

mono. knjDove le storie prendono vita. Scoprilo ora