Qualcuno bussò alla sua porta due volte, facendolo tirare su, minuti dopo essere stato immobile a pensare, a fissare quel soffitto biancastro.
–Entra.– disse, supponendo fosse il suo coinquilino.
Changbin diede un'occhiata nella stanza, osservandolo e chiedendogli con gli occhi se potesse entrare, anche se il ragazzo gli aveva già dato il permesso. Poco dopo lasciò la porta, camminando verso il suo letto e sedendosi vicino a lui.
–Successo qualcosa?– gli chiese.
Jisung annuì.
–Non volevo origliare, ti ho sentito dire "papà" mentre ero in cucina.– disse Changbin.
–Beh, almeno è positivo che non origli mentre parlo, suppongo.– disse, ridacchiando.
–Non era qualcosa di buono?
Jisung spostò lo sguardo verso la finestra aperta. –Buono? Cattivo? Non saprei dire. Era piuttosto inaspettato.
–Vuoi parlarne?
Jisung sospirò. –Non me l'aspettavo proprio quella chiamata, sai? Ormai era chiaro che non fossero interessati a sapere più nulla di me.
–Ti hanno chiesto scusa?
Jisung scosse la testa. –Forse l'hanno fatto nel loro modo strano. Ma non era quello che volevo. Mio padre mi ha proposto una cosa.
–Proposto?
–Mi ha detto che se voglio posso andare a vivere da loro. Non ci saranno più problemi tra noi e mi troveranno un lavoro.
Changbin annuì, un po' sorpreso da quello che gli aveva detto l'amico. –E tu..
–E io non so cosa fare. Io..lo sai, è difficile essere in una situazione in cui ti sembra di riavere tutto ciò che avevi perso e..non sai se lo vuoi indietro oppure no. Come faccio a dirlo con certezza? Come faccio a prendere una decisione simile? Non sarebbe male stare dai miei genitori, e mi piacerebbe riavere un rapporto con loro, ma..non voglio lasciare questo posto.Non voglio lasciare voi, non voglio lasciare Minho. Lo sai quanto starei male solo a pensare di lasciarlo così? Dopo tutto quello che abbiamo passato?
Changbin lo ascoltò attentamente.–Dovresti pensare a quello che vuoi tu. Non quello che vogliono i tuoi genitori, non quello che succederebbe come conseguenza per le tue azioni a Minho. Dispiace anche a me pensarlo, ma se è quello che tu vuoi, dovresti essere disposto ad andare. E se andare non è quello che vuoi, dovresti essere disposto a lasciar andare i tuoi genitori.
–Come faccio a capire cosa voglio, Changbin?– si lamentò Jisung.
–Lo capirai, non stressarti troppo.– disse l'amico, appoggiando una mano sulla sua spalla. –Ti ha dato un po' di tempo per pensarci, vero?
Jisung annuì, incerto comunque su cosa sarebbe successo. –Devo comunque prendere una decisione.– disse, dopo qualche secondo di silenzio. –Se non lo faccio ora, sarà più difficile farlo dopo.
–Però se non sei sicuro di cosa vuoi davvero, non è una buona idea scegliere ora. Potresti fare la scelta sbagliata e pentirtene in futuro. Secondo me è meglio che tu ti prenda un po' di tempo per pensarci. Ma fai di testa tua. Alla fine, i miei sono solo consigli.
Jisung annuì. Changbin aveva ragione. Completamente. Ma forse non era anche quello un segno che sarebbe stato meglio rimanere? Il fatto che il suo amico lo comprendesse così bene e così facilmente, non era una cosa da poco. Tutto il tempo che aveva passato con lui in quell'appartamento, tutte le sere passate insieme a guardare qualcosa sulla tv, quando ancora non si "odiavano" abbastanza da rinchiudersi nelle loro stanze. Tutte quelle volte in cui erano stati a fare spesa insieme, quella volta in cui avevano comprato il divano nel loro soggiorno. Quel divano che a Changbin piaceva così tanto, e che non voleva fosse sporcato. Non voleva dire addio a tutti quei momenti, anche se non ne passavano più così tanti ultimamente.
Finchè non sceglieva, il suo futuro restava qualcosa di incerto. Non poteva vederlo. Non poteva sapere dove sarebbe stato a quell'ora qualche settimana più avanti.
–Vorrei che il me del futuro potesse dirmi cosa fare.– disse Jisung.
Changbin rise. –Pensi che il te del futuro sia felice oppure no?
–Non so neppure cosa significa di preciso essere "felice".– mormorò. –Qualche mese fa pensavo di essere felice, qua, a fare tutto quello che volevo, a dormire tutto il giorno. Ma ora non ne sono più sicuro. Non sono sicuro che lo fossi.
–È perché ora stai meglio?
Jisung sorrise. –Suppongo di sì.
–Se vuoi posso chiamare Chan e dirgli di venire qui. Di solito lui sa cosa fare in questo tipo di situazioni.
Annuì, lasciando che l'amico facesse come preannunciato.
Quando il loro altro amico arrivò al loro appartamento, Jisung si era quasi addormentato, stanco di pensare troppo e da tutto quello che era successo quella giornata.
–Sono arrivato!– annunciò Chan, entrando nell'apprtamento. Chan era un loro amico fidato, quindi aveva il loro codice e sarebbe potuto entrare in casa loro quando voleva.
–Camera di Jisung.– girò Changbin, attendendo affinché l'amico entrasse nella stanza e chiedesse loro che cosa fosse successo.
Spiegarono velocemente il tutto, parlandogli anche di ciò di cui avevano discusso insieme, attendendo una qualche guida da quello che era una sorta di angelo custode, per loro.
Chan si sedette sul letto, vicino a Jisung. –Hai pensato un po' a come ti hanno trattato i tuoi genitori e come ti sei comportato tu in passato? Hai mai fatto qualcosa di terribilmente sbagliato così che potessero arrabbiarsi così tanto?
Jisung scosse la testa, non interamente sicuro della sua risposta. –Non penso...
–Se vogliono delle scuse, gliele puoi dare. Ma non hanno alcun diritto di trattarti così. Mi sembra quasi come se stessero cercando qualche modo oscuro di avere il controllo su di te. Sei un adulto ormai. Non dovrebbe importare loro cosa fai. Cosa fai con i tuoi soldi, dove vivi. È una tua scelta. Noi ci abbiamo sempre scherzato tu, ma lo sai che lo facciamo in un modo amichevole.
Jisung annuì, rincuorato dalle parole di Chan.
–Ora..tu vorresti seguire la loro richiesta perché ti sentiresti più al sicuro ad avere i tuoi genitori dalla tua parte?
–Sì, penso di sì.
–Jisung.– disse Chan, passando il suo braccio attorno alle sue spalle. –"Famiglia" non significa solo coloro che condividono il tuo stesso sangue, quelle persone con cui sei cresciuto. Famiglia vuol dire anche le persone che ti vogliono bene e che farebbero di tutto per te, e viceversa. E noi siamo qui. Ci siamo sempre stati. Qualche volta mi hai fatto arrabbiare, ma ci tengo tanto a te, lo sai, vero? E anche Changbin.– disse, sorridendo all'amico. –Se avrai mai bisogno di sostegno, noi saremo sempre qui. Sempre. Se finirai in miseria, non ti lasceremo per le strade. Come potremmo, eh? Pensi che solo perché non siamo tuoi fratelli di sangue non possiamo aiutarti se ne hai bisogno?
Jisung sospirò, sentendosi molto meglio da quando Chan aveva iniziato a parlargli. Erano cose così semplici, ma sembrava che il suo amico sapesse sempre quali fossero le parole migliori da dire in ogni situazione.
–Se vuoi, posso anche trovarti un lavoro. Se vuoi provare a fare qualcosa. Conosco così tante persone che sicuramente ci sarà qualcuno che ti offrirebbe un posto da qualche parte. Così puoi iniziare a lavorare e se mai i tuoi tornano a cercarti, tu mostragli quanto sei capace di fare da solo. Sei così forte e ti impegni così tanto. Qualunque cosa sia successa nel tuo passato, lasciala nel passato. Ora sei qui.
–Smettila, mi farai piangere così.– si lamentò Jisung, liberandosi dal braccio dell'amico.
Chan rise. –Non ti piace? Pensare al futuro che potresti avere se restassi qui? Puoi stare qui con me e Changbin e Jeongin e tutti gli altri. Puoi stare con Minho. Puoi divertirti quando vuoi, e quanto vuoi. E puoi provare ad avere un lavoro, andare alla tua velocità, prenderti il tuo tempo per decidere cosa vuoi fare. Che ne dici?
Jisung sorrise. –Mhm, sembra un futuro interessante.
–Il mio lavoro qui è finito.– disse Chan, afferrando una felpa di Jisung che il ragazzo aveva appoggiato sul letto e tenendosela con due mani sulle spalle, creando una sorta di mantello mentre correva uscendo dalla stanza.
STAI LEGGENDO
hypnotic. | minsung
FanfictionQuando Minho vede Jisung per la prima volta, la sua vita cambia del tutto. Per qualche strana ragione, si ritrova a pensare sempre a lui e a voler passare sempre più tempo in sua compagnia. Quasi come se fosse ipnotizzato da lui. O forse, lo è veram...